Ce l'ho fatta!!! Ieri sera ho finito il prologo. Ora non mi resta che rileggere il tutto, sistemare gli errori che riesco a beccare e postare prologo e primo capitolo tra oggi e domani!
Così poi posso anche leggere!
CE L'HO FATTA!!!! (Adoro scrivere sotto pressione!!!
)
Imparerò ad amarti
BETA-READER: Querthe
TIPOLOGIA: Storia a capitoli
RATING: giallo ma ci saranno delle scene VM18
GENERE: malinconico, romantico, azione
PERSONAGGI: un po' tutti
EPOCA: Post HP 7
PAIRING: Hermione Granger / Severus Piton
AVVERTIMENTI: AU - da leggere preferibilmente dopo la storia "Maschera a Pezzi"
QUI in quanto ci saranno dei riferimenti a quella one shot - scene di sesso -
Riassunto:
- Io non sarò la sostituta della madre morta di Harry.
- Lo so.
- Allora perché non mi lasci stare?
- Perché voglio imparare ad amarti. Questa storia é stata scritta per l'Imperio lanciato da Ida alla sottoscritta
(
Qui). Spero che dopo l'imperio non mi arrivi anche un crucio!
E sistemata in un secondo momento per la
sfida n. 9 “ Se Severus non fosse mai morto”. Per la serie: due piccioni con una fava.
PrologoLa casa era vuota e disabitata ormai da molti anni ma, nonostante l’incuria e le rigide temperature inglesi, la porta non si aprì con cigolii sinistri o con scricchioli inquietanti.
Anche se ci voleva ben altro per spaventarlo.
La casa era vecchia e si sviluppava su due piani, alcune delle serrande erano state inchiodate per non farle sbattere durante i temporali violenti e l’erba era cresciuta incolta attorno al perimetro. Ma l’aspetto esteriore non contava e lui sapeva bene che fermarsi alle apparenze era solo un modo stolto e superficiale di valutare cose e persone. E, comunque, qualsiasi fosse stato l’aspetto esteriore della casa, era irrilevante. Era solo una sistemazione provvisoria; nulla di stabile o di definitivo. Doveva solo capire cosa fare, poi avrebbe abbandonato anche quel luogo troppo vicino al suo passato e che destava in lui ricordi che non desiderava rivivere e si sarebbe lasciato tutto alle spalle.
Il mago chiuse la porta alle sue spalle e poggiò la borsa accanto all’appendiabiti sollevando una piccola nuvola di polvere stantia.
L’aria era statica, satura dell’odore della polvere vecchia e di chiuso. Alcuni raggi del pallido sole invernale filtravano dalle inferiate chiuse; i mobili erano spartani, alcuni ricoperti da lenzuoli in un tempo molto lontano bianchi. La carta da pareti era scollata negli angoli mostrando un leggero strato di muffa verdognola sottostante.
Lo stato della casa aveva stupito perfino il mago; non credeva che i proprietari potessero lasciare decadere a quel modo la loro abitazione paterna. Molto probabilmente anche per loro quelle vecchie mura fatiscenti portavano un fardello troppo pesante da ricordare.
Con studiata lentezza, per non far tendere troppo la pelle morbida delle cicatrici sul collo, Severus Piton si tolse il mantello nero e lo appese accanto alla borsa.
Osservò le porte che si affacciavano al corridoio; fece un passo, il rumore fu attutito dalla polvere.
Quel posto non gli piaceva ma era sempre meglio della sua vecchia casa. Casa che i Mangiamorte avevano distrutto portando via ogni suo libro, ogni residuo di pozione che potesse servire al loro Padrone.
Ma non importava.
Nulla importava più.
Ora contava solo il presente e quell’arida esistenza che non voleva chiamare vita.
Fece un altro passo.
Appeso alla parete si trovava un vecchio specchio ovale. La cornice dorata era ossidata in vari punti e una grossa crepa rompeva lo specchio in due parti.
Osservò i suoi due riflessi.
Era pallido, le occhiaie erano marcate, le rughe più profonde.
Sarebbe dovuto morire in quella casa cadente, invece il destino, beffardo fino alla fine, aveva deciso il contrario.
Passò delicatamente un dito sulla giugulare, là dove due cicatrici rotonde erano il segno più tangibile di quella che avrebbe dovuto essere la sua fine.
Sarebbe dovuto morire.
Voleva morire, ma era troppo codardo per farlo da solo.
Aveva paura di quello che l’aspettava dall’altra parte. Paura dei fantasmi che non lo avrebbero mai lasciato in pace.
Paura di lei.
Di Lily.
Guar…da…mi… Storse la bocca in un ghigno.
Patetico. Semplicemente patetico, pensare di morire dando un ultimo sguardo agli occhi della donna che amava.
Poco dopo era svenuto, nella memoria ancora i suoi occhi. Verdi, luminosi come stelle. Gli era anche sembrato di sentire la sua soave voce che lo chiamava dall’oltretomba.
Ricordava la paura e il desiderio intrecciati tra di loro come se fossero le trame del tessuto della sua anima.
Invece era stato strappato da quel momento. Ancora una volta qualcuno, o forse lui stesso, l’aveva strappato dalle braccia del suo amore e l’aveva riportato in vita.
Nella sua gola sentiva ancora il disgustoso sapore della pozione a base di sangue di unicorno e veleno di Nagini per fargli guarire le ferite, la stessa che l’Oscuro aveva bevuto per riacquistare un aspetto semiumano. Un sapore nauseabondo che gli ricordava l’odore di tintura chimica che aveva addosso suo padre quando tornava dal lavoro in fabbrica.
Ricordava le torture, le maledizioni che gli avevano spezzato il corpo, ma non l’animo o il cuore, sebbene ormai ridotti in minuscoli frammenti da lui stesso.
Quando l’oscurità lo avvolgeva vedeva ancora gli occhi di Voldemort penetrare la notte, puntarlo per togliergli definitivamente la vita.
Ma neppure questa volta la morte lo aveva voluto.
Severus non sapeva il perché della sua continua, indesiderata, esistenza. Non sapeva perché il fato, o il destino, o Dio o in qualsiasi modo volesse essere chiamato, l’aveva risparmiato ancora per l’ennesima volta.
Forse doveva ancora pagare per i crimini atroci che aveva commesso da ragazzo. Ma era stanco, incredibilmente stanco.
Aumentò di poco la pressione su quel segno tondo dalla pelle ancora più bianca; sentì il sangue scorrere nella giugulare.
Un leggero spiffero di vento freddo lo raggiunse, solleticandogli il volto.
Tra gli odori della muffa e della polvere vecchia avvertì il dolce sapore di ciliegia, strinse le labbra e tra i sapori delle pozioni e delle medicine riaffiorò il sapore salato delle lacrime.
Non posso vivere senza di te… [1]Con uno scatto si voltò verso il salottino, il camino era spento, i mobili tarlati e coperti da lenzuoli.
Afferrò con forza il telo che copriva una delle poltroncine; lo spostamento d’aria alzò una nuvola di fumo che gli sollecitò il naso adunco. Un ragno gli salì sulla punta della scarpa nera, lo calciò verso un angolo della stanza senza curarsene.
Tornò nel corridoio e coprì lo specchio con il lenzuolo sporco, nascondendo la sua immagine. Il suo passato. I suoi ricordi.
La sua stessa vita.
Capitolo uno: Non é amoreLa donna fissava il soffitto del dormitorio.
Le lenzuola le accarezzavano la pelle nuda proteggendola dal freddo pungente dell’esterno.
Se voltava il capo poteva vedere la neve accumularsi in piccole cunette candide sul davanzale della finestra.
Ma la neve non le interessava.
Conosceva fin troppo bene il paesaggio che offriva la Torre di Grifondoro durante il periodo invernale.
Ormai l’aveva annoiata. E poi c’erano cose ben più importanti della Foresta Proibita imbiancata dai fiocchi di neve.
I suoi pensieri vagavano frenetici, nonostante il torpore che la coglieva dopo aver dato sfogo agli istinti più primordiali del proprio corpo. Non riusciva a prendere sonno.
Non in quel letto almeno.
E non riusciva neppure a smettere di pensare.
Mentre lo sguardo vagava tra le sfumature di grigio della roccia una mano le accarezzò il ventre piatto mentre due labbra carnose le baciarono delicatamente la spalla destra.
- A cosa pensi?- le sussurrò la voce roca di Ron.
Gli occhi verdi brillavano per la passione appena consumata.
- A nulla. – rispose meccanicamente la donna continuando ad osservare il soffitto, poco incline a ricambiare le effusioni del mago.
- Ti amo, Hermione.
La strega sospirò. Anche quel momento era stato rovinato da quelle parole sbagliate. Scacciò via la mano del ragazzo dal suo corpo e si alzò lasciando che il freddo della stanza le baciasse la pelle accaldata.
- Te l’ho già spiegato, Ron. – rispose infastidita prendendo la biancheria intima dal pavimento – Fare sesso tre volte alla settimana non vuol dire essere innamorati. Sono le endorfine che rilascia il tuo organismo quando raggiungi l’orgasmo. Sono quelle che ti fanno credere di amarmi.
Il giovane scattò a sedere sul letto. Il lenzuolo gli scivolò in vita, la donna osservò per qualche istante il torace muscoloso ancora leggermente lucido di sudore. La mano rimasta ferita in battaglia era nascosta sotto il lenzuolo.
- Ma Hermione...
La strega non rispose, si vestì di fretta e prese la vestaglia.
- Forse é meglio smettere. – disse mentre annodava la veste in vita – Evidentemente non riesci a scindere il sentimento da un semplice rapporto fisico. Eppure mi sembrava di essere stata chiara quando avevamo iniziato.
- Io voglio sposarti!
Non disse nulla e si avviò verso la porta.
- Il mio amore non ti basta? – continuò l’altro, la voce leggermente incrinata per la rabbia e la delusione. L’ennesima delusione.
La mano che stringeva la maniglia tremò appena mentre Hermione sospirava sconsolata.
- No, non basta.
Uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle senza più guardarlo. Non voleva imprimersi nella memoria l’espressione di dolore sul volto di Ron.
Si avviò verso la propria stanza.
Si sentiva un mostro. Una persona ignobile. Ron non meritava quel trattamento. I suoi sentimenti erano sinceri e lei non faceva altro che calpestarli senza ritegno; senza pensare alle conseguenze.
Erano due mesi che cercava il suo letto solo per avere qualche ora senza pensieri.
Per non dover pensare a nient’altro che al piacere.
Semplicemente un mostro. Scosse la testa cercando di eliminare quella parola dalla sua coscienza.
Prese la bacchetta dalla tasca della vestaglia. La luce diffusa illuminò un piccolo cono ai suoi piedi.
Anche se conosceva la Sala Comune di Grifondoro meglio della sua casa Babbana non aveva intenzione di restare al buio.
Temeva le tenebre. E temeva ancora di più i pensieri che aveva quando era avvolta dal nero della notte.
L’orrore non era solo nella guerra. Era in agguato anche negli angoli di quel castello vuoto. E, spesso, l’orrore coincideva con i ricordi.
Si avvicinò al ritratto e l’aprì cercando di fare il meno rumore possibile.
Il maniero era avvolto da una pesante coperta di silenzio. Neppure i protagonisti dei quadri facevano rumore.
I suoi passi echeggiavano attorno alle rampe delle scale. Il respiro si condensava davanti al viso mentre scendeva gli scalini alzando appena la veste per non inciampare.
Non c’erano più studenti. Non c’erano più Case. Lezioni o parole d’ordine. Non c’erano professori e studenti. Non c’erano più vacanze o compiti. Nessun voto. Nessun giudizio e nessuna festa di fine anno. Solo il silenzio regnava ormai ad Hogwarts. Un pesante silenzio.
La donna oltrepassò la porta che portava ai corridoi del quarto piano.
Harry, Ron e Ginny, insieme a qualche altro ragazzo che, come loro, voleva combattere, avevano deciso di restare nel dormitorio di Grifondoro. Troppo legati al passato per ammettere che quel periodo era finito.
Per sempre finito.
Inutile continuare a dormire in un luogo che portava solo ricordi dolorosi. Ricordi di un periodo che non sarebbe più tornato.
Mai più.
Aveva troncato con il passato, con quella Hermione che passava ore a studiare solo per prendere un voto sempre più alto. Solo per sentirsi dire che era brava.
Ora le sue conoscenze, la sua voglia di apprendere le utilizzava per l’Ordine e per quella guerra che sembrava non avere fine.
Arrivò alla porta della sua stanza; tolse i sigilli di sicurezza ed entrò. Il fuoco nel camino scoppiettava allegramente, le punte delle fiamme arrivavano ad assumere un inconsueto color amaranto.
Le fiamme avevano riscaldato l’aria della piccola stanza, rendendola accogliente con il suo modesto mobilio. Appoggiò la bacchetta al comò accanto alla scrivania e slacciò la cintura della vestaglia.
Lasciò che l’indumento le scivolasse via dalla pelle, raggruppandosi ai suoi piedi. La lasciò a terra e si avviò al bagno, desiderosa solo di una doccia calda.
Il sesso che faceva con Ron non la lasciava appagata. Non la soddisfava. Non la faceva sentire felice.
Non era niente.
Ed era tutto maledettamente sbagliato.
Lei lo sapeva.
Ron lo sapeva.
Perfino Harry e Ginny avevano iniziato a sospettare qualcosa.
Eppure non riusciva a smettere.
Quelle poche ore le servivano per non pensare.
Aprì l’acqua della doccia e aspettò che arrivasse alla temperatura giusta.
Si tolse la biancheria rimasta e guardò il getto della doccia cadere.
Quando il vapore invase la stanza entrò, lasciando che l’acqua portasse via l’odore di Ron che le impregnava la pelle facendola sentire sempre peggio. Rimase sotto lo scroscio anche dopo che tutto il sapone era sceso per lo scarico; rimase ferma aspettando che scendesse anche il suo dolore e tutta la rabbia che aveva in corpo. Restò immobile, ascoltando solo il rumore dell’acqua sul piatto di ceramica.
L’odore dell’unico ragazzo che l’amava se n’era andato, del piacere non era rimasto che un leggero indolenzimento ma il dolore, la sensazione di sentirsi sporca e una persona orribile erano rimasti. Non erano scivolati via con il sapone.
Spense l’acqua solo quando la pelle non sopportò più il calore.
Avvolse il corpo con una spugna morbida bianca ed entrò nella stanza da letto.
Il fuoco iniziava a morire nel camino. Le braci brillavano assomigliando ad occhi incandescenti che la scrutavano nella penombra.
Si avvicinò alla scrivania ed aprì il primo cassetto.
Tra le penne d’oca di scorta, i fogli di pergamena bianchi e le boccette d’inchiostro c’era un’ampolla panciuta dal tappo d’argento a cui aveva applicato un comune contagocce.
Fece oscillare il liquido davanti agli occhi. La densa pozione assunse varie sfumature di celeste riflettendo la luce della flebile luce.
Hermione la osservò qualche secondo. Svitò il tappo e aspirò un poco della pozione.
Lasciò cadere due gocce sulla lingua e ripose la boccetta ben chiusa nel cassetto.
La pozione avrebbe fatto effetto a breve.
Si sdraiò sul letto con addosso solo l’asciugamano e il corpo ancora umido.
Chiuse gli occhi e attese il suo sonno senza sogni e ricordi.
***
Minerva McGranitt sedeva alla scrivania della sua stanza.
La notte era calata da un pezzo su tutto il castello e, nonostante ciò, non dormiva.
Indossava una camicia da notte di spesso tessuto scozzese verde e i capelli le scendevano lungo la schiena, come una cascata argentea attraversata da qualche ciocca ancora bruna.
Era vecchia.
Non aveva le forze necessarie per affrontare ancora per molto quella situazione.
Non aveva le forze per comandare l’Ordine.
Era potete come strega, ma non abbastanza per affrontare l’Oscuro.
Lei non era Albus Silente.
Si tolse gli occhiali e li appoggiò sulla scrivania accanto ad un libro che aveva smesso di leggere dalla notte del primo attacco dei Mangiamorte ad Hogwarts. Sospirò mentre si massaggiava gli angoli degli occhi.
- E’ troppo per me. – mormorò a voce bassa – Non potrò sostenere questo peso ancora per molto.
- Sei la persona più adatta invece. – le rispose la voce di Albus da un quadro che la strega aveva fatto apporre nella stanza – Nessuno meglio di te può gestire la situazione attuale.
- L’unica nostra possibilità è lo scontro diretto. – rifletté la strega – E non credo che la protezione di Harry sia ancora forte.
- L’Ordine deve prepararsi. Tu devi saper aiutare il ragazzo per lo scontro finale.
- Non ho le conoscenze adatte. – valutò Minerva – Non sono pronta per questo ruolo, Albus. Hai dato per scontato che, oltre a te, Harry non avrebbe avuto bisogno di nessun altro per apprendere tutto quello che gli serviva per la guerra.
- Mi sono sbagliato. – ammise il mago – Ma non tutto è perduto, Minerva. Puoi sempre…
- Cosa? – domandò scettica la donna voltandosi verso il quadro interrompendo le solite frasi consolatorie del vecchio mago – Cosa posso fare Albus? Mostrare altri ricordi a Potter? Insegnargli un nuovo incantesimo? Prepararlo a difendersi? Io non posso fare nulla. Non conosco l’Oscuro come lo conoscevi tu. Non c’è nessuno che può aiutarlo.
- Ne sei certa, Minerva?
La strega afferrò gli occhiali e li indossò velocemente, confusa dall’ambiguità delle sue parole. Ricordando a se stessa che lui la faceva sempre sentire confusa e disorientata. Osservò la cornice vuota senza troppo stupore, Albus spariva velocemente così come appariva. A volte credeva che lo faceva di proposito, solo per divertirsi.
- E’ solo un quadro. – ricordò a se stessa alzandosi e dirigendosi al letto con la speranza di dormire qualche ora – Solo un quadro.
[1] L'odore di ciliegia, il sapore delle lacrime e la frase in corsivo sono tratti dalla one shot citata nelle presentazione della storia. II Capitolo - Sette rintocchiIII Capitolo - Dolore (scena censurata) -
III Capitolo - Dolore (capitolo integrale VM)IV Capitolo - Un incubo troppo reale
Capitolo VM -
Capitolo per tuttiV Capitolo -
TempestaVI Capitolo -
MacchieVII Capitolo -
Pardeonne moi, Minerva VIII Capitolo -
Un legame indissolubileIX Capitolo -
Maschere e cicatriciX Capirolo -
CeneriXI Capitolo -
Pensieri feliciXII Capitolo -
Riflessi XIII Capitolo -
PaceXIV Capitolo-
Odiare tutti, soprattutto se stessi XV Capitolo -
Imparerò ad amartiXVI Capitolo - Mia
Capitolo per tutti -
Capitolo VM 18XVII Capitolo - Non lasciarti dominare dalla rabbia
Capitolo per tutti -
Capitolo VM 18XVIII Capitolo
Combattere contro i propri incubiXIV Capitolo -
La Fenice d'argento XX Capitolo -
Legami di sangueXXI Capitolo
Tutto ha una fine e tutto ha un inizioEpilogo
Tornare a casa (seconda parte del post)
Edited by chiara53 - 25/10/2017, 18:22