Il Calderone di Severus

Sfida n. 2 FF : "Spuntino di mezzanotte"

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 19/1/2007, 11:16
Avatar

I ♥ Severus


Potion Master

Group:
Administrator
Posts:
55,389
Location:
Da un dolce sogno d'amore!

Status:


spuntinogrande



L'idea è nata A tavola con Severus


Deve trattarsi di una drabble/flash-fic/one-shot, con Severus come protagonista principale, deve riguardare il suo rapporto con cibo/bevande e deve svolgersi di notte nel Cerchio dei Mangiamorte.

Chi vuole partecipare avverta con un post in questa discussione.

Storie pervenute per la sfida


Astry (Non voglio il tuo aiuto)
Earendil (Inedia per me stesso)
Ida59 (Premio di mezzanotte)
Mariacarla (Alla fine della Notte)
Nykyo (Erba)
OcchioMalocchio (L'ultima cena?)
Starliam (Ritardi e ritorni)
Stefy ("Il brindisi" e "Il cenacolo")




spuntinomini


CODICE
<a href=http://magiesinister.forumcommunity.net/?t=5241249&st=0#entry56208931><img src="http://i.imgur.com/9xVHms0.jpg" alt=""></a>


Edited by chiara53 - 1/7/2017, 15:46
 
Web  Top
Astry
view post Posted on 20/1/2007, 16:03




Autore: Astry

Tipologia: One-shot.

Genere: Drammatico, introspettivo

Personaggi: Severus Piton, Lucius Malfoy, Mangiamorte.



Non voglio il tuo aiuto



I Mangiamorte sono riuniti in cerchio, Lucius Malfoy è lì, nel suo posto d’onore alla destra del Signore Oscuro, non ha pronunciato una sola parola per tutto il tempo.
Se ne sta immobile, come pietrificato, mi sembra di sentire il respiro affannoso che si condensa sul freddo metallo della maschera, in questa notte gelida, mentre la neve continua a cadere attaccandosi al suo volto d’argento e spegnendone anche il più piccolo bagliore, dietro il suo velo opaco.
In questo paesaggio ovattato e irreale il cerchio di tuniche nere mi appare più macabro che mai.
Un cerchio dal quale oggi manca un uomo, il suo posto è occupato da un semplice bastone conficcato nel terreno.
Non è una cosa insolita, è questo che Voldemort pretende dai suoi Mangiamorte: assistere alla punizione di un loro compagno. Il mio Signore impartisce sempre i suoi castighi di fronte a tutti i suoi adepti, perché tutti siano consapevoli di cosa aspettarsi nel caso non dovessero servirlo con la dovuta solerzia.
Questa notte è toccato a me. Mio è il posto lasciato vuoto nel cerchio.
Dopo quasi un’ora di Cruciatus, il mio corpo è affondato nella neve fresca formando, coi suoi violenti spasmi, una pozza scura di fango gelido.
Non sento quasi più il dolore, ho solo freddo.
Non chiudo gli occhi, non perché non voglia farlo, ma perché i muscoli del mio volto sono come irrigiditi,
vedo il mio amico con le mani lungo i fianchi, le dita gonfie e arrossate per il gelo si stringono improvvisamente e con forza lacerando la pelle delle nocche.
So cosa stai pensando, Lucius: ti stai chiedendo se ho meritato questa punizione.
Un’importante missione è fallita, apparentemente per un mio errore.
Riesco quasi a sorridere.
Un errore, certo, uno dei tanti. Riesci ancora a credere che io sia capace di sbagliare così grossolanamente, Lucius?
Ti stai chiedendo se sia giusto? Magari stai cercando di convincere te stesso che lo sia. Eppure, se il tuo Padrone non avesse improvvisamente interrotto questo tormento, probabilmente ti saresti gettato su di me trascinandomi fuori da questa melma, senza pensare alle conseguenze. Te l’ho letto negli occhi.
Quando Voldemort solleva la bacchetta, sento solo il bisogno di proteggermi da questo gelo che ormai è penetrato fin nelle mie ossa, mi raggomitolo, portandomi le ginocchia al petto, ho ancora gli occhi spalancati ma non riesco più a vedere niente e non sento alcun suono uscire dalla mia bocca, anche se mi rendo conto di averla aperta in modo innaturale. Ho l’impressione di essermi slogato la mandibola.
Poi, improvvisamente, mi sento afferrare per le braccia e trascinare fuori dall’acqua. Lucius, sei tu?
Sono gelato, tremo per le conseguenze della Cruciatus, ma anche per il freddo.
Voldemort, lascia che il mio amico si occupi di me, non interviene, bensì, dopo aver atteso per un po’ senza parlare, si smaterializza semplicemente.
Ed è proprio nello stesso momento che un vociare si solleva dal cerchio, una risata spezza il silenzio, come una lama.
- Perché non l’hai lasciato dov’era? Quel traditore non merita la tua pietà – gracchia la maga alta dai lunghi capelli neri
- Perché non la fai finita, Bella? Non ho voglia di ascoltare il tuo continuo starnazzare – Lucius mi stringe con maggior vigore, tentando di arrestare questo insopportabile tremore. Mi aiuta a sedermi su una radice sporgente. Non ho la forza di reagire e mi abbandono completamente lasciandomi scivolare lungo il tronco di un grosso albero.
Deve togliermi immediatamente questi vestiti bagnati, prima che mi si congelino addosso. Prende ad armeggiare con i bottoni della mia casacca, ma il freddo ha irrigidito le sue dita e il fango misto a ghiaccio sui miei vestiti, rende ancora più complicato il tutto. Continuo a non vederlo, ma lo sento affannarsi, mentre cerca di salvarmi la vita
- Maledizione, Bella, vuoi darmi una mano? – Grida spazientito
Immagino la faccia di quella donna, ecco che si avvicina riluttante, si china su di me
- Se fosse dipeso da me, ora saresti già morto – soffia a pochi centimetri dal mio viso.
Lei non è come te, Lucius, lei non è accecata dall’amicizia. Sa che sareste potuti morire tutti questa notte, e sa che sono io la causa. Non è stato un errore, no.
Muovo appena le labbra, ma le parole rimangono imprigionate tra i denti stretti all’inverosimile.
Ora che è così vicina, il suo viso compare davanti ai miei occhi, seppur sfocato.
Mi guarda con disgusto, tuttavia fa ciò che Lucius le ha appena chiesto.
Le sue esili dita hanno presto ragione di questa prigione di bottoncini, mi libera dai miei vestiti bagnati e Lucius mi avvolge nel suo mantello caldo e asciutto.
L’abbraccio di questa soffice stoffa di lana è una sensazione davvero piacevole,
Sbatto le palpebre, comincio a riappropriarmi dell’uso dei miei muscoli e la prima cosa che faccio è piegare le labbra in una smorfia: Voldemort ha ordinato a tutti di restare qui e aspettare, lui ha i suoi piani, ma certo non si preoccupa molto del benessere dei suoi seguaci.
La temperatura è scesa parecchio stanotte, accendere un fuoco non è consigliabile: qualcuno potrebbe vederlo.
A differenza di Bellatrix, Lucius non approva affatto, è nervoso e preoccupato. Forse si sta chiedendo cosa potrebbe avere in mente il Signore Oscuro, augurandosi di non dover aspettare tutta la notte per scoprirlo.
Il mio amico si siede al mio fianco e mi fissa pensieroso. E’ per me che ti preoccupi, Lucius?
Devo essere ridotto in uno stato pietoso. Forse ti stai chiedendo quanto potrò resistere a questa temperatura.
Improvvisamente scatta in piedi e prende a frugarsi nelle tasche.
Sollevo stancamente gli occhi, la mia vista sta migliorando, fisso stupito il piccolo contenitore metallico che Lucius ora tiene nel palmo della mano. Lo posa per terra e, puntando sul minuscolo oggetto la sua bacchetta, sussurra
- Engorgio -
Spalanco gli occhi: una zuppiera, una zuppiera d’oro.
Anche Bellatrix si avvicina fissando il contenitore con aria curiosa.
- Ti sei portato la cena, Lucius? Già che c’eri, potevi portarti un elfo domestico con la tua riserva di vino d’annata –
Sono quasi scoppiato a ridere.
- Perché rinunciare alle comodità, Bella? – Posa la punta della bacchetta sul coperchio della zuppiera che diviene rovente, una nuvola di vapore si sprigiona dal suo interno appena il mago toglie l’incantesimo che sigillava il coperchio.
Un fortissimo profumo di mandorle riempie l’aria.
Il mio viso si contrae in una smorfia di disgusto: decisamente il mio stomaco non vuole saperne di accogliere un qualsiasi cibo.
Al contrario, Bellatrix sembra gradire: ne assapora a pieni polmoni la piacevole fragranza,
- Minestra di mandorle, Lucius? Ma è una ricetta babbana -
- Già! Provala Bella, non troverai una minestra migliore di questa in tutta Londra –
Bellatrix fa un gesto di stizza, ma poi si volta e prende a raccogliere pezzi di legno, pietre, tutto quello che riesce a trovare. Ammucchia il tutto e pronuncia l’incantesimo di trasfigurazione: una pila di ciotole di porcellana appare ai suoi piedi.
Ne afferra una e si posiziona di fronte a Lucius aspettando pazientemente la sua porzione.
Lucius sorride beffardo, poi anche lui raccoglie una delle ciotole e, dopo averla riempita di brodo caldo, si china verso di me che continuo a tremare stringendomi nel suo mantello.
– questa ti scalderà – dice, poi prende le mie mani e le tiene premute sulla scodella calda.
Volto la testa di lato, l’idea di inghiottire quel liquido biancastro mi nausea, tento di sottrarmi, tuttavia il calore sprigionato da quel coccio che Lucius mi ha infilato a forza tra le mani è davvero piacevole.
Lascio che il caldo riporti la sensibilità alle mie dita gelate.
Gli altri Mangiamorte si sono avvicinati, ognuno con la sua ciotola in mano. Sono di nuovo in cerchio.
Abbasso lo sguardo su ciò che stringo tra le mani. L’odore delle mandorle non mi piace, ma il vapore sul viso mi fa sentire meglio, mi avvicino sempre di più alla mia porzione di minestra, finché le mie labbra non vengono in contatto con quel liquido.
Scotta, mi viene in mente che la minestra di mandorle andrebbe servita fredda e, automaticamente, il mio sopracciglio s’inarca: è incredibile come io riesca ad essere pignolo persino in un simile frangente.
Lucius continua a fissarmi, ora però, non è preoccupazione quella che gli leggo negli occhi, ora vuole sapere, ora mi chiederà se ho volutamente rischiato di far uccidere il mio migliore amico.
Scuote la testa
- Non posso credere che tu possa aver commesso un errore così grossolano, Severus, e non voglio credere che tu possa averlo fatto deliberatamente -
Sollevo la testa e lo guardo negli occhi
- Me lo stai chiedendo, Lucius? Devo dedurre che ti accontenteresti della mia parola?- Mi sorprendo per l’asprezza della mia voce.
Non risponde, forse, dopotutto non vuole sapere la verità. Non vuole sapere che sta salvando la vita al proprio nemico.
E’ questo che siamo diventati ormai, Bellatrix ha ragione, dovevi lasciarmi dov’ero. Dovevi lasciarmi morire. Noi non siamo più amici, Voldemort ci ha tolto anche questo.
Mando giù un sorso di minestra, è densa e vellutata, tuttavia mentre sento il liquido caldo invadermi piacevolmente, risvegliando il mio corpo, so di non meritarlo.
Questa stupida minestra brucia come veleno, il veleno della menzogna.
Se ci dovessimo trovare l’uno contro l’altro, un giorno, io non esiterò ad ucciderti. Farò il mio dovere, sono quello ormai, solo un dovere da compiere, io non ho amici.
Tu ne hai, Lucius?
Smetto di sorseggiare il mio brodo, fisso i suoi occhi di ghiaccio, non ha ancora assaggiato la sua porzione di minestra.
Fino a quando continuerai a considerarmi tale?
Forse un giorno sarai tu ad uccidere me. Lo faresti, Lucius, se Voldemort te lo ordinasse?
Forse no, forse sei migliore di me. Forse tu puoi ancora scegliere di avere amici.
Guardo Bellatrix, si sta godendo la sua parte di brodo, chiacchierando amabilmente con un uomo che non riesco ad identificare, mi volta le spalle e indossa il cappuccio.
Le mie labbra si piegano in una smorfia amara. Abbasso immediatamente lo sguardo affondando di nuovo il viso nella mia ciotola, mi vergogno di me stesso, mi vergogno di quello che sono diventato. Ho perso il diritto di guardarvi negli occhi, quando ho deciso di tradirvi tutti, quando ho giurato che avrei contribuito alla vostra distruzione.
Il vapore caldo misto all’aroma di alloro sale a bruciarmi gli occhi, vorrei piangere.
Perchè non mi è concesso combattere a viso aperto? Vorrei gridare in faccia a quella bestia, ciò che penso di lui. Vorrei non dover mentire a chi mi sta salvando la vita.
Invece me ne sto qui, protetto dal tuo mantello e dalla mia bugia.
Salvato, preservato dall’unica cosa che desidero davvero: la morte.
Non ce la faccio più, improvvisamente mi alzo, muovo qualche passo incerto, non devo cadere, mi sforzo di comandare ai miei muscoli di fare il loro dovere.
Lucius mi sta guardando, è di nuovo preoccupato.
So che, se mi vedesse vacillare, scatterebbe in piedi per afferrarmi, ma io non voglio.
Non voglio essere aiutato, non voglio la tua amicizia, Lucius, non la merito.
Gli consegno la ciotola, poi lascio cadere il mantello e mi allontano nella neve.
Non voglio il tuo aiuto.
Ma se potessi scegliere di morire, vorrei che fosse per mano tua.



Risale, alla cucina medioevale la almond soup (minestra di mandorle), bianchissima e vellutata. In un brodo di vitello, aromatizzato con alloro e mace (macis, il guscio della noce moscata), si aggiungono mandorle e pane, precedentemente passati al mixer. Si addensa poi con un tuorlo e un po' di panna acida (o uguali quantità di panna e latte), si lascia riposare per un'ora e si serve, correggendo con succo di limone e pepe di cayenna.

Edited by Astry - 16/2/2007, 13:00
 
Top
occhioMalocchio
view post Posted on 20/1/2007, 23:11




Autore:occhioMalocchio

Tipologia:One-shot

Genere:Drammatico

Personaggi:Severus; Voldemort; Mangiamorte.


L'Ultima Cena?




Ancora una volta siamo qui, tutti riuniti al suo cospetto, ma invece che in piedi e in attesa di ordini siamo seduti davanti ad un tavolo, in attesa di festeggiare.
Per la prima volta, sul volto di Voldemort, vedo un’emozione che, in un essere umano, potrebbe essere la felicità.
E’ normale, stasera pensa di aver colto la vittoria definitiva, e come lui tutti gli altri. Un brusìo eccitato percorre il cerchio dei Mangiamorte, quei pochi che c’erano stanno riferendo agli altri i particolari. Quando Voldemort si alza, cala il silenzio <togliete le maschere >, ordina. Uno ad uno tutti i presenti tolgono le maschere d’argento e le posano sul tavolo davanti a loro, con gesto meccanico eseguo l’ordine e quando sollevo il capo, un inevitabile moto di stupore percorre i presenti, sento i loro sguardi su di me, benché continui a fissare il mio volto riflesso dalla maschera che ho posato innanzi.
Voldemort parla di nuovo < Severus ha deciso che conserverà sul volto quelle cicatrici, a perenne ricordo di questa grande notte. La notte che vede finalmente la nostra vittoria! Silente è caduto, infine!>
Un furioso grido di esultanza scaturisce dalle gole di tutti, solo Draco, seduto al mio fianco, rimane muto, il volto pallido come quello di un fantasma. Un ricordo! Come se avessi bisogno di quelle cicatrici per ricordare per sempre questa notte, squarci ben più profondi solcano la mia anima maledetta, dopo ciò che ho fatto in cima alla torre.
Ho eseguito i suoi ordini, fino in fondo, come sempre. Eppure ora che mi rimane? Nessun sorriso dietro la barba d’argento, per riscaldare il gelo nel mio cuore. Nessun luccichio nello sguardo di quegli occhi azzurri, per illuminare il buio della mia anima.
Se la maschera che ho davanti dovesse rappresentare il mio vero volto, la bocca sarebbe schiusa in un grido di dolore e gli occhi dovrebbero piangere lacrime di sangue.
E invece devo di nuovo seppellire i sentimenti e andare avanti, la vera missione comincia ora: senza di lui.
Le parole di Voldemort mi giungono come da un’altra galassia, ha voluto un banchetto stanotte, per festeggiare la fine di Silente e io e Draco siamo gli ospiti d’onore, come può pensare che possa mangiare, quando a fatica respiro?
Non tocco nemmeno una delle pietanze che mi sono davanti, non voglio mangiare, non ricordo nemmeno come si fa, ora tutto il mio essere è solo dolore.
Guardo il ragazzo al mio fianco, avrei voluto impedirlo, avrei voluto tenerlo lontano da tutto questo, ma invece ho fallito.
Tutti sono in festa, convinti che nessuno li possa più fermare ormai, Voldemort ordina un brindisi e le sue parole, per la prima volta, riportano la mia attenzione al luogo dove mi trovo.
< Stasera festeggiamo due morti > dice Lui < quella di Silente e quella di un traditore! Alzate i calici!> tutti lo imitano levando al cielo il proprio bicchiere, anche io afferro il mio, svogliato.
< Oggi fra noi è seduto un traditore, e io so chi è, finalmente. Da tempo uno di voi mi ha tradito, ha sperato che Silente l’avrebbe protetto, stasera avrà finalmente capito la potenza del Signore Oscuro, ma ormai per lui è tardi: nella sua coppa è stato messo del veleno, ora bevete...tutti.>
Osservo il liquido vorticare pigro all’interno del mio calice, come me, altri sono indecisi, l’odiosa voce di Bellatrix mi esorta <non hai sete Severus? O hai paura?>
Paura? E di cosa? Della Morte? No, non della Morte, di aver fallito ancora una volta, forse. Quello che ho fatto stanotte è stato inutile, è servito solo a macchiare di più la mia anima già lorda di sangue innocente, e alla fine Voldemort mi ha scoperto.
C’è davvero la Morte nel mio bicchiere? La Sposa agognata e da tempo desiderata è davvero qui fra le mie mani?
Conoscendo Voldemort, sarà un veleno che uccide tra atroci tormenti, non certo una morte rapida.
Eppure anche quello non sarebbe che un lieve castigo, per le mie innumerevoli colpe.
Lentamente, assaporandolo, bevo il mio vino e incontro la mia condanna.
Nulla.
Non sento nulla, o meglio, non succede nulla: tutti hanno vuotato i loro calici e nessuno sembra essere stato avvelenato.
Voldemort sorride, < ho mentito > ci dice, < non c’era nessun veleno >.
Bellatrix sembra delusa, mai quanto lo sono io però. Un macabro scherzo o forse un’altra prova per i suoi seguaci?
Tutti sembrano tesi e nervosi, Voldemort continua < era solo uno scherzo, nessuna coppa era avvelenata >, nessuno tra i Mangiamorte parla, sono tutti muti. Poi un uomo accanto a Bellatrix scoppia in una bassa risata, “sciocco” penso subito, e lo sguardo di Voldemort non promette nulla di buono < lo trovi divertente Artemius? >
< Molto > risponde lui, di nuovo penso “sciocco, sei finito” e infatti Voldemort estrae la bacchetta e grida < Avada Kedavra!>, il raggio verde smeraldo inchioda Artemius sul posto, con un’espressione stolida sul volto.
< Padrone, perchè?> piagnucola la donna seduta al suo fianco.
< Soltanto il traditore avrebbe trovato divertente un simile scherzo, convinto di averla scampata. Un innocente si sarebbe infuriato o avrebbe pianto, di sicuro non si sarebbe divertito. Imparate a riconoscere i traditori, anche se da oggi non credo ce ne saranno più. Dovreste sapere che il Signore Oscuro sa tutto, che non dimentica e che, soprattutto, non perdona.>
Dunque sono ancora salvo, non mi è ancora concesso di morire. Sarebbe troppo bello, sarebbe troppo facile: la mia condanna sarà vivere.

Edited by Ida59 - 12/8/2015, 23:02
 
Top
stefi
view post Posted on 21/1/2007, 17:46




Autore: Stefi
Genere: Pezzo tratto da una "seria parodia comica" WIP, parte del capitolo 36 (Torture me)
Tipologia: One Shot
Personaggi: Severus, Lord Voldemort, Bellatrix e Codaliscia (che possiamo tranquillamente calcolare come requisito di scena)

Premessa:
Severus, su ordine di Dumbledore, é tornato dal suo Signore al covo dei Mangiamorte. Il ritorno del figliol prodigo va quindi festeggiato con un brindisi. Al vino servito a Severus vengono aggiunte alcune gocce di Veritaserum, in quanto il noto proverbio "fidarsi é bene, non fidarsi é meglio" é valido anche e soprattutto nel mondo magico.
Il Voldemort che troviamo in questa One Shot si scosta un po' dal personaggio originale di HP: é cattivo ma é piu' moderato, inoltre é vanitoso e godereccio. Ha un difetto di pronuncia e si esprime in modo sgrammaticato, cio' lo addolora molto e si sforza comunque di migliorare.




Il brindisi




Degustazione di vino






Il mago si avvicino’ cauto, fino a trovarsi di fronte al suo Lord.
<< Eccomi padrone, al vostro servizio. >> mormoro’ sottomesso a capo chino, fissando il marmo nero del pavimento e i bei mocassini ai piedi di Voldemort.
<< Proverai il Veritasserum! Ssono proprio curiosso… Ssai, potrebbe anche darssi che ti ssi è raggrinsita la dote del Pozionista, no? E che qui mi rifili un digesstivo… Uah! Uah! >>
L’occorrente apparve dal nulla: grosso calice in cristallo, fiaschetta di Veritaserum e una non precisata bevanda in un cartone. I presenti osservavano attenti la scena.
<< Ecco fatto, una goccia per babbo Voldemort, una per “sietta” Bellatriss e una per il tuo cuginetto Codalisscia… >> commento’ divertito l’Oscuro Lord mentre faceva scivolare dalla pipetta tre gocce di Veritaserum in un calice << E mi ssto ssprecando Sseveruss: il Veritasserum te lo sservo in un ottimo… mmh… Boia ‘sste fiaccole del casso… >> bofonchio’ esasperato dalla scarsa illuminazione, mentre faceva una piccola pausa per leggere il nome del vino stampato sul cartone; poi annuncio’ pomposo << … Trapesno Vino Mavrud*! … Ma non c’è l’annata… boh…Bevi!! Poi mi dirai… tutto!! >> ordino’ cambiando nettamente il tono della voce da cantilena in un minaccioso sibilo.
(* Trapezno Vino Mavrud, cioè vino da tavola Mavrud)
Severus stava sempre impalato davanti al suo Signore, lo sguardo volto verso le eleganti scarpe italiane del Lord. Sicuramente erano cucite a mano e davano l’impressione di essere comode; gli piacevano, anche se lui preferiva i suoi stivaletti Jeffrey West. Lentamente avanzo’, mantenendo pero’ il capo chino per mostrare la sua sottomissione.
<< Allora cossa mi ssai dire? >> chiese impaziente Lord Voldemort che gli porgeva fremente il bicchiere.
Severus lo prese, lo alzo’ tenendolo con due dita per lo stelo e osservo’ interessato il vetro e il contenuto controluce; schiocco’ poi un dito contro il cristallo facendolo vibrare.
Inclino’ leggermente il capo: << Grand Ballon in cristallo, forse un Dartington? Indicato per i rossi corposi… >>
<< No, crisstallo di Boemia. Un ricordo di un fine ssettimana con la mia Bella… Qua nei dintorni. Passsseremo fra qualche giorno a… diciamo ritirare… il ressto del mobilio del maniero. Ai proprietari ormai non sserve piu’… >> si pavoneggio’ Voldemort cercando la mano di Bellatrix per un languido baciamano.
La donna, onorata, chiuse leggiadra gli occhi. Severus ignoro’ la scena, stava rigirando lentamente il bicchiere per analizzare la lacrima che il vino lasciava sulle pareti del cristallo.
<< Troppo glicerolo… >> annuncio’ quasi impacciato, sapendo a cosa andava incontro.
Poi avvicino’ il nasone al bicchiere per l’esame olfattivo, inspiro’ e dopo alcuni secondi contorse il viso in una smorfia; non disse nulla, altrimenti avrebbe offeso il suo padrone.
<< Bevi! >> ordino’ nuovamente infastidito dalla smorfia l’Oscuro Signore << Bevi e dammi il tuo giudisio! Sservo! >>
Severus esegui’ gli ordini e degluti’ un primo abbondante sorso di vino e Veritaserum. Quel vino cosi’ aspro e scadente non meritava pieta’, e il gusto del Veritaserum lo rendeva ancor piu’ schifoso. Non impiego’ le sue doti di Occlumante; decise di non mentire, cosi’ avrebbe convinto il suo Signore, Bella e Peter: << Mio Signore… è indescrivibile: é in un cartone e sa di tappo!! Ed è troppo giovane… di un acidita’… troppo freddo, il bouquet non si sviluppa come dovrebbe… sarebbe piu’ idoneo servirlo in un petit Ballon e qualche grado piu’ temperato. >> citava mentre sorseggiava e degustava elegantemente il vino; poi sputo’ l’ultimo goccio nel calice e concluse << Ha potenziale ma per ora lo servirei solo dopo accurata decantazione, per via del… gusto di tappo! E non di certo ad un conoscitore… >> sorrise biasimante inarcando una sopracciglia.
Ecco, era stato proprio sincero, e Voldemort se ne accorse. Questi aggrotto’ la fronte e assunse un aria minacciosa, respiro’ lentamente e a fondo, come per immagazzinare ancor piu’ ferocia.
<< Crucio! >> sbotto’ alzandosi dal trono e puntando la bacchetta contro il suo servo prediletto, e mentre riponeva la bacchetta chiese sprezzante: << Sstupido troglodita. Hai ssaccheggiato un ssupermercato al possto di un’enoteca?! >>
Peter, che di vino proprio non se ne intendeva, da terra e contorcendosi, implorava con gli occhi sbarrati dalla paura: << Pieta’… pieta’ mio Signore… Eminenza, l’Eccelso, Supremo, Grandioso, Onnipotente, Divino >>
<< Ma piantala! Ho ssmesssso da un bel po’ e te ne ho lanciato ssolo uno di Crucio, per giunta nemmeno cossi’ dolorosso! Era ssolo una pacca motivante, ssmidollato! >> sbraito’ l’Oscuro Lord con disprezzo.
<< Oh grazie! Grazie mio Signore! Com’è umano lei! >> rantolava da terra Pettigrew, strisciando fantozzianamente devoto verso il suo padrone e cercando con la mano argentea di toccargli le scarpe e lucidarle.
Bellatrix, sempre accanto al trono, volse lo sguardo al cielo. Che strazio quell’essere senza dignita’, invogliava veramente a punirlo… Pero’… perché non punire anche Snape? Se pensava di piombare improvvisamente al cospetto del Lord, dopo tanto tempo, e prendersi il posto lasciato da Lucius, a cui lei ambiva, si sbagliava.
Con un sorrisetto pericoloso si avvicino’ felina a Voldemort, si rivolse a lui strabuzzando gli occhi come una cerbiatta e sfiorandogli con la punta delle dita una spalla: << Mio Signore… Severus è diventato veramente affabile, brillante oserei dire… in questi ultimi anni di… latitanza… >> e aggiunse carica d’invidia strusciandosi quasi contro l’Oscuro Signore sempre in piedi << Se per il vino ha trovato parole tanto gentili… chissa’ come definira’ la sua devozione e lealta’ per Vostra Grazia… >> e aggiunse seducente sotto voce << È ancora sotto l’effetto del Veritaserum. >>
<< Angelo mio… >> rispose lui dolce e paterno << Il nosstro piccolo Sseveruss non era latitante, definiamolo essilio il ssuo, poche informasioni ma precisse e utili. Luciuss mi riferiva tutto… >>
Snape se ne stava sempre impassibile, silenzioso e servile davanti al suo Signore. Pettigrew si era accucciato ai piedi di Voldemort, che gli tiro’ una pedata mentre si avvicinava a Severus. Gli giro’ attorno come per esaminarlo, eccolo qui il suo figliol prodigo, tornato dal babbo dopo cosi’ tanto tempo… e Bellatrix era invidiosa dell’interesse che destava nel suo Signore!
Le fiaccole magiche illuminavano fiocamente e silenziose quella sala interrata, il silenzio era insopportabile, nemmeno un orologio che scandisse i secondi, niente, solo il silenzio e quella fievole luce. Lui solo contro gli altri tre.
Voldemort si rischiaro’ la voce mentre si allontanava da Severus; mollo’ ancora una pedata al suo fedele servo che, sempre accovacciato a terra, squitti’ dalla gioia per tanta attenzione.
<< Comunque è un’ottima idea, Angelo mio… come ssempre… >> disse soave il Lord alla sua Bella << Sseveruss? Dimmi la verita’, non mentire! >> e lo guardo’ profondamente negli occhi, mentre scandiva la sua domanda chiave: << Ssono ssempre il tuo Ssignore? Anche dopo cossi’ tanti anni? >>
Severus alzo’ lo sguardo verso Voldemort. La penombra rendeva i contorni di quel viso disumano e senza naso ancor piu’ duri. Gli occhi rossi e ardenti bruciavano, accecando quasi, chi avesse avuto la sfrontatezza di guardarlo negli occhi. Bellissimo non era, non si poteva negarlo… Faceva pero’ al suo caso, avrebbe risposto sinceramente a quella domanda a doppio senso…
<< No, voi non siete piu’ il mio Signore di allora! No! Ogni volta che poso il mio ignobile sguardo su quello che dovrebbe essere il vostro volto, trovo solo un viso che ricorda tratti nobili ma a cui manca il naso! Il mio Padrone è stato indebolito e deturpato da quello schifoso mezzosangue! Ridotto a un’entita’ scheletrica, condannato ad essere per sempre raccapricciante. Uno schifo, uno scempio magico… >> rispose duro Snape apparentemente incapace di mentire offendendo cosi’ profondamente Voldemort.
Accecato dalla rabbia, il Lord non capi’ che Snape aveva aggirato il senso vero della domanda.
<< Crucio! Crucio! Crucio! Crucio!! >> sibilava capriccioso questi fuori di sé.
Offeso e infuriato torturava Severus con quella maledizione, scintille e un fascio luminoso scaturivano da quella bacchetta nera e lunga che gia’ aveva inflitto tanto dolore e ucciso innocenti.
Il fascio di energia magica aveva investito Severus, trasformando ogni nervo del suo corpo in un filo rovente, un dolore fisico e psichico indescrivibile, nessuna via di scampo, nessun trucco per sviare quella tortura che lo avrebbe portato alla pazzia… Appena raggiunto dal Crucio, si era accasciato a terra, ripiegandosi e contorcendosi su sé stesso sopraffatto da quel dolore lancinante che lo obbligava a tendere innaturalmente ogni nervo e muscolo del suo corpo e gli faceva quasi scoppiare la testa dal dolore. Secondi che parvero un’eternita’.
Voldemort, con un’insolito ghigno stampato sulle labbra finissime, interruppe per un istante la tortura, forse per riprendere fiato. Poi avrebbe finito quel servo che lo aveva insultato spudoratamente sotto l’influsso del Siero della verita’. Ecco cosa la semplice stizza di Voldemort poteva causare: ancora un paio di scariche e il sipario si sarebbe chiuso, e la storia finita. Severus Snape, finalmente libero da promesse, giuramenti e aspettative di terzi… Perché no?

Ma… e tutto il resto? Il resto della storia? Siamo arrivati fin qui per dire FINE?!
Ma… farlo morire cosi’, solo perché Voldemort sta sviluppando un narcisismo e non accetta di essere diventato un pelo piu’ bruttino, ma pur sempre affascinante, si articola a volte ancora in modo sgrammaticato, non capisce un accidente di vini e non digerisce la superiorita’ di Snape in questo campo?


------------------------------------------------------------------------------------


Autore: Stefi

Genere: Pezzo tratto da una "seria parodia comica" WIP, numero del capitolo non ancora definito

Tipologia: One Shot

Personaggi: Severus, Lord Voldemort, 11 altri Mangiamorte, il Sorcio Peter e una dozzina di novizi (apprendisti Mangiamorte)




Il Cenacolo





Spuntino di mezzanotte







E non c’é il due senza il tre: dopo la Chiesa cattolica e Dan Brown, provo anch’io ad interpretare il celebre dipinto di Leonardo da Vinci. Immaginatevi l’Ultima cena e con un po’ di fantasia e tanti cappucci neri, quella serata avrebbe potuto svolgersi anche in questo modo:

Bellatrix fu l’unica a rimanere impassibile quando le porte dell’Oval office si riaprirono, svelando finalmente il mistero che gelosamente avevano custodito per alcuni minuti. Gli altri Mangiamorte e i novizi scelti, al contrario, rimasero folgorati da tanta eleganza e tanto stile. La sala ovale era rimasta uguale nella struttura, mutando pero’ da anfiteatro in miniatura (con le gradinate in pietra, il trono marmoreo e tutto cio’ che anche Giulio Cesare avrebbe desiderato) a maestoso salone per ricevimenti. L’atmosfera, da luminosa e ludica si era trasformata in intima ma esclusiva. Al centro della sala, Severus aveva piazzato la tavola nera con le sembianze bestiali e le sedie assortite. La sedia vertebrata piu’ grande, quella per il capo tavola, troneggiava pericolosa nel mezzo della parte piu’ lunga della tavola. Alla sua destra e sinistra altre dodici sedie attendevano i dodici migliori Mangiamorte. La tavola era stata apparecchiata in modo da lasciare un lato libero, ed era stata parzialmente coperta da una scintillante tovaglia in broccato color crema che lasciava libere le gambe della tavola. Lo splendore dei lucidissimi mobili neri faceva a gara con i fili argentati del broccato e lo sfavillio delle stoviglie in argento finemente cesellato. Nessuno si mosse, nessuno fiato’, nessuno oso’ mettere piede sulle lastre di lucido marmo nero, che rimandavano anch’esse bagliori riflettendo la luce delle fiamme che ardevano nei bracieri.
PUFF!
Dal nulla, sulla sedia del Lord, si manifesto’ abbondante fumo verde. L’arrosto? No, il fumo si dissolse lentamente lasciando il posto ad una rada nebbiolina e un puzzo di zolfo: la figura dell’Oscuro Signore si delineava lenta e trionfale sul suo maestoso trono.
Il Moccioso aveva inscenato anche l’apparizione del Suo Signore con tanta bravura… Bellatrix era furente! Sprezzante fissava la tavola imbandita a festa e noto’ velenosa piu’ che mai: << C’era bisogno di tanto sfarzo per uno spuntino di mezzanotte? Inoltre s’è dimenticato dei novizi scelti! Staranno in piedi a fissarci mentre mangiamo, forse… Evidentemente le scarse doti magiche di quel mentecatto non bastano per far apparire ancora alcune tavole e delle panchine per i novi >>
PAFF!
L’apparizione delle mancanti mense e seggiole smorzo’ la sillaba conclusiva della Senior Deatheater.
Alcune tavole rotonde, anch’esse imbandite, riempirono lo spazio rimasto fra la tavola ovale e le pareti dalle colonnine a forma di costole che ornavano le pareti bombate. Dei bicchieri in cristallo tintinnarono limpidi, mossi dalle vibrazioni imposte dalla materializzazione.
<< Ho optato per il cristallo di Dartington, questa volta… >> osservo’ una conosciuta voce suadente << … Bellatrix… >>
<< Aaaargh! >> gracchio’ carica di stizza la Lestrange << E tutto cio’ per uno spuntino?! Pensi di offuscarci le papille gustative con questa farsa? Credi cosi’ di farci passare plebei panini per elaborata pietanza? Sei patetico e ridicolo. Moccioso! >>
Ma nessuno fece caso all’invidia della Senior Deatheater. Le sue parole rimasero nell’aria per poco, assorbite dai rumori causati dall’agitazione dei presenti. I mantelli dei commensali frusciavano, accompagnati dallo stupore e dalla curiosita’, verso l’interno della sala. Infatti non solo i cenni di Lord Voldemort invitavano ad entrare, anche un esotico e speziato profumo che si era manifestato da poco.
Il flusso di mantelli fluiva all’interno dell’Oval office, incurante dell’isolotto imbronciato che Bellatrix simboleggiava. Alla sua sinistra e alla sua destra scorrevano i compagni, noncuranti della strega e del mago immobili uno accanto all’altro.
<< Non entri, Bellatrix? Pecchi abbondantemente e sovente di tutti e sei i vizi capitali, ignorando di fare onore anche al settimo! Dimentichi l’ingordigia, la gola! Tsk, Tsk… non sei coerente… >> commento’ ironico Snape arricciando le labbra in uno dei suoi tipici e taglienti sorrisi.
Mentre terminava la frase si uni’ all’ultimo commensale che ordinato entrava in sala.
<< Puzza! >> sibilo’ la strega << Nella sala c’è una puzza… saranno i tuoi tramezzini che puzzano cosi’. Che schifo! >> aggiunse laconica la Mangiamorte mentre si incamminava anche lei per prendere posto alla tavola << Mangiare a questa ora tarda… sono certa che non digeriro’ nemmeno una briciola del tuo schifoso spuntino! >>

Davanti all’Oscuro si era formato un gruppetto di curiosi.
<< Sscio’! Via! Mi offusscate, mi… date fasstidio! Boia! >> sibilo’ seccato Voldemort, mentre con la mano eseguiva gestacci per evidenziare le parole appena pronunciate.
<< Mio signore… >> s’azzardo’ Piotr Slutsky << Ci sono dei cartellini ornati e ripiegati sparpagliati sulla tavola… anche davanti a vostra Signoria ce n’è uno. Cosa sono? >>
Severus rispose leggermente infastidito da cosi’ poca immaginazione: << Segnaposto! Se leggi su ogni cartellino, noterai che il nostro Signore ha apposto di proprio pugno il nome del commensale. Li’ prendera’ posto. >>
Phlippe Ledoux, accortosi del “faux-pas” di Piotr, si affretto’ a riportare sua Signoria il Lord di buon umore, o almeno di contenere il danno causato dal collega…
<< Uh! Oh! Ravissantes! Magnifiques! Quelles jolies “garde-places” Monseigneur ! >> e dopo essersi inchinato varie volte, ricordando i movimenti di un coltellino a serramanico incantato, saltello’ pimpante alla ricerca del suo posto leggendo ad alta voce i nomi alla destra del Lord << Bellatrix… c’est une femme… Severus… non, pas ici… Piotr… non plus… >> poi si sposto’ per leggere i nomi alla sinistra del suo Pardone << Thomas… rien! Jack… Oooh, Philippe, c’est moi , je trouvé ma place! >>
Andrej si gratto’ il cappuccio nero, indeciso se porre o no la domanda.
Si fece coraggio e chiese piu’ cortese che mai, indicando il segnaposto di Voldemort: << Mio Signore… come mai sul suo cartellino c’è scritto “CEO”? >>
Infatti sulla tavola, davanti a Voldemort, c’era un cartellino che riportava quelle tre lettere.
<< Si-i-o… Cosa vuol dire? >> gli fece eco un folto coro di Mangiamorte incuriositi.
<< Ma boia d’un boia! Vuol dire “Chief Essecutive Officer”! In poche parole comando io qui’… sse non ss’era ancora capito! Ssono o non ssono l’Essssere Ssupremo?? Boia d'un boia, che banda di ‘gnurant che ssiete. >>

Lesti i curiosi sfumarono liberando la vista al Lord. Ognuno trovo’ il suo posto e finalmente lo spuntino poteva essere consumato. Novizi e Mangiamorte sedevano compiti, solo il rumore degli stomaci bramosi insisteva contro il silenzio spettrale calato sull’Oval office. Dalle zuppiere in argento, disposte sulle tavole, si levava un promettente vapore, e ancor piu’ promettente era il profumo che solleticava le narici degli affamati. Il Signore oscuro fece servire il vino e scoperchiare contemporaneamente le terrine da incantesimi. Finalmente il misterioso contenuto venne rivelato.
Il cuoco Snape si alzo furtivo e annuncio’ il nome della pietanza: << Spaghetti al pesto! Accompagnati da un Pigato “Tenuta della Croce” anno 1995, vino bianco leggero, da servire fresco. >> per poi risedersi distinto e posare il tovagliolo sulle gambe.
Mestoli incantati servirono dei lunghissimi fili gialli lambiti da pezzettini verdi e un colore chiaro indefinito. Il tutto dava l’idea di essere piuttosto oleoso. Magiche grattugie e pezzi di un formaggio a pasta dura levitavano sui piatti facendo nevicare fiocchi di saporito condimento supplementare. Incuriositi sguardi seguivano i movimenti, sperando di poter presto assaggiare quel cibo misterioso. Bellatrix, sempre piu’ schifata, si porto’ la maschera da Mangiamorte al viso: la puzza non identificata le dava il voltastomaco. Lord Voldemort impugno’ la forchetta e la calo’ con forza nel suo piatto, ripescando alcuni spaghetti che esibi’ a mo’ di trofeo.
<< Buon appetito! Diamoci ssotto! Abbuffatevi come sse fosssse l’ultimo vosstro passto! Ssiete invitati! È tutto aggratiss! Uah… Uah… >>
Altre forchette seguirono quella del Lord. Non tutte riuscivano a portare alla bocca del commensale degli spaghetti. I feroci Mangiamorte lottavano impotenti e impacciati con quei fili oleosi che scivolavano villani nei piatti in finissima porcellana fiorentina. Qualcuno chiese se poteva usare un incantesimo per inforcare con successo la pasta impertinente. Severus a malincuore lo permise.
Un coro di “Collocibus” si diffuse, accompagnando il rumore cristallino che le posate in argento producevano punzecchiando le preziose ceramiche.
<< Aaah… Uuuh… Questa ssalssa… Oooh boia, com’è piccante! Cossa ci hai messsso dentro?! Provala! >> ordino’ l’Oscuro Signore a Severus agitando le mani verdastre davanti alla bocca come per farsi aria.
Approfittando dell’occasione, una mano argentea spunto’ da sotto il tavolo e tasto’ furtiva nel piatto di Philippe alla ricerca di cibo; ma si ritiro’ subito, per evitare la posata a quattro punte del mago francese. L’Oscuro Lord allungo’ verso il cuoco la forchetta con un boccone di spaghetti al pesto letteralmente annodati sopra.
Allungandosi per raggiungere Severus, passo’ con il boccone proprio sotto il naso di Bellatrix, ben protetto dalla maschera. Nonostante l’argentea barriera, l’odore penetrante dell’aglio s’insinuo’ prepotente dietro le quinte del metallico sipario, deciso a farsi riconoscere dalla Mangiamorte. L’operazione ando’ in porto e questa fece cadere l’argento forgiato, portandosi veloce le mani davanti al naso sigillandolo.
Arretro’ un poco, spaventatissima: << Iiiih! C’è aglio dentro! C’è aglio dentro!! Non ne voglio! Evanesco!! Evanesco allium!!>> gridava isterica la Mangiamorte.
La sedia vertebrata accolse il movimento brusco della strega fremendo e producendo un rumore di ossa scricchiolanti.
Mentre Snape provava la salsa dal suo piatto (non c’era motivo di mettere in bocca la forchetta leccata da Voldemort, la salsa era la stessa!), Thomas Fisher commento’ preoccupato: << Severus ha sbagliato la ricetta… >>
Il cuoco mastico’ lentamente il boccone, facendolo passare su tutte le parti della lingua per gustarlo attentamente. Non c’era nulla di strano nel suo pesto, la consistenza e le percentuali degli ingredienti erano a dir poco perfette: pestato nel mortaio non troppo grosso e non troppo fine, sale marino quanto bastava, un basilico maturo al punto giusto… tanto da trasportare con l’immaginazione alle soleggiate Terre liguri, pinoli maturi leggermente tostati, il miglior olio d’oliva in commercio, un parmigiano da concorso e una decente nota d’aglio finale che stuzzicava il palato a masticazione conclusa… Una sogno di una salsa, che accompagnava esclusivi spaghetti di grano duro cotti in abbondante acqua salata fino a raggiungere la tipica denominazione di “consistenza al dente”. Per una volta si era addirittura distanziato dalla pessima abitudine che aveva di spezzare gli spaghetti prima di immergerli nell’acqua bollente…
(N.d.a Ditemi voi se non ci siano i presupposti per preparare una salsa meritevole di lodi!)
<< Mio Signore, la pietanza è riuscita perfettamente. È solo un po’ saporita, ma per un mago del vostro calibro non risultera’ difficile abituarsi al gusto corposo della salsa. >>
Piotr, nel frattempo, aveva posato una mano sulla spalla di Bellatrix per riportarla alla ragione: << Ma dai, non fare cosi’ la schizzinosa! Se poi ti puzzera’ l’alito ti farai dare un po’ di acqua dentifricia da Snape! Mangia! Non hai nemmeno assaggiato… >>
Nuovamente la mano fantasma spunto’ da sotto la tavola rubando una grosso pezzo di Parmigiano.
E Thomas, sempre scettico: << Io non credo che quell’acqua dentifricia elimini completamente l’odore di aglio, dovrei provare questo miracolo per l’igiene orale, per crederci. >>
Piotr gli rispose: << Non ti sei accorto che con Nagini funziona? Simeon la da anche alla serpe e da all’ora l’odore di carne putrida nei nostri bagni è sparito! >>
Simeon, avendo udito il suo nome, si volto’ di scatto e volle sapere: << Cosa ho fatto io? >>
Philippe si stava agitando perché pensava di aver consegnato a Severus l’erba sbagliata.
<< Mio Signore… Sono forse io il colpevole? >> chiese rivolgendosi al Lord che aveva ancora il palato in fiamme.
La mano, che in apparenza non apparteneva a nessuno dei commensali, apparve nuovamente da sotto la tavola e intinse un dito argentato in una zuppiera contenente spaghetti al pesto.
Bartholomeus alzo’ la voce per fare un’osservazione a Piotr: << Attento! Metti via il coltello del pane, posalo! Stavi quasi tagliando la tovaglia in broccato. Se continui a gesticolare a quel modo con quel coltello in mano, in un domani, potresti addirittura tagliare, che so io… un orecchio a qualcuno!! >>
Per fortuna la voce di Bartholomeus copri’ il grido, quasi uno squittio, del proprietario del dito argentato che aveva provato anche lui la saporitissima salsa incriminata.
Il Lord ingurgito’ a fatica gli spaghetti, avendo cura di lasciare piu’ pesto possibile nel piatto.
Severus Snape lo noto’ e chiese cortesemente a Lord Voldemort se poteva intingere un boccone di ciabatta all’olio nel suo piatto, per “pulirlo”.
Sarebbe stato un vero crimine sprecare quella salsa divina…

Edited by Ida59 - 21/1/2007, 18:01
 
Top
view post Posted on 22/1/2007, 13:49
Avatar

I ♥ Severus


Potion Master

Group:
Administrator
Posts:
55,389
Location:
Da un dolce sogno d'amore!

Status:


Stefi, per favore, inserisci il pezzo "Il cenacolo" anche nella discussione "A tavola con Severus".

Grazie
 
Web  Top
stefi
view post Posted on 22/1/2007, 13:58




Dovrebbe esserci gia', l'ho inserito settimana scorsa.
 
Top
view post Posted on 22/1/2007, 15:02
Avatar

I ♥ Severus


Potion Master

Group:
Administrator
Posts:
55,389
Location:
Da un dolce sogno d'amore!

Status:


Cavoli!!! Ma allora, non so come, me l'ero perso perchè io l'ho letto qui per la prima volta!
 
Web  Top
Nykyo
view post Posted on 27/1/2007, 17:42




Autore: Nykyo

Tipologia: One-shot (un pò lunghina).

Genere: Drammatico, introspettivo

Personaggi: Severus Piton, Voldemort (marginalmente: Codaliscia).

Note:

  1. Non si sa come sia fatta la bacchetta di Severus, ma mi sono divertita a immaginarla, in base a quella creata dai costumisti per i film (e di cui una splendida copia troneggia sulla mia libreria). Le dimensioni sono assolutamente inventate, l'anima magica... beh, la bacchetta dei film ha il manico inciso di strani cartigli cinesi...

  2. Ok... In questo racconto non torverete un vero spuntino o brindisi di mezzanotte, ma si parla del rapporto di Severus col cibo, è appunto notte, il cerchio dei Mangiamorte c'è e... Sono sadica, quindi non potrete dire che Severus non mangi qualcosa... ma... Lo scoprirete...



Premessa: Quello che state per leggere è uno dei cosidetti "missing moments", ossia quei pezzi del racconto di cui sappiamo che sono accaduti, ma JKR non ci ha raccontato, per cui non possiamo dire cosa esattamente sia successo. In questo caso è un missing moment del IV° libro.
Voldemort è risorto e, in ritardo di due ore, Severus è tornato da lui...


Erba.





Il dolore è rosso, come lo sfrecciare di linee incandescenti sullo schermo nero delle palpebre chiuse.
Saetta da un nervo all’altro; atteso, ma non per questo meno feroce nell’azzannare i muscoli e spezzargli il fiato in gola.
Due ore di ritardo hanno il loro prezzo rovente.
Gli valgono il ruvido incontro con gli steli d’erba piegati e divelti dal suo strazio, e hanno la consistenza della terra che penetra cedevole sotto le unghie, tra le ciglia, nei capelli, perfino nelle narici e tra le pieghe delle vesti.
Terra impastata di umidità, paura, e sofferenza sulle sue labbra, tirate a ferire il volto in una smorfia contorta.

Ha una sua perfida eleganza, il dolore, nel modo agile in cui s’inarca in un fiammeggiante ponte di luce: dalla punta della bacchetta di Voldemort, fino a congiungersi col suo petto ansante.
Leggero, solca l’aria, distorcendo le tenebre all’intorno.
Esaltandole nel suo bagliore irato.
Sono le molteplici pieghe in cui il tormento lo accartoccia al suolo, impotente e scomposto, ad essere oscenamente indecorose.
Così tenta d’imprimere alle sue membra una forza pari a quella della Cruciatus, per donare loro, se non fermezza, almeno la dignità di spasmi più controllati.
Un po’ come un Imperius privo di parole, che assecondi il rombo impazzito del cuore.

Prima era più facile.
Doveva sforzarsi di chiudere la mente, all’inizio.
Questo allontanava la percezione della tortura fisica.
Era necessario concentrarsi solo sui pensieri.
Ogni frammento di memoria era stato preservato o sacrificato con cura meticolosa.
I più innocui ad aprire le fila di quell’esercito di menzogne che solo poteva marciare in sua difesa.
Bugie preparate da tempo per reggere al vaglio dell’Oscuro Signore.
Somministrate con disperata perizia.
Una per volta. Con calma, misurando la voce sull’intensità dello sguardo, e accordando il respiro ai gesti. Plasmando la cera pallida degli zigomi e i vertici delle labbra, costringendoli ora a puntare verso l’alto, ora a segnare un solco pallido di contrito stupore sul volto affilato.
Come se non potesse credere che la sua lealtà fosse messa in dubbio.
Almeno finchè la Cruciatus non era iniziata, aveva adattato l’involucro di se stesso alle aspettative di quelle pupille di rettile, che lo fissavano, che erano dentro di lui; smaniose di penetrargli l’anima.
Un muscolo alla volta, aveva ricomposto, sulla tavola anatomica della propria espressione, una maschera cucita su misura.
La spia più preziosa di Silente indossa da sempre due maschere. Una di rigido argento, adesso giace abbandonata e riversa sul prato, a fissare il cielo notturno con le cieche orbite vuote. Le stelle, troppo distanti, non si prendono nemmeno il disturbo di riverberare la propria luce pulsante sul liscio metallo inanimato.
L’altra porta il suo stesso naso imponente e ricalca il suo viso, ma nemmeno lei è specchio fedele: non riflette che falsità.
Facendosene scudo, ha lasciato che gli occhi dell’Oscuro Signore s’incuneassero nelle sue iridi nere, scivolando sinuosi tra i misteriosi ingranaggi del suo cervello.
Meccanismi alla cui perfetta manutenzione sovrintende da anni, preservandoli dalle vampe dannose del sentimento col gelo sapientemente ricreato nel proprio petto.
Anche questa notte, hanno funzionato a dovere.
I ricordi che mai avrebbero potuto contraddire la sua recita schierati avanti e, nel fondo dell’anima, quelli che, se scoperti, avrebbero significato il fallimento totale di una vita di guerra. Accanto a loro, gelosamente trattenute, le memorie che, pur non tradendolo, conservavano per lui un senso speciale. Anch’esse riposte, nella speranza quasi inconscia di poterle conservare inviolate.
Ma, in realtà, lo sapeva: li avrebbe dati in pasto al serpente che dipanava le spire nel suo intimo, se fosse stato necessario.
Sarebbero stati immolati sull’altare di una causa il cui officiante era Albus Silente.
Senza esitazioni.

Pensieri, immagini, sensazioni. Severus Piton, da anni, sa dosarli tutti a meraviglia sul bilancino dell’inganno; simili a invisibili ingredienti della pozione più preziosa.
Li ha sapientemente miscelati, fino ad un attimo fa.

A volte, è riuscito perfino a vederli, man mano che li chiamava a raccolta o li celava ancor più in profondità.
Spesso, anche prima che Lui risorgesse, quando si esercitava nella complicata arte dell’Occlumanzia, preparandosi ad oggi, riusciva ad averne una visione nitida, come se fossero palpabili.
Erano e sono custoditi in scrigni di rimorso, caparbietà e desiderio di rivalsa, proprio come le strane creature preservate da liquide, potenti misture, nei barattoli del suo laboratorio.
Quando li ripone dentro di sè, lo fa sempre con ordine meticoloso.
Poco prima, aprendoli alla cupidigia di controllo dell’Oscuro Signore, in alcuni casi, ha potuto risentirne addirittura l’aroma.
Profumo di giorni conclusi e di attimi che si ripeteranno, ma, immancabilmente, avranno ogni volta un sapore lievemente diverso.
Quello della pioggia sui tetti di Hogwarts, ad esempio, è un ricordo che gli riesce addirittura di sentire sul palato. Rotondo e pieno come una spezia.
La molle terra ha un gusto diverso: sa di orgoglio ricacciato in gola e di senso del dovere.

Finchè la Legilimanzia è stato il solo strumento dell’avida e sospettosa inquisizione di Voldemort, gli è quasi sembrato di poter ascoltare, nel silenzio delle lapidi e del buio, il clack sonoro di ognuna di quelle memorie dischiuse ad arte; centellinate. Proprio come lo schiocco secco del coperchio di un recipiente di vetro, aperto da dita sicure.
Poi la Cruciatus ha sommerso quella fievole sensazione, col suo grido trionfante.
L’anatema usa le sue stesse corde vocali per irriderlo, proclamando il potere dell’Oscuro Signore.
L’erba ha voluto accoglierlo, meno infida delle gambe, che, cedendo alle lascive lusinghe della sofferenza, l’hanno lasciato cadere.
Da prima, quando è crollato in ginocchio, i fili sottili l’hanno accettato, lambendogli le vesti, umidi e freddi, quasi a dargli conforto dal calore che pareva sciogliere dall’interno tutto il suo essere.
Infine, in un contatto più intimo e prolungato, violentemente schiacciata sotto il peso del suo corpo, che le continue contratture trattenevano riverso al suolo, l’erba ha sofferto muta il suo stesso dolore.
Voldemort ha continuato a invaderlo col suo tossico potere, astenendosi solo dall’infrangere le delicate barriere che ancora lo tengono immune dalla follia.
Per il tempo di molti respiri spezzati, mentre combattere la Legilimanzia dell’Oscuro Signore si faceva man mano difficile quanto concedere ai polmoni la tregua di una boccata d’aria, Severus si è scoperto a pregare che la mano tesa dell’oblio lo soccorresse.
Anche il bacio corrotto dell’irreparabile demenza gli è parso desiderabile più di quello di qualunque amante.
Ma sapeva di non poter cedere, e non era questo il modo in cui poteva accettare davvero di perdere la propria battaglia.
Così ha inciso con un morso feroce l’interno delle guance, ingoiando quel tepore denso e dolciastro che gli rammentava di vivere, ed ha continuato a lottare.
Non ha sentito alcun male. Gli artigli della Cruciatus sono più acuminati dei suoi denti, e sanno azzannare in più punti contemporaneamente.
Alla fine ha vinto.
La propria sopravvivenza, e di sicuro la guerra per la supremazia sulla propria mente.
Il prezzo non è stato indifferente.
E’ così ogni volta. Anche i vincitori piangono lutti incalcolabili, sebbene fingano sempre che ne sia valsa la pena.
Lui ha dovuto sacrificare un piccolo manipolo di ricordi inermi.
Reminiscenze nude, impreparate a combattere, deboli rispetto alle menzogne guerriere di cui si circonda da sempre.
Bocconi della sua infanzia, sparute e rare gemme di gioia, o di infelicità e umiliazione, per lui non meno preziose.

Sua madre che gli mostrava per la prima volta un lungo legno sottile, agitandolo sotto i suoi occhi stupiti, spalancati sul fiorire di gemme rosse in un vaso, fino ad allora vuoto.
Aveva solo due anni, ma incredibilmente rammenta ancora a perfezione il delicato turgore ricurvo dei petali, arricciati come appena dischiusi nel soffio tiepido della primavera.
Ne ha risentito il profumo persistente e sottile.
Ha ascoltato di nuovo le parole di lei, gonfie d’orgoglio e aspettative: “Questa è una bacchetta magica, Severus. Un giorno anche tu ne possiederai una”.
E lui, con le manine tese ad afferrare quell’incredibile balocco, ancora agitate solo dall’infantile, banale, intento di portarlo alla bocca e saggiarne con i sensi la consistenza.

Le sue dita più adulte, magre, lunghe e lievemente nodose, strette per la prima volta a realizzare la profezia di quel giorno.
Ha ricordato la presa ancora lievemente esitante; i polpastrelli che seguivano i rilievi dello strano decoro inciso sul manico.
Olivander scrutava intento le varie prove. Solo due, in verità, dinnanzi a quegli inquietanti occhi velati, mentre lo stregone annuiva.
Nera d’ebano, robusta eppure flessibile, la sua bacchetta aveva vibrato per la prima volta, l’anima magica guidata dalla volontà e dal movimento ora sicuro del polso.
Dodici pollici e mezzo di legno pregiato, a rinchiudere scaglie del dorso di un Petardo Cinese. Il più esotico dei Draghi, per le ambizioni di un giovane mago che non aveva mai lasciato l’Inghilterra, se non a volte nei sogni di bambino.

Questi i due attimi della sua vita che, per primi, aveva abbandonato all’irrispettosa incursione dell’Oscuro Signore, come si fa con i moribondi, lasciati indietro sulla linea sanguigna del fronte.
Poi altri, cui preferiva non ripensare.
La tortura dei baci di Eileen Prince sulla sua fronte già pallida di bimbo, esposti al fiammeggiare delle iridi inumane di Voldemort, l’aveva ferito non meno di quella del corpo.
Ma si era lasciato profanare, ruggendo via la rabbia insieme al dolore, senza che nessuno potesse distinguere l’una dall’altro.
Non era stato più facile cedergli l’emarginazione dei tempi di scuola, il desiderio vano d’essere accettato senza dover soccombere all’omologazione, l’ira e il rancore verso i suoi aguzzini, l’affetto trasformato in insulto da uno sciocco contraccolpo d’orgoglio, e sputato come veleno sull’unica persona che mai l’avesse difeso.
Eppure, vi aveva aggiunto anche il grigiore di mille giorni tutti uguali dietro a una cattedra, la frustrazione delle proprie vocazioni, la meschinità umanissima che a volte lo corrodeva.
Non aveva risparmiato quasi niente, pur sapendo che, certo, avrebbe riavuto indietro ogni memoria, ma insozzata e irrimediabilmente contaminata dalla prepotenza del padrone di cui ancora portava il marchio inciso nella carne.
Aveva tenuto per sé solo i rimorsi, e i sentimenti che facevano parte del suo bagaglio di penitente e di spia.
Gli altri erano stati sospinti fuori dai loro rifugi, palesati a Voldemort, perché a volte esibire la propria fragilità ad un Legilimante è come mettere tra le sue mani un’arma letale, ma un ottimo Occlumante sa servirsi anche delle debolezze a proprio vantaggio.
E lui sapeva di esserne in grado.
Un tempo, l’Oscuro Signore aveva colto i segni delle sue incertezze e le aveva utilizzate per farne uno schiavo. Ora, si aspettava di avere nuovamente accesso libero e incondizionato alla sua mente.
Opporsi troppo strenuamente sarebbe servito solo ad insospettirlo, mentre lasciarlo rovistare incurante tra sensazioni e ritagli del suo essere, era il modo migliore per ingenerare in Voldemort nuova fiducia e false sicurezze.

Di tutto questo, aveva avuto piena conferma.
Infine, il suo antico mentore si era ritirato, lasciandogli in bocca e tra le tempie il sentore acre della propria dignità negata, come una scia corrosiva che non l’avrebbe mai abbandonato del tutto.
Ma lo scontro era cessato.
Forse l’Oscuro Signore continuava a non confidare ciecamente in lui, né si era aspettato che lo facesse, però non vi erano prove che Severus Piton avesse tradito gli ideali di gioventù, il suo Signore e i vecchi compagni.
Si era reso conto che questo significava continuare a vivere, solo una manciata di secondi dopo aver intimamente esultato per ciò che era appena riuscito a fare.
Mettere in scacco il più grande Legilimante di tutti i tempi.
Nemmeno il dolore era riuscito a spegnere l’impeto d’orgoglio che aveva sveltito i battiti del suo cuore.
Lui poteva mentire a Voldemort, perfino sotto tortura.
Stava finalmente per diventare l’uomo di Silente. Non più solo nell’attesa, ma anche nell’azione.
La vera partita era appena iniziata.
Solo in fondo alle viscere un piccolo nodo pulsante di malinconica pena lo tormentava, malgrado tutto.
Era la consapevolezza di quanto ormai la menzogna fosse connaturata in lui, al punto di sgorgare spontanea in sua difesa, divenuta ormai un automatismo talmente vitale e perfezionato che nemmeno per un istante aveva dovuto pensare a come servirsene.

Mentiva con la medesima meccanica facilità inconscia con la quale respirava o batteva le palpebre.
Se avesse dovuto riflettere per riuscirci, sarebbe morto.
All’Oscuro Signore non sarebbe sfuggita la mano che muoveva i fili dei suoi pensieri facendone marionette d’assalto.
Se era ancora vivo e poteva finalmente cominciare a combattere sul serio, era esclusivamente perché sapeva trasfigurare la bugia in realtà e la verità in inganno.
Eppure, l’accorgersene portava con sé l’amarezza di perdersi sempre di più.
Quanto restava ormai di Severus? Chi era Severus?
Aveva ricacciato indietro quest’interrogativo, sostituendolo con una muta preghiera: che un giorno saperlo, non avesse più alcuna importanza, nemmeno per lui.

Anche la Cruciatus si era conclusa, insieme con la prepotente Legilimanzia dell’Oscuro Signore.
Voldemort gli aveva concesso il tempo di tirare il fiato.
Sapeva che la tregua non sarebbe durata a lungo.
Fino ad allora, la tortura era stata solo uno strumento, un prolungamento atroce del potenziale invasivo con cui il suo antagonista gli aveva smembrato il cervello, alla ricerca di fedeltà o tradimento.
Ma l’Oscuro Signore non l’aveva ancora realmente punito per il gravissimo ritardo nell’accorrere alla sua imperiosa chiamata.
L’avrebbe fatto, Severus ne era certo.
Così, aveva approfittato del silenzio della notte, rotto solo dal tamburo impazzito del suo cuore, per richiamare a se le forze residue e placare la sete avida dei polmoni.
Poi, aveva tentato di rialzarsi.
Perché era nella sua indole orgogliosa e caparbia, e, per quella notte, aveva lasciato calpestare fin troppo la propria dignità.
Né Voldemort si sarebbe aspettato di meno da lui, sebbene fosse un’aperta sfida.
L’Oscuro Signore gli conosceva quest’ostinata fierezza e, almeno in questo, Severus Piton non era cambiato.
Aveva stretto i pugni, un attimo prima di sollevarsi sulle ginocchia tremanti, perché era sicuro che nell’esatto istante in cui fosse riuscito almeno in parte a rivendicare, anche nella postura, il suo decoro di uomo, Voldemort avrebbe ripreso il tormento, solo per esibirlo domo, dinnanzi alla platea silenziosa dei pochi Mangiamorte rimasti nel cerchio.
Non era stato smentito.
Ancora una volta, il fuoco rovente della Cruciatus aveva bruciato la sua volontà di affrontare il proprio nemico in piedi.
Ed era stato peggio, con la mente ormai libera di appuntarsi ossessiva solo sulle unghiate di dolore che, pur non spandendo il suo sangue, lo dilaniavano ripetutamente, affondando nei muscoli, saggiando la flessibilità delle ossa, grattando sulle corde tese dei nervi.

* * *



La nausea è verde, come la linfa che sanguina dai fili d’erba recisi, macchiando col suo sapore acidulo lo smalto dei denti, serrati in uno scricchiolio dolente della mandibola.
Non è ancora finita.
Severus non è più in grado di dire da quanto tempo continua.
Sebbene libera dalle incursioni dell’Oscuro Signore, la sua mente non percepisce più lo scorrere lineare del tempo.
Forse sono ore, o appena manciate di eterni secondi, minuti dilatati dallo sfilacciarsi della sua coscienza.
Un angolo recondito del suo cervello lotta ancora, con una sola priorità: non spegnersi definitivamente, perché Voldemort potrebbe tornare ad invaderlo in qualunque momento e la spia non può permettersi di farsi cogliere alla sprovvista.
Mai.
Il resto è buio ottuso, illuminato solo da quegli sprazzi di rossa sofferenza, a riversare nel suo stomaco verdi colate di disgusto, per farle poi risalire lungo la gola in lunghi conati a malapena trattenuti.
L’unico sforzo che riesce ancora a compiere coscientemente è quello necessario per affondare il capo nelle zolle devastate dai suoi spasmi e mordere, lacerando i gambi sottili che gli solleticano il viso, innocenti eppure condannati.
C’è stato un momento, non sa più dire quando, in cui il suono delle sue stesse grida arrochite è divenuto insopportabile più del dolore.
Inaccettabile degradazione, osceno e indecoroso omaggio ad una potenza di cui non riconosce più il dominio.
Così, farebbe qualunque cosa, pur di riuscire a non urlare.
Non importa se la terra gli lega la bocca, mescolandosi con la sua saliva.
Né del sentore di clorofilla morente che ormai gli invade anche le narici, acuendo la nausea.
Quasi non respira, premuto contro quel farinoso guanciale disfatto, ma passerà.
Rammenta a se stesso che in fondo lo merita, perché il sangue chiama sangue, ed il dolore è un dono che torna sempre tra le mani di chi per primo l’ha elargito.
E’ giusto, ma pensarlo lo riempie di un ribrezzo ancor più incontenibile, che nulla ha a che fare col cibo.
Lo riconosce anche nella vuota oscurità in cui affonda sempre più rapidamente di minuto in minuto: disgusto di sé, uno dei suoi più fedeli compagni.
Una presenza che gli cammina sempre accanto.
Eppure non può arrendersi.
Ha assicurato ad Albus che sarebbe stato in grado, che era pronto.
Non era vero. Almeno non completamente.
Sulla sua perizia ha contato fin dal principio, e non ne è stato tradito, ma non si è mai realmente preparati a lasciarsi violare mente e anima, per quanto si possa fingere di esserlo.

L’ennesimo conato che lo scuote gli rammenta che solo poche ore prima sedeva in Sala Grande, intento ad una rapida cena, prima dell’ultima prova del Torneo Tremaghi.
Non aveva mandato giù che pochi bocconi, svogliatamente, per nulla attento a quel che gli si materializzava di volta in volta nel piatto.
Il cibo, da sempre, lo interessa ben poco.
Ha, come tutti, qualche piatto preferito; ci sono spezie, aromi, sapori che lo allettano, o che gli rammentano attimi, colori, persone, al punto che a volte assaggiarli è un modo per ricordare o per concedersi piccole briciole di normalità.
Ciò nonostante, non indulge mai nelle profumate lusinghe della gola, un po’ per indole, e in parte perché la sua mente e il suo cuore si soffermano sempre su qualcosa di ben più grave rispetto alle gioie del palato.
Severus Piton si nutre perché deve, e nient’altro.
Gli basta anche solo ritrovarsi alle prese con una nuova pozione, o tenere per la prima volta tra le dita un volume mai letto, per scordarsi totalmente il cibo, ignorando perfino gli indignati brontolii del suo stomaco.
Quando più pressanti ansie gli rimbombano tra le tempie, pur non solcando la sua fronte con un corruccio evidente, allora potrebbe anche dimenticarsi di mangiare per giorni.
A volte è accaduto che lo facesse davvero.
A Spinner’s End, dove non ha l’obbligo di presenziare ai pasti di un’intera scuola, e sfugge al preoccupato controllo delle iridi chiare di Silente o al lieve tepore che sente, pur non ammettendolo, ogni volta che Minerva s’informa di lui, fingendo leggerezza e domandandogli se quella mattina ha fatto colazione. Del resto, lei palesa la medesima formalità distratta anche nel chiedergli, talvolta, se ha dormito abbastanza; la reale apprensione che la anima svelata suo malgrado dall’accentuarsi della dolcezza negli occhi severi.
Domani, magari, le leggerà in viso anche qualche nuova ruga, mentre lei lo scruterà in cerca di comprendere quale prezzo ha pagato per ottenere il proprio ruolo in prima linea.
Le risponderà brusco che è abituato a dormire ben poco, ma né la sua mente né il suo fisico ne hanno mai sofferto, e sbocconcellerà qualcosa, solo per dimostrarle che sta bene, anche se non è vero, ed ora il solo pensiero della tavola dei professori, appetitosamente imbandita, gli rivolta le viscere con una nuova ondata di nausea, quasi incontenibile.

Poi, all’improvviso l’anatema cessa di sezionargli le carni con la sua lama invisibile.
La voce stessa di Voldemort pare sovrastarlo, provenendo dall’alto, mentre il corpo appena rinnovato del mago oscuro getta la sua ombra di tenebra sullo spettacolo del suo, ancora prono e tremante.
“Voglio crederti, Severus. Vivrai per continuare a servirmi lealmente, come sempre” sibila freddo come vento di dicembre tra i rami ormai spogli di un albero.
“Mi aspetto grandi cose da chi ha osato non rispondere subito ai miei comandi, solo per tributarmi la sua fedeltà più assoluta… ”
Severus sente il brivido della certezza percorrergli la schiena, mentre le membra tremano al comando di una paura che non potrà mai frenare i suoi passi, ma che gli è impossibile non avvertire. La sente nel correre selvaggio del sangue di vena in vena.
Non sarà l’ultima prova cui l’Oscuro Signore lo sottoporrà. Finchè Voldemort avrà vita, la mente di Severus Piton dovrà essergli offerta.
Dovrà prostituire le sue emozioni e memorie alle voglie di un padrone, donando altre menzogne, come una puttana stanca elargisce sorrisi di cui non conosce la gioia, con gli occhi spenti e il cuore pesante.
Se è questo il prezzo per il riscatto della propria anima, lo farà, pur di veder spegnere un giorno la brace indegna di quegli occhi infuocati dell’altrui sangue.
“Del resto” e nel tono di Voldemort aleggia una sorridente minaccia che si rispecchia ferale sul volto deforme, senza illuminarlo, “da oggi in poi, c’è posto solo al mio fianco o contro di me. Ma tu sei intelligente, Severus, sai scegliere. Sai che non tollererò più alcun ostacolo alla mia ascesa”.
La pelle del mago percepisce ogni stilettata di velenoso avvertimento, attraverso quella voce, distorta quanto l’uomo da cui promana. La comprende, prima ancora che udirla, nel sollevarsi spontaneo dei rilievi del Marchio sull’avambraccio sinistro.
Il teschio si sta facendo più che mai nitido in quel preciso istante. Lo sa anche senza vederlo.
L’Oscuro Signore è in lui, e sempre lo sarà, con lasciva prepotenza priva di calore, finchè non l’avrà fermato.
“Alzati ora, puoi andare” è il distratto congedo ad uno schiavo la cui vita è stata appena risparmiata da chi l’ha comprata.
Gli viene graziosamente concesso di risollevarsi, gli viene consentito magnanimamente di camminare di nuovo a testa alta, se avrà forze sufficienti per farlo.
Col volto levato, come se fosse un uomo e non solo un oggetto su cui le arcane iridi di rettile non posano nemmeno più uno sguardo sdegnoso.
Ma è solo una farsa.
Lui conta meno di niente. Nessuno esiste per Lord Voldemort, se non come mezzo con cui raggiungere i propri fini.
Questo pensiero lo trattiene al suolo ancora per un momento, a tentare di ricomporre il volto perché non s’increspi in solchi profondi di rabbia, quando alzerà finalmente il capo.
Non può permettersi di mostrare quanto è grato e orgoglioso di essere un fragile e patetico essere umano, e non una creatura priva di qualunque sentimento come l’oscuro stregone che già gli volta le spalle.
Credeva di conoscere il ghiaccio di un cuore domato da anni di rinunce, ma c’è più gelo in un solo schioccare di dita del suo antico mentore di quanto mai ne abbia conosciuto nel silenzio vuoto del suo sotterraneo, o nelle notti interminabili d’incubi, pregni di struggente rimorso.
E’ abbastanza da soffocargli ogni calore nel petto, tranne quello, doloroso, che ancora gli impregna i muscoli indolenziti.
Voldemort si smaterializza senza più un cenno, e gli altri ne seguono obbedienti l’esempio, sforzandosi d’ignorare il terrore che ciascuno di loro ha provato per tutto il tempo: quello di divenire anche loro nulla più che un insignificante grumo di morte abbandonato tra le tombe immote.

Facendo leva più sulla volontà che sulle braccia, Severus si spinge a sedere sui talloni, tentando di non pensare alla terra che ancora crepita tra i denti, ostinati a non schiudersi per paura di lasciar uscire nausea e bile.
Solamente allora si accorgere di non essere solo nel vecchio cimitero dimenticato.
Peter Minus, Codaliscia, è rimasto indietro e lo osserva con un’espressione che riesce a riportarlo ai giorni di scuola.
L’orgasmo dell’aver assistito al suo strazio gli luccica ancora in fondo agli occhi, ridotti a due fessure dal crudele e profondo godimento.
“Sempre a terra, eh, Snivellus? Gli anni passano, ma tu non cambi mai: finisci comunque in ginocchio” lo beffa, pur avendo cura di tenersi a debita distanza dalla figura fremente ancora china sul prato.
L’esperienza gli ha insegnato che Severus Piton, per quanto vessato, è capace di azzannare il bastone con cui lo si pungola, in qualunque momento.
Non riceve in cambio lo scatto nervoso che s’era aspettato.
Se anche le gambe fossero già salde, Severus non sprecherebbe per lui un singolo cedimento del proprio ferreo autocontrollo.
Si alza lentamente.
Inspira.
Muove un breve passo vacillante, eppure deciso, in direzione dell’Animagus e la bacchetta è già stretta nel pugno. Il rilievo eccessivo delle nocche sul legno dell’impugnatura è l’unico segno esteriore della furia che lo anima.
“Ricorda, patetico ratto: non importa quanto tu ora sia vicino all’Oscuro Signore, io per te sono Severus Piton! Pronuncia ancora una volta solo mezza sillaba di quel nomignolo idiota, e ti giuro che sarai morto prima che la successiva faccia in tempo ad uscirti di bocca!”
Lo scandisce con tale composta malevolenza ad infiammare il nero delle iridi, da scordarsi di avere il palato ancora incrostato d’erba e ribrezzo.
Perfino Minus, arretrando, dimentica lo sfacelo delle vesti di Piton e non riesce più a scorgere l’inusuale groviglio annodato dei capelli corvini, normalmente trattenuti in due bande severe a incorniciare l’austerità del viso.
Vede solo una minaccia che gli si fa incontro sicura, e se si azzarda a replicare è soltanto per convincere se stesso che non potrà mai avverarsi.
“L’argento di questa” ribatte, alzando tronfio la sua mano nuova, ma ugualmente compiendo un altro passo indietro, “vale molto più di quello della tua maschera”. Gli occhi sporgenti lasciano correre lo sguardo allarmato fino al metallico viso da Mangiamorte dimenticato sul prato.
“Ho donato io al Padrone una nuova vita e un corpo. Non dimenticartene!” conclude, ma non osa ripetere lo sprezzante appellativo d’un tempo.
Severus non è mai davvero innocuo, e lui non intende scoprire se si può morire nell’intervallo che corre fra una esse e l’altra di un soprannome spietato.
Però, non sa andarsene senza un’ultima stilla di sadico piacere, quindi lo fustiga un’ultima volta “Eri un vero spettacolo, mentre ti contorcevi gridando. Eri molto meglio di quel ragazzino… L’ho ucciso io, è caduto esattamente nello stesso punto in cui non hai fatto che strisciare. Proprio lì, dove sei crollato. Potevi fare la sua stessa fine, ma sarebbe stato meno divertente starti a guardare”.
Poi svanisce svelto, in un impeto di codarda prudenza.

Finalmente solo, Severus si concede di cedere ancora. O forse, sarebbe tornato comunque all’abbraccio dell’erba, il cui sentore sulla lingua ora gli pare il fiele più amaro che abbia mai bevuto.
Quasi si aspetta di distinguere, tra terriccio e linfa, anche il sapore dolciastro del sangue di Cedric Diggory, ed un lungo conato lo piega.
Si chiude su se stesso, il viso tra le ginocchia.
Tossisce raccapriccio e saliva, premendosi le mani sullo stomaco, per frenarlo prima che riversi il suo contenuto sul tappeto erboso.
Gli parrebbe di compiere un orribile sacrilegio, di profanare una tomba.
Non può, deve riuscire a trattenersi.
Nel buio che lo circonda, è come se l’oscurità della notte avesse rubato alla solitaria distesa di steli tutto il verde, per riversarlo nella sua gola, cui tenta disperatamente di impartire l’ordine di serrarsi.
Alla fine riesce, ricacciando indietro anche le poche lacrime, scese a lavargli in due umide scie il volto contratto.
Le sente ancora, salate, agli angoli degli occhi e nel naso, mentre riesce a stento a infilare qualche respiro tra i colpi di tosse che gli squassano il petto.
Ascolta il battito del proprio cuore, ma sente soltanto l’assenza di altri battiti che si sono spenti prima del tempo, poche ore addietro.
Esclude anche quel suono straziante dalla propria mente, finchè non riesce a percepire esclusivamente il silenzio della tanta morte che ha intorno.
Questo lo calma, adagio.
Raddrizza le spalle.
Non aveva mai pensato di uscire indenne da questa notte, ma non tornerà al necessario scrosciare di una doccia e al fresco riparo delle proprie lenzuola, finchè non si sarà ricomposto.
Può mostrarsi così alla critica sfacciata delle stelle che lo occhieggiano tremule dall’alto, ma mai a Silente.
Riscopre piano i propri muscoli, convincendoli a non smettere di cooperare col cervello.
Si riappropria, con un gesto rapido, della più leggera tra le sue due maschere, quella d’argento, facendola sparire tra le pieghe del mantello. Poi torna ad indossare l’altra, assai più gravosa, dipingendosi il viso di fredda imperscrutabilità.
Rassettare e ripulire le vesti non lo purifica affatto. Non lo assolve dal passato, né dalla sensazione di non essere stato pronto abbastanza per evitare il ritorno di Voldemort e salvare una vita innocente.
Ingoia gli ultimi grumi d’erba e fango, rammentandosi che perfino Potter è stato ad un passo dal baratro, quella notte.
Tutto poteva andare perduto.
Ma non accadrà più che l’Oscuro Signore lo colga impreparato.
Non può permetterlo.
Ci saranno sicuramente altre Cruciatus, nuove menzogne propinate col veleno nel cuore, nuove vittime innocenti, ma prima o poi tutto questo avrà fine.
Forse lui non vedrà quel giorno, ma riuscirà a condurre Voldemort verso una distruzione che, finalmente, non preveda ritorno.



Lo giura, ad ogni singolo filo d’erba, alle lapidi, anche quelle che non affondano le loro immobili radici di marmo in questo cimitero.
Lo promette a se stesso, un attimo prima di smaterializzarsi, nel viola dell’alba che inizia ad allungare le sue dita di luce sugli angeli di pietra mutilati dal tempo, e sulle urne mute con le loro sbiadite incisioni di nomi e cordoglio.
E’ solo questione di tempo; un giorno, ogni conto sarà saldato.
Allora, se potrà, tornerà qui, a inginocchiarsi.
Ma solo per un dovuto dignitoso omaggio alla prima inconsapevole vittima della nuova guerra.

Fine



Edited by Ida59 - 27/1/2007, 18:40
 
Top
view post Posted on 27/1/2007, 17:55
Avatar

I ♥ Severus


Potion Master

Group:
Administrator
Posts:
55,389
Location:
Da un dolce sogno d'amore!

Status:


Da brividi Niky, è bellissima, intensa, sconvolgente, stupenda. C'è tutto, perfino Lily! Nella parte iniziale, quando lui ha sacrificato i suoi inermi ricordi, sono stata vicina alle lacrime. Ed anch'io ho sentito il "sapore" della pioggia.

Sei bravissima, sempre di più, a scrivere e ad usare le parole, in un delicato equilibrio di aggettivi, sostantivi e avverbi che disegnano immagini e proiettano profumi e sapori, mentre i significati profondi penetrano decisi nel cervello e le intense emozioni raggiungono il cuore ed il lettore rimane senza fiato, pietrificato, incapace di levare gli occhi dalle tue parole.

Veramente stupenda, invidio la tua bravura!
 
Web  Top
Astry
view post Posted on 27/1/2007, 18:05




Carissima Niky, ti do un piccolo consiglio: stà alla larga dalla pianta di lavanda, perchè, con tutto quello che gli stai facendo, quel povero Cristo potrebbe anche decidere di vendicarsi.
Come lo cruci tu, nessuno ci riesce, sembra davvero di sentire il suo insopportabile dolore.
Fanno male le tue parole Niky e tu lo sai benissimo, sai usarle come un pugnale ed io ti adoro e ti odio per questo.

Astry
 
Top
Nykyo
view post Posted on 27/1/2007, 19:02




Ida, Astry, finitela di farmi arrossire ^////^

Comunque, sono felice che vi piaccia... Povero Severus, quante gliene facciamo passare io e JKR... ma sentirmi dire che come lo crucio io non lo crucia nessuno... Oddio... eheheh, povero davvero.
E' che non posso farci nulla: adoro sondare l'animo umano nei momenti di massima difficoltà. Quando penso a una nuova storia la trovo sempre più stimolante se c'è di mezzo qualcosa di particolarmente intenso. L'idea della Cruciatus unita allo sforzo del Legilimante per me era irresistibile.

Quindi, Astry, tesoro, non odiarmi, su ;)

E grazie a tutte e due. Mi fate sempre venir voglia di migliorarmi.

Ny
 
Top
DamaVerde
icon12  view post Posted on 8/2/2007, 11:50




Alla Fine della Notte



Fanfiction scritta da Mariacarla;
Personaggi Principali: Severus Piton ed i Mangiamorte
Genere: One-Shot
Rating: Per tutti



E’ dolce la sera. Offre una consolazione malinconica, antica. Mi fermo alla finestra, aspetto, osservo il mondo che passa. Il tramonto, il primo buio.
Attendo la notte.

Buonanotte… Londra.

Ascolto ed osservo. Socchiudo gli occhi ed immagino un colore per questo vento sottile che scivola tra le fessure, solleva le tende. Corteggia la luce, la dolce fiamma della candela.
A volte… la spegne.
Io so che questo vento è rosso come la furia, come la passione, come la vita. Come l’ultima scintilla della fiammella che si lascia domare. Ed anche quando resta solo oscurità, io so che è stato fatto per amore. Solo per amore.

La luce si è spenta, si sono riaccese le stelle. Sopra Londra, sopra I banchi di nebbia e fumo. Sopra di noi. Oltre la vetrata.

Il Signore e la sua Corte.
C’è lui al centro di tutto, lui con la sua strana luce oscura. Un punto buio in una stanza nera. Il potere, il destino, la morte. E noi. Noi raccolti in preghiera.
Il Signore e la sua Corte. Ecco!
Un’immagine sospesa a metà tra un dipinto dell’Ottocento, ed un mosaico Bizantino. Mi piace pensarlo.
Così il cerchio è perfetto. L’Oscuro Signore, e noi. Lucius alla sua destra, ed io alla sua sinistra… come angeli castigatori al fianco di un dio irritato dalla stupidità degli uomini. E Bellatrix con una rosa rossa tra i capelli e gli occhi accesi come tizzoni ardenti, e Rodolphus che con un sorriso sbilenco sul viso non la perde di vista neanche per un solo istante, con l’adorazione che solo l’amore sa dare, l’amore che ha resistito al dolore ed alla privazione. Antonin nell’angolo più scuro, Evan che sfiora i suoi dadi da gioco attraverso il tessuto della giacca. Tutti gli altri.
Siamo noi, senza maschere. Più veri che nella luce di mille soli.
E’ così; quando la Corte si ritrova in un cerchio che comprende tutti i nostri sogni, le nostre speranze, i nostri sentimenti ed i nostri rimorsi… non ci sono più maschere; quelle le lasciamo per il resto del mondo, per chi crede che solo quello che si muove nella luce sia puro e vero.

E quando persino le stelle cominciano a spegnersi e tutte le decisioni più amare sono state prese… l’Oscuro Signore arretra verso i battenti della finestra e verso i suoi desideri che lui solo conosce… lì dove nessuno può raggiungerlo, e noi attendiamo un gesto di Lucius, quasi un gesto galante verso le porte che si aprono per incanto sulla nostra piccola stanza dei piaceri.
Allora i profumi delle spezie si rivelano senza nascondere nulla: la cannella, il cacao, lo zenzero. Il delizioso aroma degli arrosti e dei dolci, e lo splendore degli argenti.
Sappiamo essere uniti nel dolore, lo siamo nella gioia.
E’ in questi momenti che non ho dubbi sulla mia, sulla nostra umanità: qualcuno ha detto che ciò che conta è il fine, ma non la strada che intraprendi per arrivare. Altri ancora, al contrario, scrivono che quel che importa è il viaggio e non la meta.
So che non è così semplice, ma non ho mai creduto che questa persona chiamata Severus fosse “semplice”. Non lo sono. Ma come ogni altro essere umano al mondo, che sia un mago o che non lo sia, che viva qui o a migliaia di chilometri di distanza… so apprezzare il piacere di una cena con le uniche persone che abbia mai creduto amiche. Questo fa di me una persona comune nonostante tutto. Anche questo conta.
- Allora, Severus? – la voce di Lucius mi richiama spesso dalle mie riflessioni. Lui mi da una piccola pacca sulla spalla, come si usa fare tra amici, e attende che anche io varchi la soglia del nostro giardino delle delizie.

Quando avevo molti anni di meno, quando ero bambino, abitavo in un villino grigiastro senza altro orizzonte che la imponente sagoma di una ciminiera, con l’imperativo di non poter mai aprire la finestra senza essere soffocato dagli effluvi di quella che di solito viene chiamata “civiltà moderna”: sbuffi di vapore e banchi di fumo.
Ma certe notti avevo l’impressione che nonostante i vetri chiusi… un piccolo spiffero di vento riuscisse ad entrare, a scivolare verso il mio letto… e sapeva di curry, e di spezie esotiche, di vecchie storie, di viaggi, di avventure. Di una umanità differente… Lo racconto così, in breve. Due parole per dire di anni di fantasticherie.
…E se avessi aperto la finestra mi sarei affacciato su un mondo più vasto, privo di ciminiere. Un immenso e puro giardino. Un giardino profumato dei piaceri provenienti dai quattro più remoti angoli del Creato.
Nel mondo che verrà, in quel mondo che desidero costruire… non ci saranno più ciminiere: forse quello che ho visto è uno dei motivi per quello che sono.

- Allora, Severus? Cosa stai sognando adesso? -
Gli sorrido – Chissà… -
Anche Lucius sorride prima di correre incontro a Narcissa che, come una brava padrona di casa, già ci aspetta dall’altra parte.
Così siamo qui, ancora qui tutti insieme.
- Ancora un pò d’arrosto, grazie. -
Sono questi i momenti in cui riesco davvero a “sentire” i sapori, a cercare i retrogusti, a immaginare nuovi modi per esaltare quella carne o quel dolce; forse per il resto del tempo digiuno solo per questo. Certi giorni, immerso tra vapori e provette dimentico ogni altra cosa. Ci sono solo i miei esperimenti. Ma non adesso: lo ripeto ancora ed ancora a me stesso, sollevando una forchetta d’argento e sorridendo ad un cosciotto di pollo.
La nostra cena, la Corte alle prese con i più innocenti e goduriosi divertimenti. E dopo… ancora qui, quando già albeggia.
E ogni volta so che la poltroncina foderata di velluto verde sarà mia, che siederò con un calice di vino scuro come il sangue tra le dita, ed allungherò i piedi verso le braci ardenti nel camino. Narcissa si sarà addormentata sul divanetto senza finire una partita a scacchi, e Lucius sarà scivolato al pianoforte. Bellatrix e Rodolphus staranno discorrendo a voce bassa, lei con la punta delle dita e l’angolo della bocca ancora sporchi di zucchero a velo, e lui con un vassoio ormai vuoto in una mano ed un fazzolettino di lino nell’altra. Evan immerso in un solitario a carte, ed Antonin immobile come una sentinella al balcone. Barty perduto nella lettura di un libro.
Ciascuno di noi ha qualcosa da fare, ciascuno di noi sa cosa deve fare.
Ciascuno di noi sa quando essere una persona… e quando un soldato.
Sappiamo vivere, oltre che dare la morte.
E tutto questo ha un senso per noi, per me.
Continuiamo a credere, a sperare. A vivere.
Ecco perché sorseggio ancora questo vino, e sorrido. Sorrido al futuro, alla fine di quella che chiamano notte.

Buongiorno, Londra.

*Fine*
 
Top
Earendil
view post Posted on 27/3/2007, 16:37




Autore: Earendil

Titolo: Inedia per me stesso

Rating: G

Scritta: poco fa

Genere: One-shot

Collocazione: Spuntino di mezzanotte

Riassunto: uno sfogo tra dolore e necessità...

Il sole tramonta al di là dell’orizzonte ed il mio cuore con lui.
Scende lento in abissi da cui ero faticosamente risalito, e in cui ancora di nuovo mi getto dai facili castelli di equilibrio che mi ero voluto costruire.
Vacua, la bacchetta mi fissa da terra, domandandomi il perché di tanto male, e forse in fondo me lo sto chiedendo anch’io.
Solo… non trovo risposta se non nella mia fedeltà.

<<uccidimi, ti prego>>, dici prima di volare, Albus, e le parole graffiano le pareti dell’anima.
Lo guardo, e lo scaglio giù, così come gli ho promesso.
Già, promesse, frasi che suggellano destini, e dispensano dolore come se fosse bello vedersi morire ogni giorno poco a poco.
Ormai non ha più senso la mia anima, e nonostante fossi cosciente di quello che dovevo fare sulla Torre, non ho più forza questa notte da riservare a me stesso dopo quello che ho fatto e ad ipotetiche scuse, che so il mio cuore abbandonerebbe lungo la mia strada insanguinata.
Ripenso incessantemente a quello che è accaduto a scuola solo un paio d’ore fa, e già mi sembra lontanissimo.
Un soffio gelido del mio passato, un’altra lacrima che lentamente va a spegnere il fuoco nero nei miei occhi!
Tutto questo è ciò che resta di sbagliati ideali di gioventù.
Tutto questo mi resta delle tue dolci promesse, Oscuro, e adesso che ti ho davanti, realizzo ancor di più d’aver fatto il mio dovere e di non aver mai cessato di tradirti, solo per Albus.
Capisco che a volte la coerenza ha un prezzo assai più caro del tradimento stesso.
Tu non hai più un’anima: l’hai perduta inesorabilmente lungo la via all’immortalità.
Io l’ho smarrita tempo addietro, misero mortale che ora cerca riscatto nel silenzio e nella solitudine di cui voglio circondarmi ora più che mai.
La mia fedeltà non è mai andata a te, Signore Nero, se non in principio, quando ero un giovane cieco.
D’un tratto gli occhi scintillanti di un mago buono, l'unico che tu abbia mai temuto, mi hanno fatto comprendere la mia verità, chi io fossi realmente, e la lealtà è andata a lui, potente Bianco a stagliarsi contro le tue tenebre.
Ho distrutto lui, la luce che mi guidava, solo in nome di una guerra che deve proseguire, al di là delle vittime che miete.
Mentre la notte si affaccia sul mio mondo sempre più vuoto, ho freddo. E la mia anima urla disperata e bisognosa di coraggio.
So che devo andare avanti, come ti ho promesso, Albus, e niente mi fermerà.
Ti ho ucciso perchè lo volevi, in nome dell'Ordine e della salvezza di Draco.
Non sei morto per te, ma per tutti noi.
Ora comincino le danze.

Ondeggiamo in questo cerchio, mangiando la morte, mangiando le nostre vite, dannate e asservite alla causa dei folli. O almeno le vostre vite. Io mi sono ravveduto grazie al Bianco, ma il fio delle mie colpe non sarà mai interamente pagato. Troppe sangue da me versato.
Ondeggiamo intorno a te, Oscuro, il sole del destino di questi fanatici, nella notte più tremenda. E del mio.
Perché, voglio o non voglio, il mio futuro dipende unicamente dalla tua caduta.
Tra tutti il tuo sguardo è fisso su di me, illuminato da un orgoglio che accresce ancora il mio disprezzo per la persona che sono, e persevera nella falsità fingendosi un servo quale non sono mai stato di nessuno.
Si, l'ho ucciso, ma non per te, ma per lui, e lui e porto per gli altri.
Fingevo - che attore superbo - d'obbedire a un tuo ordine scagliandolo nel vuoto.
E invece il suo destino se l'era segnato da solo, il Bianco, e aveva incaricato me d'impersonare la sua ultima ora.
E ancora una volta ti ho ingannato.
Ti avvicini, sembri quasi sfiorare la terra di noi miseri esseri umani. Mi consegni un pugnale d’argento, puro e immacolato.
Pronto ad essere screziato di nuovo e a costellarmi la vita di nuove morti. Il pegno per un figliol prodigo che torna dal padre dopo tanto tempo.
Mi accogli di nuovo tra i tuoi adepti, ma non sai che sono solo una spia.
Mormoro un fievole ringraziamento, e riprendo a salmodiare il tuo nome. A te non importano esseri luci e intelligenti che realizzino servizievoli i tuoi capricci, ma fredde macchine di morte, prive di volontà.
E cosa sono io, se non un vuoto che si aggira sulla terra, sbiadendo nel nulla di un’esistenza che ho perduto tempo fa, e ho perso ancora uccidendo contro il mio volere? Non forse tradito innanzitutto me stesso?
Cosa sono, se non la fredda luce della luna che si riflette in mari dannati e deserti maledetti?
Sono un uomo spento, e nulla più, dalle mie mani morte senza confini per chi si frappone fra noi e la vittoria finale.
Morte senza fine, in un mondo più buio e senza ragione nella violenza, di cui io mio malgrado recito benissimo la parte.
Morte per il Bianco, a cui è andata fino all'estremo istante la mia lealtà: non potevo fare altrimenti, ma me ne dolgo all'infinito.
Ed ora ciò che bramo è solo il sonno. Sono un uomo e nulla più, ma i bisogni restano.
E magari, quando questa farsa sarà conclusa, mi ritirerò in qualche tana come un topo solitario e mangerò prima di dissolvermi in sogni tormentati.

Ho freddo, e fame.
Mi sembra un secolo che ho assaporato del cibo.
Forse sto semplicemente diventando sempre meno umano, e mi allontano dalle più basilari necessità fisiche. O forse voglio illudermi che non mi risveglierò, e che sono libero di scegliere: scegliere di lasciarmi andare, uscire di scena in punta di piedi senza che nessuno pianga sulla mia tomba, se mai ne avrò una.
Una volta che avrò lasciato questo cerchio di sangue che ti celebra, potrò trovare un pò di requie, mangiare e poi finalmente dormire.
Forse non merito nemmeno di nutrirmi di quelle poche vivande che qualche buon mangiamorte mi ha procurato e sistemato nel nascondiglio destinatomi da te, Oscuro.
Forse dovre lasciarmi morire di fame, non toccare mai più cibo e acqua, fonte di vita per gli esseri umani.
Ma io non sono più un essere umano.
Forse lasciarmi morire di fame sarebbe la pena più giusta.
Inedia... sì.
Ti ho sempre obbedito, Albus: non ti seccherai se per una volta assecondo un mio desiderio.
Perchè continuare a vivere?
Perchè fingere di essere ancora un uomo?
Nè cibo, nè acqua, solo morte.
Mi piacerebbe, ma non posso: una promessa mi vincola.
Non ti ho ucciso per nulla, ma perchè così mi hai ordinato, Bianco.
E se muio, il mio gesto sarebbe vano e graverei la mia anima dell'ulteriore peso di aver tradito anche te, alla fine.

Non posso farlo.
Continuerò a vivere.
Così sia, degna conclusione della tua preghiera che ho esaudito controvoglia sulla Torre, prima di ucciderti, Bianco, e prima di raggiungere te, Oscuro, e voi odiati automi di distruzione.
Non ti avrò ucciso per nulla, almeno, Albus.

E dunque, ancora non è finita, e dovrò aspettare prima di lasciarmi ai sogni e alla notte.
Non posso morire.
Allora vivrò anche domani portando a termine il mio compito e aiutare il prescelto dal destino a distruggerti.
E ancora soffrirò.
 
Top
Earendil
view post Posted on 30/3/2007, 14:58




Mariacarla, non ci conosciamo, quindi anzitutto piacere....
Stupendo il tuo lavoro, un mosaico di umanità differente, che oltre a dispensare morte, sa anche vivere, nel cuore di una notte non destinata alla violenza ma alla scoperta di loro stessi.
Riflessioni, squarci di un mondo privato e direi soft descritti alla grande... mamma mia, complimenti, Dama! :woot:
 
Top
view post Posted on 30/3/2007, 15:12
Avatar

I ♥ Severus


Potion Master

Group:
Administrator
Posts:
55,389
Location:
Da un dolce sogno d'amore!

Status:


Mariacarla è una persona splendida, mia carissima amica (a lei è dedicato un capitolo di Ritorno alla vita: "Lacrime di un angelo") e sublime scrittrice.

Il suo Forum è indicato tra i nostri Amici.
 
Web  Top
32 replies since 19/1/2007, 11:16   1808 views
  Share