Il Calderone di Severus

Sfida N. 9 FF: Se Severus non fosse mai morto

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Ale85LeoSign
view post Posted on 23/6/2010, 21:25





Titolo: Peccato Mortale
beta-reader: -
Autore/data: ale85leosign- Ale
Tipologia: Long fic
Rating: per ora per tutti, poi si vedrà.
Genere: Introspettivo, Thriller.
Personaggi: Severus – poi si vedrà.
Pairing: - Severus/Lily, poi si vedrà
Epoca: (solo per le fic di HP) – post settimo libro
Avvertimenti:
Riassunto:
“Il mio vero peccato è stato distogliere lo sguardo e sfuggire il mio stesso fato. Compiendo questa scelta ho adombrato il mio animo e perduto la possibilità di chiudere per sempre i miei occhi su un mondo che non vorrei più dover rimpiangere.”
Disclaimer: (solo per le fic di HP) I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. La trama di questa storia é invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota: Sono convinta che le canzoni, così come le parole più belle, possano tirare fuori i sentimenti migliori delle persone. Non è detto che loro li vedano come i migliori, perché sono quelli che sono nascosti, a volte, nel profondo e quando emergono, per uscire, si fanno strada dentro di noi, lasciando qualche ferita che poi, comunque, col tempo si rimargina.
Seppur tenendo conto dell’incipit della sfida ff “Se non fosse mai morto” di Magie Sinister Forum, ho seguito soprattutto il mio orecchio per scrivere tutto ciò.


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Indice dei capitoli:

Capitolo 1 - Prologo
2- Peccato Immortale
3 - Il diavolo
4 - Inferno






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Prologo

Nel corso dell’ultimo faccia a faccia col proprio dovere, in cui Potter lo aveva visto perire per mano di Voldemort e per bocca della strisciante Nagini, l’ex professore di Pozioni e di Arti Oscure, nella realtà dei fatti, era sopravvissuto.
Nonostante l’ingente perdita di sangue dalla gola squarciata, il mago, al momento di confrontarsi con la morte, si era rifiutato di guardarla in volto, distogliendo lo sguardo, lasciando che i propri occhi si chiudessero.
Rinvenendo, colto da un improvviso spasmo vitale, Severus Piton vide la propria vita rimaterializzarsi davanti ai suoi occhi sotto forma del soffitto cadente della Stamberga Strillante.


Peccato Mortale




Un rumore di vetri infranti.
Un grande dolore.
Defluiva lento come il sangue che esce da una ferita.
Bagliori, luccichii… diamanti nelle tinte d’inchiostro di un mondo d’ombra.
Non aveva bisogno di vederli. Aveva udito il rumore e l’aveva riconosciuto, distintamente.
Severus Piton stava seduto con le palme posate sui braccioli della sedia, con un sogghigno stampato sulle labbra sottili. Una smorfia appena accennata, ma fortemente ironica, rivolta a se stesso.
Si era destato di colpo, trovandosi in quella posa, su quella sedia, il cuore che gli batteva all'impazzata, il fiato corto, il corpo teso, gli occhi che si spalancarono e si richiusero all’istante, feriti da quell’immagine incredibile.
Era come dopo un incubo, solo che il risveglio era l’inizio di quel nuovo incubo. Aveva la sensazione che fosse accaduto qualcosa di terribile, ma non sapeva cosa. Fino a quando non gli tornarono in mente gli istanti della propria morte. E allora la tenebra ebbe una parziale schiarita e tutto divenne illogico e assurdo.
Era morto nella Stamberga Strillante.
Ma era ancora vivo. E si trovava ancora lì.
Mantenne gli occhi chiusi, e si mise a riflettere, immobile, in quel silenzio irreale.
La tenebra avvolgeva la sua mente, lasciando in luce un unico dettaglio.
Qualcuno aveva messo fine all’angoscia che era stata la sua vita umana.
E quel qualcuno aveva un volto e le fattezze di un serpente.
Fino a questo punto, non c’era nulla che non andasse. Se non il trascurabile fatto che Severus, nonostante quel colpo mortale, respirava ancora. E non era tutto. Poteva muoversi.
Sollevando esitante un braccio, si tastò la gola. Inizialmente le sue dita si posarono sul tessuto del collo, liso e ancora umido di sangue. Poi scivolarono oltre la piega della camicia, andando a tastare la gola, subito sotto il mento.
Per un momento rimase come paralizzato.
Il contatto con la pelle era regolare, liscio, leggermente più ruvido sotto il mento. Non c’era alcun segno di morso, la pelle non era spaccata e il sangue aveva smesso di defluire.
Dopo l’iniziale sbigottimento, la mente del mago iniziò a lavorare frenetica.
Poteva essere morto e quel posto in cui si trovava doveva essere una sorta di Inferno o Limbo.
Ma non seppe accettare una spiegazione del genere.
La vaga idea che si formò nella sua mente era che qualcuno aveva fatto sì che sopravvivesse.
Come, ancora non se lo spiegava.
Ma, con quell'ipotesi, si spiegava il fatto che si fosse svegliato in quella posa, su quella sedia.
Scosse la testa, continuando a sogghignare, come se quella situazione fosse un'unica grande barzelletta.
Era completamente solo.
Di nuovo.
Mentre gli implacabili secondi tuonavano sempre più forti nelle orecchie, aspettò.
“Sono vivo.” Mormorò senza che le labbra sottili perdessero quella piega ironica, tenendo gli occhi chiusi, ascoltando l’eco della propria voce. Era uguale a come se la ricordava. “Sono ancora vivo.” Ripeté, come se dall’ultimo angolo remoto di razionalità della sua mente fosse giunta una sonora protesta a quella desolante affermazione.
E poi lo fece.
Aprì gli occhi, lentamente, ed ebbe conferma delle proprie percezioni.
Il sorriso gli morì sulle labbra, ed esse assunsero la solita piega di un tempo, lineare e ferma, mentre i suoi occhi ispezionavano quell’ambiente familiare. Una luce fioca proveniente dall’alto illuminava debolmente l'angolo in cui si trovava: riuscì a distinguere sagome di oggetti vaghe, familiari ma minacciose. E, guardando a terra, ricordò il rumore di vetri che aveva avvertito.
Una costellazione caduta dal cielo, sparsa sul pavimento della Stamberga.
Uno specchio si era infranto al suolo. Probabilmente non era stato in grado di testimoniare la presenza di un uomo che ancora stava tra i vivi, seduto in quella posa statuaria, quando il suo posto sarebbe stato su quello stesso pavimento, la sua vita spezzata come quella superficie lucida.
Si sentiva come quello specchio. Infranto, distrutto, smembrato… ogni frammento era una parte della sua vita che progressivamente era caduta a terra, lasciando un vuoto sempre più grande e incolmabile, mentre il suo stesso sangue, dopo il morso del serpente, si era allargato sul pavimento, occupando il posto di lacrime che non aveva avuto il tempo di piangere.
Un tempo era stato un uomo razionale, un uomo ancorato alla logica e alle regole che anche un mondo magico sapeva imporre. Ma in quel momento la ragione lo abbandonò, assieme a tutto il resto.
Non aveva più una vita. Non aveva più il suo sangue. Non aveva più i suoi ricordi.
Che cosa restava?
Aggrottò la fronte, facendo un visibile sforzo per far luce su quella situazione assurda e illogica.
Rircordi… luci… forse le tracce di un sogno infine abbandonato.
Voldemort lo aveva ucciso. Ne era certo. Almeno. Ci aveva provato.
Lui aveva compiuto il suo dovere, fino in fondo, con Potter...
E per un momento, quello sguardo rubato alla notte più oscura aveva contemplato il verde lido della speranza, e per un attimo era riuscito ad aggrapparvisi, con tutte le sue forze, prima che ogni cosa venisse inghiottita da un nero abisso di morte.
Poi buio… oscurità… non ricordava, ma qualcosa di estremamente ironico aveva deciso di catapultarlo di nuovo in quel mondo che, da quando era nato, aveva fatto di tutto per respingerlo.
Tentò di alzarsi, di liberarsi da quella sedia, da quella trappola che lo imprigionava nella tempesta tormentosa dei suoi pensieri, mentre l'oscurità minacciava di sopraffarlo.
Ma non era accaduto: era lì, era vivo. Si era aggrappato a quella vita dannata che l’aveva ridotto a brandelli, fino alla fine, quando, come ultimo atto, il sipario rosso del suo stesso sangue era calato e la pugnalata di un colpo di zanne, frammisto alla visione di una pace che non avrebbe trovato, per un istante avevano tinto ogni cosa di nero.
Ma non ora. Non in quel momento, in cui, anche se non si spiegava perché, voleva alzarsi e andarsene.
Andarsene da quella stanza, ancora intrisa di morte.
Andarsene da quel porto sicuro di tranquillità.
Andarsene da se stesso, cercando di saldare il fragile equilibrio di una mente incrinata dal dolore.
Facendo leva sulle braccia, pur sentendosi debole e stanco, incredibilmente si sollevò in piedi, trascinandosi faticosamente, un passo incerto dopo l’altro, le mani a cercare il sostegno dei freddi oggetti che occupavano la stanza.
La porta… doveva raggiungere la porta.
Guardò per terra e vide il suo stesso sangue macchiare ancora quel pavimento sporco.
La realtà era da brivido, di una purpurea tinta sgargiante.
“Com’è possibile?” si interrogò, scoprendo nella propria voce una nota di incredula ammirazione per quel desiderio di vita che, nonostante tutto, non si era lasciato sottrarre dalla peggiore delle avversarie: la morte.
Era assurdo, affascinante, sconvolgente.
Eppure doveva accettare quel dato di fatto, sfruttarlo a proprio vantaggio e…
Si fermò.
Ma cosa credeva di fare?
Ritornare ancora in una grande città, a Hogwarts, magari, con i suoi corridoi piene di gente felice, calda, ignara delle sorprese che poteva riservare la vita…
Oppure sparire… lasciarsi tutto alle spalle...
Potter se la sarebbe cavata, ne era certo.
Ancora una volta le forze minacciarono di abbandonarlo.
Barcollò violentemente.
Era indeciso e confuso.
Sarebbe stato lui lo strumento che avrebbe distrutto Voldemort?
No… non in quel momento. Non ancora. No.
Non era più compito suo.
Era stato eliminato.
Ma allora che senso aveva la sua presenza lì?
L’improbabile risposta a quella domanda si dissipò quando i suoi occhi incontrarono lo scintillio dei frammenti sparsi sul pavimento.
Si chinò a terra, appoggiandosi su un ginocchio, e raccolse un frammento che luccicò di una luce bianca e soffusa. Lo stesso luccichio che emanavano gli occhiali a mezzaluna del preside, quando li sistemava con un leggero tocco delle dita. Avvertì un battito dolorosamente forte dentro di sé.
Per un attimo si piegò su se stesso, il frammento a sfuggirgli dalle mani, per cadere a terra, tintinnando.
Lo stesso rumore degli occhiali del preside, quando le lenti si erano spezzate, con la sua vita, in quella vorticosa discesa dalla Torre di Astronomia.
Chissà.
Non aveva udito alcun suono, in quel momento, se non il proprio grido di morte, con cui aveva ucciso un amico.
Mentre il dolore si amplificava e svaniva, lasciandolo in un vago stato di intorpidimento, Severus si riscosse dal suo passato.
Sollevò un altro frammento e, nel farlo, si ferì.
Non riuscì a tenerlo in mano, ed esso, inesorabilmente, cadde a terra, con il bordo che aveva appena lacerato la pelle macchiato di una scarlatta presenza di vita che, come un sottile filo rosso, delineò nella mente del mago, un'immagine lontana e vicina.
Non aveva mai potuto toccarla, anche solo sfiorarla e, quando aveva provato ad avvicinarsi a quel cuore, ai tempi solitario quanto il suo, era rimasto ferito, come in quel momento. Ma non un goccia di sangue era stato sparso, ma solo un distillato trasparente di dolore che nessuno aveva potuto vedere.
E ora, contemplando quel vetro che giaceva a terra, macchiato di rosso, conosceva e rimpiangeva il seguito di quella storia.
Anche lei era caduta, per mano dell’errore che Severus aveva scelto di impugnare quando il suo amore si era trasformato in un odio acuminato e pericoloso.
E ancora era ferito e si feriva per quella passione mai nata.
L’eco del dolore provocato dal morso di Nagini era ancora vivo e strisciante nel corpo sofferente del mago, così Severus non provò alcun male apparente nel momento in cui si ferì. Una taglietto nella mano. Da bambino, la prima volta che gli era capitato, era stata la cosa peggiore che avesse mai vissuto. Fino a quando non aveva veramente compreso che cos’era vivere… e morire.
Ma il mistero della morte gli era sfuggito, concedendogli un respiro, quel soffio vitale che aveva stravolto ogni cosa.
Si guardò il palmo ferito.
I suoi occhi si spalancarono per un attimo.
Un bagliore blu dipartì dal taglio, simile a piccole saette frastagliate che, abitualmente, solcano i cieli più tempestosi, rimarginandolo magicamente.
“Che senso può avere un simile sortilegio?” bisbigliò a bassa voce, ripercorrendo il tratto di pelle dove, un attimo prima, vi era stato il segno di una ferita. Ma era un sortilegio? Si poteva definire realmente tale? Oppure era semplicemente lui, quel cielo tempestoso, un burrascoso miscuglio di luci e ombre che, ancora, non trovavano pace per colpa dei suoi stessi errori?
Si congedò da ogni pensiero e, di nuovo, trovò la forza per rialzarsi.
Pallido e in procinto di svenire, uscì dalla Stamberga recandosi in un luogo, nelle vicinanze, dove era riuscito a recuperare le forze e gli ingredienti appena necessari per una piccola dose di pozione riabilitante. Era stato saggio a nasconderli a poca distanza da quel luogo dove, senza saperlo, sarebbe stata decretata la sua fine.
Eppure... era vivo. Vivo e vegeto.
Ma la sua condanna non era mai giunta al termine.

***



Un pomeriggio chiassoso, un mare tinto dall’inquietudine di un cielo plumbeo. Respirava piano, quasi affannosamente, prima di sfogarsi, abbattendosi sugli scogli. Un rumore continuo, ma irregolare, reso tale da un vento che si stava levando sempre più intensamente, come per gridare alla terra di nascondersi dentro se stessa per sfuggire alla furia di mare e cielo.
“Ho bisogno di risposte. Risposte che non posso avere. Che nessuno può darmi.” Mormorò nel fragore della tempesta imminente, avanzando su quel molo di legno grezzo, incrostato di salsedine.
Aveva raggiunto quel punto impreciso del mondo babbano, non sapendo bene dove andare, cosa fare. Che direzione far prendere a quella nuova vita incomprensibile e strana, dove il dolore veniva stemperato da una forza più grande di lui, quegli strani bagliori blu che rimarginavano le sue ferite.
Non poteva tornare a casa… casa… ne avesse mai avuta una.
E il cielo si oscurò gradualmente, gettando la terra in un abisso rischiarato solo dai primi lampi e scosso dal fragore del tuono.
Sentiva il sapore dell’aria salata, frammista agli spruzzi delle onde, sulle labbra.
Non avrebbe voluto pensare a nulla. Eppure, mentre indugiava a ritirarsi, anche i suoi pensieri sembravano volersi scatenare come la natura che lo circondava.
“Tu!” una voce stridula, quasi ostile.
Si voltò: era stato raggiunto da un uomo basso, tarchiato dal sorriso storto e irregolare. Un babbano… un borseggiatore con tutta probabilità. Dettaglio reso evidente dallo sguardo avido e dal coltello che stringeva nella mano. Quella che aveva avanti era una piccola mente che non riusciva a concentrarsi su nulla se non sull’oro che l’attendeva una volta portato a termine quel compito.
“Non fiatare”. Gli intimò avvicinandosi di un passo.
Il mago si raddrizzò e divenne completamente immobile. Per un momento si preparò per colpire, irrigidendo i muscoli e lasciando scivolare le dita della mano, celata dallo scuro mantello, verso la bacchetta.
Ma qualcosa lo trattenne.
Un altro istante di immobilità, mentre quell’uomo grezzo gli si avvicinava.
Lo studiò alcuni istanti: si trattava proprio di un essere insignificante, un uomo piccolo, vestito in modo trascurato, con capelli castani e sporchi che si diradavano sotto un berretto logoro. Dietro di lui c’era la strada verso la città, e una notte propizia per sparire.
Severus rilassò il proprio corpo. Allontanò la mano dalla bacchetta, lasciandola ricadere con l’altra lungo i fianchi.
“Avanti.” Sibilò, facendo sobbalzare quell’uomo, che per un momento si bloccò “Uccidimi.” Gli ingiunse, sfidandolo apertamente, restando alto, dritto e fermo come l’antico bassorilievo di un dio egiziano.
La sicurezza dell’altro sembrò svanire come neve al sole. Esitò per una frazione di secondo. Sembrava sorpreso, come se non avesse previsto di trovarsi davanti un uomo del genere. Perché guardare quegli occhi neri significava perdersi in quella tenebra scintillante, del tutto indifferenti al temibile viso in cui quelle gemme erano incastonate. Troppo belle da guardare, impossibili da evitare.
Vedendo la perplessità e lo stupore negli occhi del suo avversario, Severus si mosse, con movimenti rapidi, decisi e senza paura.
Fu allora che l’altro ritrovò la padronanza di sé, e, quando il mago lo costrinse a varcare i cancelli delle proprie paure, temendo per la propria vita, reagì.
Si fece sotto e Severus lo accolse a braccia aperte.
Gli piantò il coltello nell’addome, appena sopra la cintola, per tutta la lunghezza della lama.
I secondi parvero trascorrere con estrema lentezza.
Il corpo del mago si piegò leggermente su se stesso, come per proteggersi dalla furia che lui stesso aveva scatenato. Quando avvertì il metallo affondare nella propria carne, i suoi occhi si velarono e ogni cosa si tinse di rosso.
E mentre cadeva in ginocchio, col labile sostegno del borseggiatore che altro non aveva fatto che spingere ancora più indentro la lama, rivide di nuovo quei bagliori rubati alle praterie, ondeggianti di luce, invitanti come la peggiore delle tentazioni.
Gli vennero assestati altri tre colpi, con maggior ferocia, con una rabbia che cresceva al ruggito del tuono che spezzava il cielo. Poi ci fu un ultimo strappo, il clangore metallico della lama che cadeva a pochi centimetri da lui, mani che lo frugavano, senza trovare alcunché e un rumore di corsa. Così il ladro fuggì nella tempesta, senza aver rubato nulla.
Trascorsero diversi istanti di totale tenebra, scandita dal rumore delle onde e i primi battiti di pioggia.
E con essi ritornò anche lui. Severus.
Sobbalzò, traendo una lunga boccata d’aria, stringendosi le braccia la petto, stando riverso a terra su un fianco, accecato dalla propria sofferenza nel ritornare a vivere. Il dolore esplose e si richiuse in uno scintillio di bagliori blu elettrici.
Non appena il suo battito ritornò regolare, aprì gli occhi.
Si mosse e, coi movimenti di un sonnambulo, si rialzò.
Si guardò i palmi delle mani, dopo essersi toccato l’addome, lisciando verso il basso il tessuto scuro della veste.
Aveva capito.
Era diventato immortale: per una qualche strana ragione non doveva più temere la morte, l’invecchiamento, la sofferenza. Qualcuno gli aveva donato quella brillante, nuova esistenza sensuale, scandita, per il momento, dal lento pulsare di una vita che non sentiva propria. Era solo. Abbandonato dalla stessa morte che, per un certo periodo di tempo, si era trovato a desiderare.
Si strinse una mano al petto e sollevò gli occhi al cielo, mentre il mare, in lontananza, ruggiva.
E il firmamento che sovrastava l’uomo esplose in un fragore di folgori bianche, lampeggianti, accecanti, ma quegli occhi continuarono, indomiti, a fissare quel cielo mortale, scegliendo di esserne feriti; e Severus scelse di ferire l’unica parte del suo corpo che poteva sanguinare, senza che niente e nessuno potesse cancellare il segno indelebile di quell'agonia che gli apparteneva.
“E’ mia, è dentro di me.” Disse, udendosi appena “Nessuno può portarmela via.”
E stando immobile in quel mondo in movimento, si sentì come un corpo morto rianimato unicamente dal saettante miraggio di cui era rischiarato il cielo cupo ed eterno dei suoi occhi, arrossati e bruciati da quel principio di disperazione.
Lo stava ancora facendo.
La stava ancora desiderando.


Edited by Ale85LeoSign - 29/10/2010, 22:48
 
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Swindle
view post Posted on 23/6/2010, 22:14




Ti seguo in volata, Ale! :P

Titolo: Stardust
beta-reader: -
Autore/data: Swindle - Rika
Tipologia: Long fic
Rating: per tutti (forse, più avanti, VM14)
Genere: Introspettivo, Azione.
Personaggi: Harry Potter, Severus Piton, il Trio, Originali.
Pairing: Severus/ -
Epoca: (solo per le fic di HP) – post settimo libro
Avvertimenti: /
Riassunto: Per il mondo magico è morto, ma il suo corpo non è stato mai ritrovato. Harry Potter è l’unico convinto che sia ancora vivo. Così, mentre i maghi si riprendono dalla battaglia finale contro Voldemort, cerca la risposta ad una sola domanda: dov’è Severus Piton?
Disclaimer: (solo per le fic di HP) I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. La trama di questa storia é invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota: Storia scritta per la sfida ff n°9 “Se non fosse mai morto” di Magie Sinister Forum. Ammetto però che avevo questa idea già da un po’. L’idea iniziale, ovvero lo scrivere i capitoli alternando il POV Harry-Severus è rimasta, ma la sfida contro se stessi lanciata mesi fa da Ida (in una discussione di MSF e poi con “Se non fosse mai morto”) è tutta nuova, ed ho intenzione di vincerla.


senonfossemaimortomini



.:Stardust:.




Indice dei capitoli:

Prologo: -il risveglio-(a seguire)
Capitolo Primo: -cicatrice-
Capitolo Secondo: -rivale-




Prologo

-il risveglio-



Harry si alzò di scatto. Il sudore gli imperlava la fronte, e ansimava.
“Possibile che continuo a rifare lo stesso incubo?” si chiese arrabbiato. Perché la sua mente gli faceva questo? Perché voleva farlo soffrire ancora? Non aveva forse sofferto abbastanza?!
Cercò di calmarsi. Quando il respiro gli si fu regolarizzato, scostò le coperte bruscamente, afferrò gli occhiali dal comodino, li inforcò e si alzò sconfortato. Iniziò a vagare avanti e indietro per la stanza. Guardò l’ora: era notte inoltrata. Le immagini del sogno appena avuto gli offuscavano la mente, impedendogli di ragionare. Solo dopo un bel po’ si accorse di stare facendo troppo rumore. Non voleva svegliare nessuno. Si coricò sul letto, sbuffando. Cosa doveva fare? Era tutto così triste… Fissò a lungo il soffitto cercando una risposta che non arrivava. Poco dopo si riaddormentò, senza coprirsi, con gli occhiali sul naso.

La mattina dopo Hermione lo sorprese seduto all’ombra di un albero dalla folta chioma, mentre guardava il cielo, con le mani dietro la testa.
« Harry! » esclamò con fare preoccupato. « È tutta la mattina che io e i Weasley ti cerchiamo. Dove eri finito? »
Ma il ragazzo non le rispose.
« Andiamo Harry » riprese lei allegra « basta con quella faccia triste, andiamo a mangiare, il pranzo è quasi pronto! »
La ragazza provò a tirarlo per un braccio, ma lui non si mosse.
Aveva l’espressione seria, e sembrava che non la sentisse nemmeno.
Hermione sospirò, e si sedette al suo fianco.
« E va bene… » disse cercando di attirare la sua attenzione « Avanti, dimmi, cosa c’è? »
Harry la guardò con sguardo ferito, ed Hermione si intenerì.
Gli prese una mano e la strinse forte, il ragazzo ricambiò subito la stretta, ma distolse gli occhi dai suoi.
« So che è doloroso, so che non vorresti, ma devi accettarlo. » gli disse dolcemente « È morto, Harry, devi fartene una ragione. »
« Io… » rispose lui, e la sua voce tremava leggermente « lo odiavo, Hermione, lo odiavo. L’ho detestato per tutti questi anni, e dopo che ha ucciso Silente, io… » la sua voce si spezzò « l’avrei ucciso. L’avrei ucciso davvero e senza rimorsi, perché mi aveva portato via un’altra persona a cui volevo bene, dopo i miei genitori, dopo Sirius. Mi sentivo solo. »
Fece una pausa, deglutendo. Hermione aspettò, stringendogli leggermente la mano per esortarlo a continuare.
« So che c’eravate voi. Tu, Ron, i Weasley, Remus… » e qui la sua voce si spezzò un’altra volta, ma continuò subito « Eppure mi sentivo solo. Così ho dato tutta la colpa a lui, lui che prima aveva rivelato a Voldemort la profezia, uccidendo i miei genitori, e poi ha ucciso Silente con le sue stesse mani. So che è brutto da dire, ma… odiarlo mi faceva sentire meglio. Almeno un po’. »
Harry singhiozzò, ed Hermione gli mise un braccio intorno alle spalle.
« Quanto mi sbagliavo, Hermione, quanto avevo torto. Non avevo capito nulla, avevo frainteso tutto, e ho odiato una persona che ha fatto di tutto per me e per il mondo intero, ho odiato un vero e proprio eroe. »
Harry alzò lo sguardo verso la ragazza, mentre una lacrima prendeva a scorrere sul suo viso.
« E lui è morto davanti ai miei occhi, capisci?! È morto pensando fino all’ultimo al suo dovere, donandomi i suoi ricordi… e tu sai bene che persona fosse. Lui è morto davanti a me e io non ho potuto fare nulla. »
Il ragazzo oramai stava piangendo, e dovette interrompersi.
Anche gli occhi di Hermione si erano fatti lucidi, e la ragazza lo abbracciò.
« Lo so, lo so… » cercò di rassicurarlo lei « Ma non è colpa tua, non è colpa tua. »
« Non sono riuscito a dirgli nulla, Hermione. Non sono riuscito neanche a dirgli grazie. Vorrei potergli parlare, vorrei chiarire con lui, vorrei dirgli quanto lo stimo. »
La ragazza sciolse l’abbraccio e lo guardò dritto negli occhi.
« Ma non puoi, Harry. » disse, lievemente dura « Non puoi, e lo sai. »
Fece un attimo di pausa.
« Lui è morto, Harry. » disse lentamente « È morto. » ripeté, sapendo quanto male quelle parole facessero al ragazzo.
Harry la guardò per un attimo, poi scattò in piedi.
« Ma se non fosse così? » chiese, lo sguardo esaltato.
Hermione lo guardò esasperata, come se avessero fatto quel discorso un milione di volte.
« Non può essere, lo sai bene… lo hai detto tu stesso, lo abbiamo visto morire! C’ero anch’io e c’era anche Ron. » disse lei risoluta « La ferita era mortale, era uscito troppo sangue, e anche se fosse sopravvissuto alla ferita, non avrebbe potuto nulla contro il veleno di Nagini. Harry, perché non riesci ad accettarlo? »
« No! » esclamò lui, con un colpo secco del braccio, come se cercasse di allontanare quelle parole.
Poi prese a camminare in fretta e furia, avanti e indietro, come se fosse diventato pazzo, e, da come lo guardava, anche Hermione doveva pensarla allo stesso modo.
« Segui il mio ragionamento, segui il mio ragionamento… » disse lui, come se parlasse a sé stesso più che con lei.
« Voldemort l’ha chiamato. Lui sapeva le sue intenzioni, ma è andato lo stesso. Aveva tanti difetti, ma di certo non era uno sprovveduto. Vuoi forse dirmi che non avesse pensato a questa eventualità? Che non avesse pensato al fatto che ad un certo punto Voldemort potesse uscire di senno e rivoltarglisi contro? »
Hermione stava per ribattere, ma Harry non glielo permise:
« No… no. Io non credo proprio. Ma andiamo avanti. Parlano, discutono. Lui lo supplica di potermi venire a cercare. Tenta fino all’ultimo di mantenere il suo doppiogioco. Voldemort non glielo permette, non ha capito un’accidenti delle sue vere intenzioni, crede che lui gli sia ancora fedele, e agisce semplicemente perché i suoi piani sono altri. Ordina a Nagini di ucciderlo. »
« Harry… » cerca di interromperlo lei, senza tuttavia riuscirci. Oramai il ragazzo è partito sulle sue speculazioni come un treno in corsa.
« Nagini obbedisce e lo colpisce. Il serpente e il suo padrone se ne vanno. Lui rimane da solo. Arriviamo noi, lui ci dà i suoi ricordi e sviene. »
« Harry, ora basta! » si alza lei, prendendolo per le mani « Non è svenuto. Lo capisci? È morto! »
Il ragazzo la guarda e i suoi occhi sono lucidi, talmente tanto da sembrare allucinati.
« Sei tu che non capisci! Non vedi che ha avuto un sacco di opportunità per escogitare qualcosa? »
« Ma non l’ha fatto. » disse lei semplicemente, con voce dolce.
Quelle parole per il ragazzo suonarono peggio di una condanna a morte.
Si liberò della sua stretta ed indietreggiò.
« Tu non puoi saperlo! » alzò la voce, indicandola con un dito « Non puoi saperlo. Nessuno di noi può saperlo. E magari ora è da qualche parte… e ha bisogno di aiuto, e nessuno lo sta cercando. »
« Non è così, Harry. Lui è morto, e ora è in pace. Devi lasciarlo andare. »
Harry cadde in ginocchio.
« Ma non abbiamo trovato il corpo… » disse debolmente « Non c’era più, è sparito… questo vuol dire, vuol dire… »
Hermione si riavvicinò, riabbracciandolo.
« Può voler dire un sacco di cose » disse accarezzandogli la testa « Magari qualche Mangiamorte l’ha fatto sparire, magari è stato qualcun altro. Questo è il segno che dobbiamo accettare la sua morte. Se n’è andato, e so che avremmo avuto tante cose da chiedergli, ma la vita non sempre ci dà quello che vogliamo. Lo ricorderemo, continueremo a tenere vivo il suo ricordo, chi era, quello che ha fatto. E così non se ne andrà mai. »
Si guardarono un attimo negli occhi.
Harry piangeva, e sembrava un bambino ferito.
« Non abbiamo potuto fargli neanche un funerale. » disse flebilmente, come se fosse la cosa più importante del mondo.
« Hai ragione: glielo faremo. » ribatté sicura lei.
« Ma il corpo… » provò a dire Harry.
« Anche senza il corpo. Te lo prometto Harry. »
Il ragazzo annuì, e i due si abbracciarono stretti un’ultima volta, come due persone che non vogliono lasciarsi mai più, prima di alzarsi.
Mentre camminavano verso la Tana, Harry si asciugò le lacrime e tutto ad un tratto cominciò a ridacchiare.
« Cos’hai da ridere? » chiese Hermione curiosa.
« Pensavo che se fosse vivo… mi ucciderebbe per le parole che dirò al suo funerale. »
I due si guardarono, prima di scoppiare a ridere, al ricordo del cipiglio del professore nelle sue giornate più nere.

Harry si svegliò all’improvviso, colto da un’illuminazione.
Come aveva fatto a non pensarci prima?
Il quadro… il quadro era il segreto!
Tutti i Presidi di Hogwarts, dopo la loro morte, ottenevano un posto nell’ufficio del Preside attraverso un quadro, cosicché la loro saggezza fosse tramandata ai futuri presidi.
Così era successo con Silente, e così era accaduto con tutti i presidi prima di lui.
Ma il suo quadro non era apparso.
Vero, dopotutto non aveva finito il suo anno da preside nel castello, tuttavia, dato che era morto, Harry avrebbe dovuto trovare il suo quadro da qualche altra parte.
E invece nulla.
Questa era la prova che Harry aveva ragione: era vivo!
Sollevato nel cuore e con quest’idea in testa, Harry si riaddormentò.
“Ti troverò, Severus Piton.”


***




Era tutto buio intorno.
Ci mise un bel po’ a riprendere coscienza.
Dapprima non sentiva nulla, ma a poco a poco lievi sussurri arrivarono alle sue orecchie, fino a quando non si fecero più chiari e poté cominciare a distinguere i suoni.
Prima parole disconnesse, poi finalmente strascichi di conversazione.
« Non si riprenderà più mamma… » mormorava la voce di un giovane uomo.
« Non dire queste cose! Non possiamo sapere… » rispondeva con lo stesso tono una donna.
Lasciò perdere i suoni, perché qualcosa gli diceva che era meglio se invece tentava di concentrarsi sul suo corpo… sempre che ne avesse uno.
Partì dalle mani, provando a sentire le dita, e poi a muoverle.
Dopo vari tentativi, riuscì a spostare lievemente l’indice, e questo lo incoraggiò.
Diversi minuti di silenziosi sforzi più tardi, si disse soddisfatto: ora sentiva tutto il suo corpo. Forse non ne aveva il completo controllo, ma i formicolii che avvertiva dappertutto nelle sue membra stanche erano un buon segno.
Tornò a concentrarsi sui suoni.
A quanto pare la donna e il giovane uomo bisbigliavano ancora lì vicino.
« Oramai è passato troppo tempo » stava continuando il giovane uomo.
« Ti dico che è vivo! Ha il battito, respira! Non possiamo abbandonarlo. » ribatteva la donna, il tono sempre più piccato.
Decise che era il momento di aprire gli occhi.
All’improvviso le palpebre gli sembrarono terribilmente pesanti, e quel movimento non gli apparve più come uno scherzo.
Cominciò con un movimento lento, uno spiraglio di luce.
La stanza dove si trovava era buia, e almeno questo gli facilitava il compito: non era poi così diverso dall’oscurità in cui si era trovato fino a quel momento.
Aprì gli occhi un po’ di più, senza spalancarli del tutto, e voltò leggermente la testa, per riuscire a scorgere le persone che sussurravano vicino a lui.
Immediatamente sentì un gridolino.
« Si muove, si muove! Si sta svegliando! » disse la donna, questa volta senza più preoccuparsi di tenere bassa la voce.
Avrebbe voluto dirle di continuare a tenerla bassa, perché non era abituato a tutto quel fracasso e gli stava già venendo il mal di testa, ma fu distratto da un altro avvenimento: dei passi affrettati verso di lui, e poi una luce, probabilmente una lampada o qualcosa di simile, si avvicinarono al suo volto.
Il bagliore fu troppo forte e troppo improvviso.
Con un gemito, serrò di nuovo gli occhi e voltò il viso.
Sentì la donna rimproverare l’uomo per il gesto affrettato.
Poi gli prese una mano, e gli disse:
« Avanti, puoi farcela. »
La mano della donna era calda. E lui si accorse in quel momento di essere gelato e di avere terribilmente freddo.
Deglutì e, piano piano, aprì gli occhi.
Si trovò davanti una donna di mezza età, in carne, il volto paffuto vicino al suo. Aveva i capelli scuri raccolti in una coda e gli occhi leggermente a mandorla, di un caldo e confortante marrone, il naso era piccolo e schiacciato, tempestato da minuscole lentiggini.
Provò ad aprire la bocca per dire qualcosa, ma aveva la gola secca.
« No, aspetta. » le disse la donna mettendogli un dito sulle labbra « Solo un minuto. »
Detto questo si allontanò, sparendo dalla sua vista.
Avrebbe voluto dirgli di non andarsene, perché il suo tocco caldo era piacevole, ma non aveva parole.
Nel frattempo il ragazzo aveva lasciato la lampada su un piccolo tavolo, e anche lui si era avvicinato.
Aveva i capelli mossi, dello stesso colore della madre, e anche gli occhi erano simili. Il suo naso era però più lungo e regolare, e non c’era traccia di efelidi sul suo viso.
Gli sorrise con fare rassicurante, e lui provò a sorridergli di rimando, ma le sue labbra non sembravano essere d’accordo e si distesero appena.
La donna tornò subito, porgendogli un bicchiere d’acqua.
Il ragazzo aiutò l’uomo ad alzare la testa, mentre la donna avvicinava il bicchiere alle sue labbra.

Madre e figlio osservarono lo straniero bere avidamente.
Lunghi capelli neri gli incorniciavano il volto, pallido più della morte, gli occhi profondi erano tranquilli, di un nero senza fine, il naso adunco toccava il bicchiere, le labbra sottili bevevano avide.
Indossava vesti scure, ma erano malmesse, tagliate, sporche. Molti punti erano ancora macchiati di sangue, lì dove la donna aveva curato le sue ferite, soprattutto sul collo, dove i due puntini rossi brillavano nel buio.
Avrebbero voluto cambiarlo, e lavarlo, ma lui era svenuto, forse in coma, e avevano avuto paura di fare ancora più danni.
Fino a quando pochi minuti prima non si era svegliato, proprio nel momento in cui, dopo più di una settimana, avevano quasi perso la speranza.

Bevve due bicchieri interi. Sentiva l’acqua fresca scorrergli nella gola e poi giù, fino allo stomaco, e pensava fosse la sensazione più bella del mondo.
Quando stava per finire il terzo bicchiere, la donna parlò:
« Come ti chiami? » gli chiese.
Una domanda normale, una domanda legittima.
Lo straniero aprì la bocca per rispondere, ma un secondo dopo la richiuse, mentre i suoi occhi si facevano vacui e le sue sopracciglia di incrinavano.
Alla fine alzò gli occhi sulle due persone davanti a sé e, nonostante non parlasse da molto tempo, con voce profonda e sicura, disse:
« Non lo so. »




















Capitolo successivo di Stardust:
Capitolo Primo: -cicatrice-


Edited by Ida59 - 18/7/2015, 22:21
 
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view post Posted on 24/6/2010, 20:36
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I ♥ Severus


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Ecco i miei commenti a "Peccato mortale" - cap 1, di Ale.


Ammetto che la partenza è stata piuttosto freddina, anche perché il genere thriller non è certo tra i miei preferiti. Mi sono ripromessa, però, di cercare in ogni modo di non stare lì a ragionare, a cercare in ogni modo di capire e seguire la logica: lascerò che la storia scorra, da sola, senza che il mio pensiero cerchi di precederla, altrimenti finirei per perdermi il piacere della lettura nonché alcune delle preziose perle che Ale dissemina nelle sue storie, come, ad esempio, le stupende frasi sugli occhi di Severus (che lei dimentica di riportare nell’apposito Gioco Creativo…) :

CITAZIONE
diamanti nelle tinte d’inchiostro di un mondo d’ombra.

quello sguardo rubato alla notte più oscura

Perché guardare quegli occhi neri significava perdersi in quella tenebra scintillante, del tutto indifferenti al temibile viso in cui quelle gemme erano incastonate. Troppo belle da guardare, impossibili da evitare.

un corpo morto rianimato unicamente dal saettante miraggio di cui era rischiarato il cielo cupo ed eterno dei suoi occhi, arrossati e bruciati da quel principio di disperazione.

Ma mi perderei anche queste bellissime frasi:

CITAZIONE
Si sentiva come quello specchio. Infranto, distrutto, smembrato… ogni frammento era una parte della sua vita che progressivamente era caduta a terra, lasciando un vuoto sempre più grande e incolmabile, mentre il suo stesso sangue, dopo il morso del serpente, si era allargato sul pavimento, occupando il posto di lacrime che non aveva avuto il tempo di piangere.

E per un momento, quello sguardo rubato alla notte più oscura aveva contemplato il verde lido della speranza, e per un attimo era riuscito ad aggrapparvisi, con tutte le sue forze, prima che ogni cosa venisse inghiottita da un nero abisso di morte.

da quella trappola che lo imprigionava nella tempesta tormentosa dei suoi pensieri, mentre l'oscurità minacciava di sopraffarlo.

Si era aggrappato a quella vita dannata che l’aveva ridotto a brandelli, fino alla fine, quando, come ultimo atto, il sipario rosso del suo stesso sangue era calato e la pugnalata di un colpo di zanne, frammisto alla visione di una pace che non avrebbe trovato, per un istante avevano tinto ogni cosa di nero.

La realtà era da brivido, di una purpurea tinta sgargiante.

ma solo un distillato trasparente di dolore che nessuno aveva potuto vedere.

Oppure era semplicemente lui, quel cielo tempestoso, un burrascoso miscuglio di luci e ombre che, ancora, non trovavano pace per colpa dei suoi stessi errori?

rivide di nuovo quei bagliori rubati alle praterie, ondeggianti di luce, invitanti come la peggiore delle tentazioni.

Oppure non potrei godere di questi pezzi stupendi, dove le frasi in grassetto o ingrandite sono in un sublime crescendo :wub: :

CITAZIONE
Si chinò a terra, appoggiandosi su un ginocchio, e raccolse un frammento che luccicò di una luce bianca e soffusa. Lo stesso luccichio che emanavano gli occhiali a mezzaluna del preside, quando li sistemava con un leggero tocco delle dita. Avvertì un battito dolorosamente forte dentro di sé.
Per un attimo si piegò su se stesso, il frammento a sfuggirgli dalle mani, per cadere a terra, tintinnando.
Lo stesso rumore degli occhiali del preside, quando le lenti si erano spezzate, con la sua vita, in quella vorticosa discesa dalla Torre di Astronomia.
Chissà.
Non aveva udito alcun suono, in quel momento, se non il proprio grido di morte, con cui aveva ucciso un amico.

Qualcuno gli aveva donato quella brillante, nuova esistenza sensuale, scandita, per il momento, dal lento pulsare di una vita che non sentiva propria. Era solo. Abbandonato dalla stessa morte che, per un certo periodo di tempo, si era trovato a desiderare.
Si strinse una mano al petto e sollevò gli occhi al cielo, mentre il mare, in lontananza, ruggiva.
E il firmamento che sovrastava l’uomo esplose in un fragore di folgori bianche, lampeggianti, accecanti, ma quegli occhi continuarono, indomiti, a fissare quel cielo mortale, scegliendo di esserne feriti; e Severus scelse di ferire l’unica parte del suo corpo che poteva sanguinare, senza che niente e nessuno potesse cancellare il segno indelebile di quell'agonia che gli apparteneva.
“E’ mia, è dentro di me.” Disse, udendosi appena “Nessuno può portarmela via.”
E stando immobile in quel mondo in movimento, si sentì come un corpo morto rianimato unicamente dal saettante miraggio di cui era rischiarato il cielo cupo ed eterno dei suoi occhi, arrossati e bruciati da quel principio di disperazione.
Lo stava ancora facendo.
La stava ancora desiderando.

La storia è scritta molto bene, del resto Ale è una vera certezza sotto questo profilo e non delude mai.
Ho impiegato un po’ di tempo, però, ad entrare in sintonia con questo Severus, che sentivo troppo freddo per i miei gusti, e ho cominciato a farlo solo nel punto in cui i suoi ricordi sono andati ad Albus e poi a Lily, ma sono veramente riuscita ad “entrare” nel personaggio (ed Ale sa bene quanto importante è, per me, l’immedesimazione) solo nelle sublimi frasi finali (che ho riportato sopra), dopo la scoperta della presunta immortalità (dico presunta perché al momento non sono affatto convinta che sia questa la reale spiegazione anche se questa è esattamente la deduzione cui ero giunta al primo presentarsi dei bagliori blu per il taglio nella mano), quando il riferimento a Lily è esploso in tutta la sua devastante potenza.
Molto bello anche il “giocare” con i colori: al nero dei suoi occhi, e a tutte le affascinanti declinazioni che Ale sa trarne, ormai sono particolarmente affezionata, ma qui ho trovato anche il rosso del sangue, filo conduttore che nel dolore porta ai capelli di Lily, e il verde, luce di speranza ma, forse, soprattutto d’illusione, che promana dagli occhi della donna che, sì, Severus ancora infinitamente desidera. :wub:
Che palle, queste storie della sfida all’inizio saranno tutte delle tremendissime Severus/Lily… ma poi arriverà il momento della riscossa e di Lily ne faremo polpettine! :truce:
Per concludere, complimenti per il finale di capitolo perché quello sì ha saputo coinvolgermi!


Edited by Ida59 - 18/7/2015, 22:22
 
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Ale85LeoSign
view post Posted on 24/6/2010, 21:32




Ok, la risposta va a caldo, c'è poco da fare.

CITAZIONE (Ida59 @ 24/6/2010, 21:36)
Ammetto che la partenza è stata piuttosto freddina, anche perché il genere thriller non è certo tra i miei preferiti.

Lo so, ma è ciò che piace a me.

CITAZIONE
Mi sono ripromessa, però, di cercare in ogni modo di non stare lì a ragionare, a cercare in ogni modo di capire e seguire la logica: lascerò che la storia scorra, da sola, senza che il mio pensiero cerchi di precederla, altrimenti finirei per perdermi il piacere della lettura nonché alcune delle preziose perle che Ale dissemina nelle sue storie, come, ad esempio, le stupende frasi sugli occhi di Severus (che lei dimentica di riportare nell’apposito Gioco Creativo…) :

E non posso far altro che apprezzare questa tua scelta.
L'avrei sempre voluto, ma non sarò mai io a dirti cosa devi o non devi fare.
Non mi giustifico, ma la freddezza iniziale (mai sottovalutare il modo in cui riesci a percepire cose e persone.) è voluta e determinata da una non iniziale accettazione della vita che, mano a mano, Severus riscopre, fino a giungere al finale, dove quella frase in sospeso, quel desiderare quella presenza indistinta, contiene il duplice riferimento di vita e morte.
Non credere, comunque, che troverai la complessità di TQ all'interno di questa storia.
Le spiegazioni sono molto semplici, alla fine. Più di quello che si possa credere.



CITAZIONE
La storia è scritta molto bene, del resto Ale è una vera certezza sotto questo profilo e non delude mai.
Ho impiegato un po’ di tempo, però, ad entrare in sintonia con questo Severus, che sentivo troppo freddo per i miei gusti, e ho cominciato a farlo solo nel punto in cui i suoi ricordi sono andati ad Albus e poi a Lily,

Sono proprio quelli che l'hanno portato a reagire e a (scusa la citazione) ritornare a vivere. Si fa per dire...
Frantumare la propria immobilità è stato il primo passo; il successivo è stato quello di tornare a provare emozioni, uscendo dal gelido torpore della morte.



CITAZIONE
ma sono veramente riuscita ad “entrare” nel personaggio (ed Ale sa bene quanto importante è, per me, l’immedesimazione) solo nelle sublimi frasi finali (che ho riportato sopra), dopo la scoperta della presunta immortalità (dico presunta perché al momento non sono affatto convinta che sia questa la reale spiegazione anche se questa è esattamente la deduzione cui ero giunta al primo presentarsi dei bagliori blu per il taglio nella mano),

Visto che tu hai evitato di ragionare, io farò un passo verso di te.
Mi serviva un pretesto per "costringerlo" a vivere. Perchè, per come lo concepisco io, Severus non aveva più alcuna ragione per "concedersi" una seconda vita. A una certa età, soprattutto quando credi di essere stato ucciso e ti senti fuori posto, è molto difficile ricominciare da zero.
In questo modo gli ho tolto ogni via d'uscita.


CITAZIONE
quando il riferimento a Lily è esploso in tutta la sua devastante potenza.
Molto bello anche il “giocare” con i colori: al nero dei suoi occhi, e a tutte le affascinanti declinazioni che Ale sa trarne, ormai sono particolarmente affezionata, ma qui ho trovato anche il rosso del sangue, filo conduttore che nel dolore porta ai capelli di Lily, e il verde, luce di speranza ma, forse, soprattutto d’illusione, che promana dagli occhi della donna che, sì, Severus ancora infinitamente desidera. :wub:
Che palle, queste storie della sfida all’inizio saranno tutte delle tremendissime Severus/Lily… ma poi arriverà il momento della riscossa e di Lily ne faremo polpettine! :truce:

Grazie, Tigre :tigre2:
Questa storia avrà il suo peso su di me, ma ho intenzione di finirla senza perdermi niente di importante per strada. ;)
Per ora ce la sto facendo, ma è troppo presto per cantare vittoria.
 
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kijoka
view post Posted on 25/6/2010, 20:47




Titolo: In qualunque luogo
Autore/data: Kijoka / settembre 2009 – Chissà?
Beta-reader: Ida59
Tipologia: storia a capitoli
Rating: Per tutti – da rivedere
Genere: drammatico, introspettivo, romantico
Personaggi: Severus, Pers. Originale (Fay), Pers. Originale (Russel), altri personaggi secondari ancora da definire.
Pairing: Severus/??
Epoca: Post 7° libro
Avvertimenti:
Riassunto: La speranza si nutre della vita. Esiste e rimane tale a dispetto delle circostanze e degli impedimenti, superando ostacoli visibili e invisibili, oltrepassando errori e paure, sopravanzando il tempo ed arrivando a trascendere anche la morte, se necessario. La speranza è desiderio, illusione, sogno, fantasia, prospettiva e fede. La speranza continuerà sempre a vivere: in qualunque luogo.
Note: L’idea di scrivere questa storia è nata per motivi completamente diversi rispetto alla pubblicazione in questa sfida. La volontà di scrivere di un Severus sopravvissuto (alla morte e all’amore per Lily) l’ho sempre avuta, avendo scritto praticamente solo storie post HP7. Qui ho semplicemente colto uno spunto nato nella mia mente nel settembre 2009. E’ una sfida con me stessa, un confronto con la mia capacità di rendere significativa e contemporanea l’esistenza di un personaggio dalla morte annunciata.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originali di Fay e Russel, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

INDICE CAPITOLI

1 - Il dono

2- L'anniversario[/color]

3 - Il Ritorno

4 - Il fascino della notte

5 - Tramonto sul mare

6 - I giorni del dolore

7 - La verità nella menzogna

8- Responsabilità

9 - Polvere

10 - Un'accorata difesa

11 - La ricerca della verità

12 - Ricordi di un'amica

13 - Frammenti di memoria

14 - A un passo dal futuro

15 - Rivelazioni

16 - Al momento giusto

17 - Perdono

18 - Ritrovarsi

19 - In qualunque luogo



Capitolo 1
Il dono


Il prato è morbido.
Il confronto con la nuda roccia che mi ha sostenuto questa notte è stridente.
La radura è illuminata a giorno dalle torce magiche, ma l’alba non è lontana.
Vedrò questo nuovo giorno?
Avrei riconosciuto dovunque quella camminata fiera e sicura anche solo per averla ammirata per mesi ogni volta che entravi nel quartier generale dell’Ordine per una nuova riunione, che quasi sempre si concludeva con una nuova missione per te.
Missioni pericolose, che potevano concludersi ogni volta con la tua morte.
Le tue entrate mi lasciavano sempre senza fiato e il tuo modo di slacciarti il mantello e lasciarlo cadere nelle braccia di Kreacher, ogni volta, mi rapiva.
Non ti sei mai accorto di me.
I tuoi pensieri erano rivolti alla missione, al dovere, alla guerra.
Prendevi posto tra gli altri e non ho visto, neanche una volta, gli occhi scuri fermarsi su di me.
In fondo non ero che una pedina, e sono sempre stata solo una donna: non degna della tua attenzione.
Quante notti ho sognato di sentire pronunciare il mio nome dalle tue labbra, quante volte ho cercato di farti voltare, prima che tu te ne andassi da quella porta logora, con un lento fluttuare di mantello.
La radura stasera è colma di mantelli scuri, ma il modo che hai di portarlo è inconfondibile, anche se indossi la loro maschera d’argento sul viso.
Ormai, in qualunque luogo io possa incontrarti, sarò sempre in grado di riconoscerti.
In tre mi tengono bloccata a terra, con l’incantesimo delle bacchette, ma ecco che il quarto si avvicina.
Sono una preda ambita. Sono un Auror, adesso.
Da tempo non posso più incontrarti, da quando sei entrato definitivamente nelle schiere del Signore Oscuro, dopo che hai ucciso Silente.
Ora sei un vigliacco, un Mangiamorte, un assassino.
Il mio cuore ancora batte solo per te, come se non fosse successo nulla, come se tu fossi ancora l’eroe che per me sei sempre stato.
Ora non so cosa mi aspetta, ma so che sarà terribile.
Chi ci ha venduto ai Mangiamorte?
Perché sapevano e ci aspettavano in trenta contro quattro, ho subito capito che non saremmo sopravvissuti, siamo caduti nella trappola così facilmente. Qualcuno ha tradito! Qualcuno ci ha venduti!
Chi ha organizzato tutto?
Will era sicuro che fossi stato tu: ha pronunciato il tuo nome non appena ha capito che non ce l’avremmo fatta, giusto poco prima di essere ucciso.
Ma non sei più con noi da troppo tempo e, no, io non riesco a crederci, non posso neanche pensarlo!
- No! E’ mia!
La tua voce fende il silenzio e la riconosco anche se non ti vedo pronunciare le parole perché ho chiuso gli occhi, per il dolore del calcio nell’addome ricevuto dalla figura ammantata in nero che è più vicina a me.
I miei sogni si sono fatti realtà proprio stanotte?
Quelle parole, pronunciate della voce bassa e profonda, che ricordo così bene, hanno riempito il silenzio del bosco e sono diventate parte reale delle mie illusioni.
Ti avvicini e solo con lo sguardo ti liberi dei tre che mi tengono legata a terra.
La mano pallida sul braccio è delicata, ma ferma.
So che non posso avere scampo, so che non potrai salvarmi, ma lo avresti fatto? Sono sicura che non sei così tanto cambiato!
I miei occhi cercano i tuoi, nascosti dietro lo schermo luccicante. Le iridi sono scure, ma brillano vividamente alla luce della torcia magica più vicina.
Sono lacrime quelle che vi vedo riflesse?
Impossibile! L’assassino di Silente non si commuoverebbe per un Auror!
Con una mossa svelta mi fai sdraiare, mentre un’altra voce spezza il silenzio quasi irreale, adesso:
- Non è giusto! L’unica donna che abbiamo catturato da un mese a questa parte. Non spetta a te per forza...
Ti alzi dalla posizione inginocchiata con un movimento fulmineo ed arrivi davanti al mago che ha osato sfidarti, in un breve attimo.
Il viso è ad un palmo dal suo e la voce tagliente come una lama d’acciaio risponde immediatamente :
- L’hai sentito anche tu il Signore Oscuro! Io, e solo io, decido chi tenermi dei prigionieri! O vuoi che ce lo facciamo ripetere, Goyle?
- No, non c’e’ bisogno – il terrore trema nella voce ansiosa dell’altro mago – e tua!
Sei tornato di fronte a me e, immobile, mi stai fissando.
Le tue labbra mormorano qualcosa, ma nessuna tragica sorpresa, nessun incantesimo spezza l’irreale silenzio che è calato sulla radura.
Ti avvicini e d’improvviso piccoli gridolini di gioia e commenti volgari vibrano nell’aria che, di colpo, si è riempita di tensione, ora.
I tuoi occhi neri continuano a guardarmi e, con un gesto elegante, mi copri con il mantello, mentre mi fai stendere e ti sdrai accanto a me.
Sento la mano fredda, che sembra non appartenerti affatto, appoggiarsi al fianco, dove lo squarcio del vestito mostra la pelle sottostante.
Non so come tu riesca a farlo, ma mentre resti gentile e delicato riesci a far sembrare i tuoi gesti rudi e sgraziati.
Di colpo ti sei appoggiato su di me, adesso, mentre gli incitamenti del terribile pubblico si moltiplicano.
Con un gesto fai scomparire la maschera, che sembra non essere più utile, senza distogliere gli occhi dai miei.
Il tuo viso è come lo ricordavo, anche se non l’ho mai visto così da vicino e anche se sono passati mesi da quando ho potuto guardarti l’ultima volta.
Il pallore è ancora più evidente, delle nuove, piccole rughe incorniciano gli occhi che si sono fatti più sofferenti, più profondi.
Le tue labbra sottili fremono e la voce profonda esce in un leggero mormorio, che solo io riesco ad udire:
- Mi dispiace, Fay!
Il mio nome pronunciato da queste labbra! Il loro movimento riesce ad ammaliarmi anche in questa tremenda situazione.
Tu conosci il mio nome? Tu sai chi sono?
Cerco di parlare, ma le torture di questa notte mi hanno lasciato completamente spossata ed afona.
C’è solo un altro modo: cerco di farmi capire solo con lo sguardo. Tu puoi leggermi, lo sai fare così bene!
Ecco, hai capito, lo stai facendo.
Sei sempre più in pericolo! Hanno infiltrato una spia tra i Mangiamorte che non hanno contatti diretti con Tu sai Chi! Vogliono catturarti al più presto, per cui non sei più al sicuro da nessuna parte! Stai attento!
Gli occhi neri si incupiscono e luccicano in modo disperato.
- Allora ti vuoi sbrigare? Ogni volta è così con te! Muoviti! Lo sai che siamo in tanti!
L a mano pallida si alza, veloce, e una catena spessa e pesante serra la gola di chi ha parlato.
Lo sguardo però è ancora fisso nel mio, non si è mosso di un millimetro.
I tuoi occhi sono dentro la mia mente.
So di non avere scampo, lo so, spero solo che sarà una cosa veloce. Questa notte è già stata abbastanza lunga.
Di nuovo la voce lenta e vibrante, nel sussurro che non vorrei ascoltare:
- Perdonami...
Sento la pelle del fianco graffiata a fondo, il dolore è pungente, ma nulla in confronto a quello che ho provato questa notte.
Devi aver usato quell’anello strano che ho visto brillare al tuo dito, mentre ti avvicinavi. Non l’hai mai partato, non l’avevo mai notato.
E, d’improvviso, la pace scende, lentamente.
Il dolore se ne va.
E con un altro gesto rude, come tu solo riesci a rendere reale per i codardi vestiti di nero, ti avvicini e le tua labbra toccano le mie, in un dolcissimo bacio, che sembra avido e possessivo agli occhi indiscreti che ci osservano.
E’ questo di nuovo un altro sogno? Sto delirando?
La tua bocca è caldissima e così reale! Ora sulle labbra mi sussurri:
- Non sentirai più male, fra poco non sentirai più nulla...
Il dolore vibra in fondo, alla fine delle parole che hai appena pronunciato e riesco ancora a guardare in fondo agli occhi neri, mentre mi sento strappare alla vita, lentamente, ma inesorabilmente.
Mi accorgo che lo sguardo scuro entra di nuovo nei miei pensieri.
Non riesco a resistere: tra poco ogni orgoglio sarà vano, ogni difesa sarà inutile, ogni paura verrà spazzata via.
Non posso resistere, è il momento che te lo dica, che tu sappia la verità che rimarrà solo mia, per questa manciata di minuti che ancora mi lega alla vita.
So che non sei colpevole. Resisti! Il momento di dimostrare il tuo valore arriverà. Io ti ho sempre amato e ancora ti amo, Severus!
Le lacrime mi corrono lungo le guance. Lacrime che non ho lasciato libere questa notte durante tutte le torture che ho dovuto subire. Ma, ora, sono lacrime di felicità che vanno a mischiarsi al sangue rappreso sul mio volto. Lacrime libere di rivelare i miei più profondi sentimenti, i miei più nascosti pensieri, i miei più tremendi segreti.
Cosa c’era in quell’ anello?
Veleno, quasi sicuramente veleno.
Le tue braccia mi stringono, ancora.
La tua bocca è sempre sulla mia, mi bacia con dolcezza.
Il buio mi sta portando via, ma l’ultima immagine che lo sguardo cattura sono i tuoi occhi scuri, tristi, vellutati, che guardano dentro i miei.
Com’è dolce la morte donata dall’uomo che amo!
Un dono magnifico e terribile, un dolce pensiero che mi possa trascinare via da questo orrore, il regalo di una fine dignitosa e delicata.
Un anticipo di Paradiso...

Edited by chiara53 - 3/6/2015, 18:04
 
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Nemesis Snape
view post Posted on 26/6/2010, 22:02




Titolo: Wild Life
Autore: Charlie
Beta-reader: Francesca (la mia vicina di casa)
Tipologia: storia a capitoli
Rating: per tutti per il momento (poi rivedrò)
Genere: avventura, drammatico.
Personaggi: originale (???), Severus Piton più altri personaggi della saga.
Pairing: Severus/???
Epoca: post HP7
Avvertimenti:
Riassunto: Arcadia non è una tipica Mangiamorte. In effetti, per salvare la sua pelle se la fila nel bel mezzo di una battaglia. Certo, nella sua fuga, non si aspettava di trovare Piton morto...
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il mio personaggio originale, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



Wild Life



Capitolo I
- Flashback -

Capitolo II
- Il Bezoar -

Capitolo III
- Spinner's End -




La notte era ancora alta e l’ora di Harry Potter era lontana.
Un’ombra si stava spostando furtivamente dal castello, lasciando un’impronta continua sul terreno semi arido.
Arcadia Luthien continuava a guardarsi le spalle, bacchetta alla mano, mentre avanzava zoppicando.
Quella fuga la stava spingendo oltre la scuola, verso la Foresta Proibita, dove avrebbe potuto essere al sicuro, ben sapendo delle numerose creature che vi abitavano.
Con la gamba ferita non sarebbe potuta andare molto lontano, ma non aveva intenzione di morire in quella battaglia e avrebbe fatto di tutto pur di sopravvivere, anche abbandonare l’Oscuro Signore: il suo padrone.
Ad un tratto, mentre si guardava le spalle, pronta, sebbene con fatica, a controbattere qualsiasi incantesimo, sentì uno strano odore nell’aria.
Si fermò, socchiudendo gli occhi, e allargò appena le narici: c’era il profumo metallico del sangue.
Sì, per Arcadia quello era profumo e per nulla fastidioso da annusare.
Terribilmente attratta, seguì la scia, senza preoccuparsi più di tanto di dove si stesse dirigendo.
Con gli occhi chiusi e la mente ancora annebbiata sia per il dolore che aveva alla gamba, sia per quel forte odore, Arcadia si trovò davanti ad un grande, vivo albero: il Platano Picchiatore.
I rami si muovevano in modo piuttosto frenetico, probabilmente a causa di quella guerra che sembrava durare da secoli.
Arcadia, ancora abbastanza distante dalla pianta, puntò la bacchetta su di essa, aprendo appena la bocca per pronunciare un incantesimo.
« Congelatus. (1)
L’albero si bloccò di colpo, lasciando tempo alla Mangiamorte di avvicinarsi a quel piccolo buco ed entrarci in seguito.
Stando attenta a come poggiava la gamba, percorse il piccolo tunnel che aveva appena scoperto: si ritrovò, poco dopo, davanti ad una scala scricchiolante che ondeggiava a destra e a sinistra.
Decise di salirle, tenendo la bacchetta in una stretta ancora più ferrea, facendo molta attenzione ad ogni singolo passo che compiva.
Si nascose dietro ad una porta, non appena sentì delle voci: al pianerottolo in cui era arrivata c’erano due ragazzi accanto ad una figura sdraiata, al momento, irriconoscibile.
Con lo sguardo cercava il sangue che l’aveva condotta fino a lì, fin quando non vide una pozza attorno al corpo disteso a terra.
Stava per dirigersi verso di essa, quando i due, un maschio ed una femmina, decisero di uscire dalla stanza: lui era Harry Potter, lei doveva essere una sua amica.
“Ferma, Arcadia, non ti muovere” pensò lei, mentre si nascondeva. Non poteva permettersi di affrontarli, anche perché avrebbe perso sicuramente: con quella gamba ferita, non avrebbe potuto fare molto, pressoché nulla.
Nascondendosi magistralmente nell’ombra, guardò Potter e la ragazza allontanarsi a passo svelto, scendendo per la scalinata cigolante e, una volta che fu sicura che se ne fossero andati, entrò nella stanza, restando sempre in allerta.
Si avvicinò alla figura sdraiata, che riconobbe poco dopo in quella di Severus Piton, suo collega Mangiamorte.
Accucciandosi a terra, Arcadia osservò che il sangue proveniva proprio dal collo del mago: il volto era contratto in una smorfia di dolore, i capelli erano scomposi e due fori albergavano sulla sua bianca pelle.
“Qualcosa deve averlo morso” pensò, mentre con una mano sentiva se c’era pulsazione nel polso di Piton.
Nulla. Morto.
Si abbassò di poco con il volto sulla ferita, annusandone il sangue.
“Questo può essere solo che veleno e l’unica cosa che potrebbe salvarlo sarebbe…” rimase a riflettere, cercando di scovare nella sua mente una qualche possibile cura che aveva appreso dallo stesso Piton.
Quando era una giovane ed apprendista Mangiamorte, passava molto tempo a curiosare tra le pozioni che Piton portava al Quartier Generale e molto spesso veniva colta sul fatto.
Rammentava perfettamente il suo rapporto con il mago e i ricordi erano ancora vivi nella sua mente, soprattutto quella volta che aveva rischiato di morire per mano di Bellatrix Lestrange.


***


Il rumore di vetri in frantumi si propagò per tutto il corridoio e una ragazzina di appena 16 anni uscì da una stanza di corsa.
Quella volta l’aveva combinata grossa, grossissima.
Come le era venuto in mente di frugare nella stanza di Bellatrix, senza un suo permesso per giunta? Evidentemente il cervello l’aveva abbandonata…
Arcadia continuò a correre a perdifiato, fin quando un urlo di donna non la costrinse a fermarsi: era lei!
« Chi si è intromesso nella mia stanza?! » strillò inviperita Bellatrix Lestrange, sguainando la bacchetta, decisamente fuori di sé.
Era nei guai ora, e se avesse scoperto che era stata lei, l’avrebbe come minimo uccisa.
La ragazza guardò la donna entrare nella propria camera e non si mosse, mentre il cuore le galoppava ancora nel petto.
Era paralizzata dall’idea di morire in quel modo, perché sapeva perfettamente che la maga ne sarebbe stata capace.
Aveva avuto modo di assistere alla tortura di un Mezzosangue ed era stata spietata, sebbene le avessero confermato che non aveva fatto nulla di così particolarmente speciale. Solitamente era peggio!
Rimase ancora a fissare la porta della stanza appena socchiusa con gli occhi sbarrati: non aveva più controllo degli arti, come se un incantesimo l’avesse bloccata da cima a fondo.
Ad un tratto Bellatrix uscì fuori, più adirata che mai.
« Tu… » sibilò, guardando la giovane strega, puntandole contro la bacchetta.
E Arcadia capì che quello era il momento adatto per darsela a gambe.
Cominciò a correre più velocemente possibile, mentre Bellatrix la seguiva, lanciandole degli incantesimi.
Se fosse riuscita ad arrivare in giardino, avrebbe potuto tramutarsi e nascondersi in qualche cespuglio: era sconsigliato rispondere agli attacchi della maga. La morte raggiungeva molto facilmente coloro che sfidavano Bella.
Bastava ancora qualche metro e sarebbe stata, probabilmente, al sicuro, ma qualcosa bloccò la sua fuga.
Andò a sbattere contro qualcuno e quando alzò la testa incontrò gli occhi scuri di Severus Piton, appena uscito dalla sua stanza.
« Arcadia Luthien! » urlò da in fondo al corridoio Bellatrix.
La ragazza guardò il mago con aria supplichevole, sperando che la lasciasse andare, ma egli le afferrò un braccio e in velocità la cacciò dentro la sua stanza, chiudendo infine la porta.
La strega arrivò pochi attimi dopo, con la bacchetta serrata in mano in una stretta ferrea.
« Piton, dov’è la mocciosa?
Severus Piton la osservò, arcuando il sopracciglio destro, serrando maggiormente le labbra sottili.
Era giovane, vent’anni da poco, eppure già lo conoscevano al Quartier Generale dei Mangiamorte. Era molto abile nelle pozioni e questo faceva comodo all’Oscuro Signore.
« Non ne ho idea. » rispose tranquillamente « Probabilmente sarà fuggita in giardino, dove potrà liberare il suo lato animalesco. » le suggerì.
Arcadia ebbe un po’ di paura della reazione futura di Piton. Non lo conosceva per nulla e, essendo un Mangiamorte, ci si poteva aspettare di tutto.
Mentre sentiva le voci di Bellatrix e dell’uomo che, per qualche strana ragione, l’aveva aiutata, si guardò in giro, esplorando la stanza del mago.
C’erano un sacco di pozioni, ma tutto era stato sistemato con ordine. Inoltre, erano presenti molti ingredienti che Arcadia non aveva mai visto in vita sua.
Si soffermò ad osservare una pietruzza che aveva uno strano aspetto.
La prese in mano, in modo tale da poterla osservare meglio, quando la porta si aprì lentamente, lasciando entrare una figura.
« Nessuno ti ha mai detto che non si devono toccare le cose altrui?
Arcadia, riconoscendo la voce di Piton, posò la pietra, rimettendola al suo posto.
« Mi chiedevo solo cosa fosse… » mormorò, cercando una scusa, voltandosi in seguito verso di lui.
« E’ un Bezoar. Guarisce dai veleni. » rispose il mago, molto frettolosamente. « Cos’hai combinato per scatenare l’ira di Bellatrix? » le domandò, mantenendo il solito tono serio.
La ragazza cominciò a farfugliare e Piton riuscì a comprendere relativamente poco. Dopo averle lanciato uno sguardo intimidatorio da parte del mago, Arcadia si bloccò, prese respiro, e tornò a parlare.
« Volevo riprendermi la bacchetta, ma l’aveva nascosta sopra l’armadio e così ho rotto uno specchio magico a cui lei tiene molto. » spiegò, sospirando pesantemente.
Tutti sapevano che la ragazza era “allieva” di Bellatrix, che spesso si divertiva a metterla in difficoltà, mettendole i bastoni tre le ruote.
Piton, appoggiandosi con la schiena alla porta, tenendo le braccia incrociate al petto, la guardò stranito.
« Dunque tu stai circolando per il Quartiere senza bacchetta?
Arcadia scosse la testa, lasciandosi sfuggire un risolino quasi stupido: mise una mano nella tasca dei pantaloni, estraendo la stecca di legno.
« Bacchetta o no, mi ucciderà solo per essermi intrufolata nella sua stanza. » ritornò a riflettere la giovane strega.
Severus Piton la osservò attentamente, senza proferir parola.
Cosa poteva importare a lui di una mocciosa combina guai? Nulla, assolutamente nulla.
« Ragazzina, dovrai sbrigartela da sola. Non posso perdere tempo dietro ai tuo problemi. » le disse, facendosi da parte per lasciarla andare. « Ho già fatto troppo.
Arcadia si avvicinò a lui e poco dopo gli sorrise.
« Grazie comunque. » e aprì la porta, uscendo.
Forse sarebbe morta, ma avrebbe ricordato quell’ultimo scambio di battute.


***


Arcadia sorrise al ricordo di quell’episodio che si era concluso bene: non era morta ed era riuscita ad evitare la furia di Bellatrix.
Ma ricordarlo le aveva fatto venire in mente cosa avrebbe potuto salvarlo: un Bezoar.
Ormai, però, era troppo tardi, poiché lui era già morto.
“Se fossi arrivata qui prima, avrei evitato questo.” pensò sedendosi, distendendo le gambe accanto al corpo immobile. “Ma come?”
All’improvviso si illuminò, cominciando a cercare con affanno qualcosa all’interno delle tasche del maglione, per poi proseguire la ricerca nei pantaloni, fin quando non la trovò: una Giratempo.
Ricordava molto bene il modo in cui l’aveva ottenuta qualche mese prima, o meglio, come era riuscita a rubarla dal Ministero della Magia.
Quando l’Oscuro Signore si era impossessato del Ministero, lei era con lui, insieme ad altri Mangiamorte.
Non sapeva che fossero racchiuse lì le ultime Giratempo, infatti trovarne alcune fu una vera sorpresa.
Tenne per sé quel piccolo segreto, ritornando a casa con un oggetto che avrebbe potuto esserle comodo in futuro, e quella era l’occasione perfetta.
Sapeva come funzionava, dunque le sarebbe bastato fare qualche giro per tornare indietro e trovare il modo di impedire la morte di Severus Piton.




(1) L'ho trovato su Internet, incantesimo in grado di bloccare il Platano.


Edited by Ida59 - 18/7/2015, 22:23
 
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Titolo: Occhi verdi
Autore/data: Ida59 / 21/6/10-???
Tipologia: storia a capitoli
Rating: VM18
Genere: drammatico, romantico, introspettivo
Personaggi: Severus, Pers. Originale (Isabel)
Pairing: Severus/Isabel
Epoca: Post 7° libro
Avvertimenti: nessuno
Riassunto: La vita scambiata con la morte, per amore, poi la morte dei sogni e la caduta delle illusioni per costruire una nuova realtà.
Note: Lo spunto per questa storia è nato per puro caso, o forse sarebbe meglio dire per sfida, nel “Gioco Creativo n.7 - Immagini di Parole” su Magie Sinister Forum a seguito di una particolare immagine inserita da Ale85LeoSign
(Piton CON tigre) che mi ha fatto balenare in mente, in un istante, i punti fondamentali della trama.
L’embrione della parte iniziale e centrale deriva da due flash fic della raccolta “Lo scrigno dei sogni”, rispettivamente, “Inganno d’amore” per il primo capitolo e “L’impossibile magia” per il 1°, 8° e 9° capitolo.



senonfossemaimortomini




Occhi verdi

Indice


Parte prima
Inganno d’amore – ovvero – Quando i sogni muoiono


Cap. 1 – Inganno d’amore
Cap. 2 - Limbo
Cap. 3 - Vivere i sogni
Cap. 4 - Amare un sogno (versione integrale VM18) - (versione censurata, per tutti)
Cap. 5 - Risveglio
Cap. 6 - Quando i sogni muoiono



Parte seconda
Paura d’amare – ovvero – Quando le illusioni svaniscono


Cap. 7 - Seppellire i sogni
Cap. 8 - L’incanto del bosco
Cap. 9 - Il potere della magia
Cap. 10 - Magia d'amore (versione integrale VM18) - (versione censurata, per tutti)
Cap. 11 - Paura d'amare
Cap. 12 - Quando le illusioni cadono
Cap. 13 - Ricordi d'illusioni (versione integrale VM14) - (versione censurata, per tutti)
Cap. 14 - Illusione d'amore (versione integrale VM14) - (versione censurata, per tutti)



Parte terza
Dolore d’amore – ovvero – Quando le maschere si dissolvono


Cap. 15 - Dolore d'amore
Cap. 16 - L'inganno della gelosia
Cap. 17 - Quando le maschere si dissolvono (versione integrale VM18) - (versione censurata, per tutti)
Cap. 18 - Scontro mortale
Cap. 19 - Occhi verdi


_________________________________________________________________________________________________


Occhi verdi


Parte prima
Inganno d’amore – ovvero – Quando i sogni muoiono

Cap. 1 – Inganno d’amore




… The green eyes found the black…
… e gli occhi verdi si fusero in quelli neri… (1)

- Guardami, Severus, guardami!
C’era un velo opaco davanti agli occhi del mago, che faceva una grande fatica a mettere a fuoco l’immagine e concentrarsi gli costava uno strenuo sforzo: le iridi erano verdi, intensamente verdi e luminose, piene di lacrime. E d’amore.
- Resisti, Severus, ti prego, resisti! Sono io, Lily, la tua Lily!
Il dolore al collo era atroce, un largo squarcio che bruciava in un rogo d’infinita sofferenza sottraendogli la vita in densi fiotti di sangue. Ma Lily, la sua amata Lily, lo stava chiamando e lo incitava a resistere, la voce che tremava, piena d’amore e d’urgenza, come se non ci fosse più tempo e solo un’ultima scelta fosse rimasta. Sospirò piano, cercando l’aria e la forza che gli mancava.
- Non andartene, Severus, resta qui con me, per sempre!
Le mani erano piccole ma forti e stringevano spasmodiche le sue, quasi fosse l’ultimo gesto possibile, cercando di trattenere ostinatamente la vita che voleva abbandonarlo.
- Ti amo, Severus, resta con me, scegli di vivere, ti prego!
Le lacrime scendevano copiose sul volto pallido e spaventato di Lily.
Il mago non ce la faceva più a tenere gli occhi aperti, eppure doveva resistere: era la sua Lily che lo stava implorando di vivere, la sua adorata Lily che lo amava ed era venuta a salvarlo.
Ma cos’era accaduto?
Cercò di sforzarsi, ma non lo ricordava più, nel suo limbo dove tutto era atroce sofferenza, dove solo il dolore imperava togliendogli l’aria e le forze; lo spasmo pulsante al collo era tremendo, quello lo sentiva bene, era terribilmente reale, ancor più delle labbra di Lily, morbidamente rosse, che sussurravano il suo nome implorandolo tra le lacrime:
- Ti amo, Severus, ti prego, scegli me, il mio amore e la vita!
Gli occhi gli bruciavano, la gola era un rogo infinito, ma, sì, voleva vivere, voleva amarla, per sempre, anche se non aveva più forze, neppure per pronunciare il suo dolce nome. Con strenuo sforzo dischiuse appena le labbra e un sottile sussurro straziato ne uscì a fatica:
- Li… ly… sì!
Il mago stesso non aveva udito alcun suono uscire dalla propria bocca, ma Lily doveva aver percepito il suo desiderio di vivere perché sulle sue labbra apparve il più splendido sorriso che mai le avesse visto nel bel volto.
Così Severus chiuse infine gli occhi, felice, immerso nel verde sogno d’amore della sua Lily.


*



Isabel era arrivata appena in tempo.
Sapeva che sarebbe successo, sapeva anche che cosa sarebbe successo.
Le informazioni raccolte sulle intenzioni di Voldemort erano state molto precise, provenienti da fonti affidabili, accuratamente scelte tra i Mangiamorte che più gli erano vicini e godevano della piena fiducia dell’Oscuro. Perfino l’amicizia coltivata con quella gatta isterica di Bellatrix si era alla fine rivelata utilissima. Aveva seguito di nascosto, con discrezione e dalla dovuta distanza di sicurezza, tutti i movimenti di Voldemort degli ultimi mesi e aveva infine compreso, dalla sua smania di possedere la bacchetta vincente, che l’Oscuro stava cercando l’Antica Bacchetta di Sambuco per diventare invincibile e distruggere il Prescelto.
I buoni rapporti sempre mantenuti con la famiglia Malfoy, e Narcissa in particolare, madre disperata e sempre bisognosa d’incoraggiamento e aiuto, si erano rivelati preziosi: da lei aveva sempre ottenuto informazioni molto preziose, quella sul Voto Infrangibile, per esempio, e sempre da Narcissa aveva saputo che il giovane Potter aveva disarmato Draco conquistando la sua bacchetta, quella che a sua volta aveva sconfitto il legno magico del grande Silente.
Era quindi Potter, ora, il padrone dell’Antica Bacchetta, e non Severus Piton.
Isabel l’aveva capito subito, mentre Voldemort ancora lo ignorava, e questa sarebbe stata la sua fine; perché lei di Severus conosceva molte cose, troppe, forse, che le facevano battere forte il cuore, fino a farle male: sapeva dell’accordo tra i due maghi, dell’ordine tremendo che Silente gli aveva imposto, e il dolore di quel gesto glielo aveva letto in profondità nella disperazione dei profondi occhi neri, anche se il mago non si era mai accorto di lei e della sua esistenza.
Così sapeva che Voldemort l’avrebbe ucciso credendo di appropriarsi della Bacchetta del Destino, ma non conosceva come, né il luogo, né il tempo.
Da settimane era sempre all’erta, il potente sortilegio pronto sulle labbra e la mano stretta sull’ampolla che poteva imbottigliare la morte, e quella notte anche lei, come tutti, era lì, sul chi vive, a controllare da vicino le mosse di Voldemort. Era stato Lucius a dirle dove l’avrebbe trovato, senza neppure rendersi conto che stava salvando la vita all’amico che un anno prima aveva sacrificato la propria anima per suo figlio. Se l’avesse saputo, Lucius lo avrebbe considerato uno scambio equo, ne era certa.
L’incantesimo di rilevamento che aveva piazzato su Severus l’aveva guidata con rapidità dal mago, col cuore in gola, temendo che fossero già passati quei fatidici minuti che avrebbero irrimediabilmente decretato la morte dell’uomo che da troppi anni amava senza alcuna speranza.

L’aveva trovato là, svenuto, disteso a terra in un lago di sangue, uno squarcio nel collo e gli occhi neri affacciati sul vuoto, tracce argentee ancora sul viso esangue, per ricordi d’amore e di dolore donati ad un figlio mai avuto che aveva creduto di vederlo morire sotto i propri occhi.
Rimase dissimulata nello stretto corridoio e lanciò un incantesimo per rallentare l’uscita del sangue e trattenere la vita più a lungo possibile, ancora per qualche prezioso istante, nel corpo del mago
Era arrivata appena in tempo e fremeva in preda all’ansia; Potter e l’amica sembrava non volessero andarsene più: avevano i suoi ricordi, cosa aspettavano ancora?
All’improvviso la voce del Signore dell’Oscurità risuonò possente attraverso i muri di Hogwarts e per le strade di Hogsmeade per lanciare l’ultimatum a Potter e attirarlo nella Foresta Proibita: finalmente i ragazzi si allontanarono di corsa ed Isabel ebbe campo libero.
Si precipitò in ginocchio a fianco del mago e gli sollevò il capo, delicatamente: il pallore della morte ormai regnava sul suo viso.
Nel silenzio della notte versò le preziose gocce di vita sul collo, una ad una, dense e rosse proprio come il sangue che, fluendo dalla ferita, lo aveva quasi dissanguato in una lunga e dolorosa agonia.
Le versò lentamente, con disperato amore, trattenendo il respiro, angosciata, attendendo l’impossibile, mentre con voce acuta e tremante pronunciava l’arcano incantesimo che mille volte aveva ripetuto per inciderlo a fondo nella memoria.
Con mosse veloci, poi, sapendo che le rimanevano solo pochi istanti, mischiò il sangue del mago con quello che rimaneva della rossa pozione che aveva congelato e sospeso la morte, quindi puntò la bacchetta delimitando lo spazio ed eseguì l’oscuro sortilegio di duplicazione spargendo a terra le gocce di vita e di morte, ormai inscindibilmente unite.
Il simulacro del corpo di Severus Piton comparve di fianco a quello vero, perfetta duplicazione senza vita dell’uomo che amava e che, a tutti i costi, era determinata a sottrarre al gelo della morte. L’inganno era perfettamente riuscito e tutti avrebbero creduto che Severus Piton era veramente morto in quella notte di vittoria per il mondo magico che, sempre, lo aveva umiliato e disprezzato, relegandolo ai suoi margini. Isabel era certa che nessuno si sarebbe chinato sul suo viso per omaggiarlo, nessuno avrebbe versato una lacrima nel ricordarlo, nessuno si sarebbe avvicinato abbastanza per capire che quello che stavano seppellendo non era il corpo di Severus Piton.
Ora poteva andare via e portarlo con sé nel verde paradiso che aveva riservato per lui.

*



Il corpo del mago, adagiato su un soffice giaciglio, era ormai freddo, gelido come il candido marmo di una statua.
Era stata la potente magia oscura di Isabel a congelare il poco calore che era rimasto in lui, appena in tempo, prima che la morte giungesse inesorabile.
La stoffa nera del suo casto abito era completamente intrisa di sangue, il suo sangue.
Percorse piano, sfiorandolo appena con le dita, il profilo spigoloso del volto del mago, immobile nel pallore della morte che gli si era fin troppo avvicinata.
Non indossava più maschere, ora.
Non era più il crudele Mangiamorte, o la coraggiosa Spia, o l’acido Professore di Pozioni.
Severus Piton era solo suo, ora: apparteneva a una strega oscura che aveva studiato i tremendi segreti della vita ed aveva imparato a mettere un freno alla morte.
L’aveva portato velocemente via dalla polverosa Stamberga Strillante, luogo già denso d’orribili ricordi per il mago, lasciando al suo posto un simulacro che persone distratte e distanti avrebbero facilmente scambiato con il corpo di un mago che odiava troppo se stesso per essere compreso da chi non sapeva leggere il dolore nelle tenebre profonde dei suoi occhi. Come lei, invece, aveva imparato a fare a sua totale insaputa, da troppo tempo, ormai.
Sarebbe stato solo suo, ad ogni costo, nelle tenebre o nella luce, nel tripudio d’ombra e di sole dell’antica foresta, luogo senza tempo dove da sempre affondavano le radici della vera magia che emanava impetuosa e travolgente, inarrestabile e potente come non mai, arcano luogo da tempo abbandonato, ora protetto dalla sua magia e precluso ad ogni altro essere umano: l’incantata acqua della vita scorreva per ripulirlo dal sangue, lo pervadeva a fondo per riportare il soffio vitale nel suo petto immobile, dove la potente fattura della strega l’aveva congelato.
L’aveva deciso da tempo: Severus sarebbe stato suo, nella vita o nella morte, ma solo il mago avrebbe potuto scegliere se continuare a vivere o sprofondare per sempre nell’oblio.
Isabel puntò la bacchetta su se stessa e lanciò un ultimo sguardo distratto allo specchio per salutare, nell’intenso riflesso verde d’un istante, occhi determinati e lunghi riccioli corvini.
Ci fu un lampo di luce, l’immagine cambiò e la giovane strega non fu più lei: fiamme rosse di passione, i suoi capelli, ora, verde luminoso di speranza i suoi occhi. Isabel era certa che Severus avrebbe scelto lei, la vita, scambiandola per l’oblio della morte, bramandola infinitamente e inseguendo fino in fondo il suo perduto sogno d’amore.
Un dolce inganno, necessario.
E sarebbe stato suo!
Per sempre!

Ancora pochi istanti, infiniti, e poi l’oscuro sortilegio avrebbe avuto effetto; doveva essere pronta, davanti ai suoi occhi, doveva essere Lily, la sua Lily, e lui avrebbe fatto la scelta giusta.
L’incanto cominciò ad esplicare i suoi effetti: il petto del mago si sollevò di nuovo in un tremante respiro e le sue ciglia vibrano mentre la nuova Lily sussurrava, con amore:
- Guardami…

… The green eyes found the black…
… e gli occhi verdi si fusero in quelli neri…
- Guardami, Severus, guardami!


*



Il mago aveva infine richiuso gli occhi, un sorriso felice ad illuminargli il volto mortalmente pallido ed ancora distorto dal dolore della grave ferita.
Aveva fatto tutto quanto era in suo potere per sottrarre Severus alla morte, perfino assumere le sembianze dell’odiata rivale ed ora non poteva far altro che aspettare che il sortilegio esplicasse in modo completo il suo effetto: si trattava solo di pochi minuti, ma Isabel sapeva che quell’attesa le sarebbe parsa eterna nell’incertezza dell’esito di quella partita d’azzardo giocata tra la vita e la moerte.
Severus aveva scelto, ne era certa, ma cosa, esattamente?
Il battito accelerato del suo cuore scandiva il troppo lento trascorrere del tempo mentre Isabel teneva Severus tra le braccia, spaventata, stringendolo a sé ogni istante di più, il respiro contratto che a fatica le usciva dalle labbra, quasi volesse imitare l’immobilità statuaria del mago.
Si accorse d’avere il viso rigato di lacrime e se ne stupì: non credeva d’essere ancora capace di piangere, no, non lei! Eppure aveva pianto, per Severus, che da tutta la vita amava un’altra donna di cui aveva appena assunto le illusorie sembianze. Odiava quegli occhi verdi, così luminosamente chiari!
Delicatamente gli carezzò il viso, così pallido e immobile da convincerla quasi che fosse morto e che tutto, alla fine, fosse stato inutile. Sfiorò piano, con dita tremanti, le labbra sottili che per troppi anni aveva desiderato baciare: perché il tempo si era fermato e si ostinava a non scorrere più? Il cuore le sarebbe scoppiato, in quella tremenda attesa, se ancora lo avesse avuto.
No, non era quello il momento per farsi stupide ed inutili domande.
Lo strinse ancor di più a sé: non erano mai stati così vicini e così a lungo!
Lo sarebbero stati ancora?
Nella vita, oppure nella morte?
Non le interessava di morire, ma voleva che Severus vivesse e per questo era stata disposta a tutto. Ma ancora non sapeva se aveva vinto la vita dell’uomo che amava, oppure se aveva perso.
Tutto.
Le lacrime ripresero a scorrere sul viso di Isabel mentre le morbide onde rosse dei capelli di Lily, energia di vita che non voleva cedere al destino, s’intrecciavano alle lunghe ciocche nere di Severus, tenebre della morte che avanzava (2), carezzandogli teneramente le guance. Poi si chinò sul suo viso, esausta, disperata, angosciata, chiedendosi cosa avesse sbagliato nel piano che fino a poche ore prima le era parso così perfetto.
Inesorabile il tempo era ormai trascorso, inutilmente, e solo pochi istanti di vita e di speranza rimanevano ancora. Non avrebbe continuato a piangere.
L’avrebbe baciato.
Avrebbe preso ciò che aveva sempre desiderato, ciò che meritava, ciò che le spettava di diritto.
Un bacio.
Da quelle stupende labbra sottili, tenere e morbide, ormai fredde di morte.
Un bacio che avrebbe suggellato per sempre i loro indissolubili destini.
Sfiorò piano le labbra di Severus con le sue, con delicato amore ed appassionato desiderio.
E l’impossibile infine accadde.
Un sospiro leggero, un tremito, un gemito lieve e la luce tornò a brillare negli occhi neri del mago che, increduli, ora guardavano Lily, incatenati alle sue iridi verde chiaro.
Non riusciva a parlare, non aveva neppure la forza di sorriderle, ma la guardava dalle tenebre della morte da cui era infine riuscita a sottrarlo.
Isabel afferrò l’ampolla dal comodino e con lenta delicatezza versò nella gola del mago alcune gocce di un’altra potente pozione, facendogliele trangugiare con cura: ora che era vivo doveva dormire e riprendere le forze.



(1) Ok, la traduzione è mia, e non sarà letterale, ma secondo me esprime molto meglio ciò che realmente è accaduto alla fine del 32° capitolo del 7° libro “Harry Potter e i doni della morte”.
(2) Il significato del rosso (vita) contrapposto al nero (morte) è stato aggiunto a seguito dei commenti di Monica (Kijoka).


Edited by chiara53 - 3/6/2015, 17:43
 
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Ho letto anche le storie di Rika e Charlie e ho lasciato un messaggio in "Pronto soccorso fanfiction" perchè non sono affatto sicura che Nagini sia un serpente velenoso, come loro hanno scritto. Ma questa è una sottigliezza che ha poca importanza.

Stardust di Swindle.

Mi sono piaciute moltissimo le parole di Harry riguardo a Piton: sono proprio quelle che tutte noi avremmo voluto poter leggere nel finale del settimo libro, ma che la Rowling non ha voluto scriverle lasciando solo che i lettori le intuissero dalla scelta del nome che Harry ha dato al suo secondogenito e al riferimento all'uomo più coraggioso che aveva conosciuto.
Indubbiamente sarei curiosa di scoprire cosa Harry direbbe al suo funerali, ma comincio a pensare che potrebbe anche non esserci proprio.
Intriganti poi il finale di capitolo dove è ben reso il lento risveglio di Piton e quel "Non lo so" è un bel colpo di scena che fa immediatamente scattare la domanda: come sarebbe Severus Piton, come persona, se non avesse tutti i terribili ricordi (e rimorsi) che invece ha?
Però, mi aspetto che anche qui Piton recuperi la memoria; quando vedrà Potter gli verrà un colpo e tutto il suo passato tornerà su di lui? O sarà Harry stesso a raccontargli tutto, compreso che era innamorato di Lily? Perchè da Lily dobbiamo passarci per forza, visto che è un "paletto" della sfida!

Ora due notazioni da Beta, premesso che la storia è comunque molto ben scritta.
1) A mio modo di vedere usi troppo spesso la "e" dopo la virgola. Non che io sia contraria, in qualche caso ci vuole proprio, ma mi pare che tu faccia un uso eccessivo e spesso superfluo di quella virgola.
2) Secondo me usi troppi "lui" e "lei" che spesso sono del tutto superflui oppure altre volte possono essere agevolmente sostituiti da altri termini meno ripetitivi in modo da non appesantire la lettura.


Wild Life di Nemesis

Direi che una prima, buona presentazione di Arcadia è stata fatta, anche se sappiamo ancora poco sul suo lato "animalesco" che, dato il titolo e certi accenni al sangue, ritengo esplicherà un suolo molto significativo nella storia. Quindi resto in attesa della rivelazione... e del salvataggio di Piton grazie al relativamente semplice escamotage di quella Giratempo superstite rubata al Ministero (bella idea).

Anche qui una nota da Beta, visto che anche tu abusi un po' troppo di lui/lei, spesso del tutto superflui, nonchè qualche forma un po' pesante e di derivazione vagamente dialettale.


Edited by chiara53 - 3/6/2015, 17:41
 
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Ed ecco il commento a "In qualunque luogo" di Kijoka.

Ad essere sincera, io ho letto e betato questo capitolo diversi mesi fa (credo che fosse la fine del 2009) e mi era piaciuto moltissimo sì che, ora, rileggerlo è stato un vero piacere.

Prologo bellissimo, mozzafiato, tremendo e stupendo insieme, nel sogno a lungo anelato di sentire il proprio nome sussurrato da labbra sottilmente sensuali che in quella notte tremenda è infine diventato cruda realtà.
Aah... le parole sussurrate da Severus :lovelove: , semplicemente da brividi quel suo implorare perdono e preoccuparsi per il dolore di lei, e poi i suoi gesti delicati, il suo bacio dolcissimo :lovelove: , ingredienti sublimi per il mio nodo alla gola che fa il paio con le lacrime della donna e la sua dichiarazione d'amore e di totale fiducia.
Non c'è alcun bisogno di dire che la mia immedesimazione nel personaggio femminile, aiutata anche dalla forma della prima persona, è stata completa, fin dalle prime parole, perfetta fin dall'arrivo di quella camminata inconfondibile.
Così come immediato e intenso è stato il mio coinvolgimento emotivo in Severus :lovelove: , non appena ha pronunciato quelle parole da brivido "No! E' mia!", cui è seguita tutta la stupenda messa in scena con gli alterchi con gli altri Mangiamorte (strepitosa quella catena che compare al movimento della sua mano per strozzare il Mangiamorte che ha parlato!).
Aah... sospiro! Quella scena avrei potuto scriverla io, e non credo di poterti fare complimento più grande: grazie di averlo fatto tu, Monica, permettendomi di godermela fino in fondo! :wub:


Edited by chiara53 - 3/6/2015, 17:41
 
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view post Posted on 28/6/2010, 16:29
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Edited by chiara53 - 3/6/2015, 17:41
 
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CITAZIONE (ellyson @ 28/6/2010, 17:29)
:sob: :sob:

Piangi per i miei commenti o perchè hai letto la storia di Monica?

Edited by chiara53 - 3/6/2015, 17:41
 
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view post Posted on 28/6/2010, 16:44
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CITAZIONE (Ida59 @ 28/6/2010, 17:36)
CITAZIONE (ellyson @ 28/6/2010, 17:29)
:sob: :sob:

Piangi per i miei commenti o perchè hai letto la storia di Monica?

Piango perché non ho ancora finito!
E fino a quando non inserisco il mio prologo e il mio primo capitolo non posso (e non voglio) leggere le vostre storie.
:cry: :cry: :cry: :cry: :cry: :cry:

Edited by chiara53 - 3/6/2015, 17:42
 
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view post Posted on 28/6/2010, 16:52
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CITAZIONE (ellyson @ 28/6/2010, 17:44)
Piango perché non ho ancora finito!
E fino a quando non inserisco il mio prologo e il mio primo capitolo non posso (e non voglio) leggere le vostre storie.

Aah... capisco...

Edited by chiara53 - 3/6/2015, 17:42
 
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view post Posted on 28/6/2010, 18:12




CITAZIONE (Ida59 @ 28/6/2010, 16:49)
Wild Life di Nemesis

Direi che una prima, buona presentazione di Arcadia è stata fatta, anche se sappiamo ancora poco sul suo lato "animalesco" che, dato il titolo e certi accenni al sangue, ritengo esplicherà un suolo molto significativo nella storia. Quindi resto in attesa della rivelazione... e del salvataggio di Piton grazie al relativamente semplice escamotage di quella Giratempo superstite rubata al Ministero (bella idea).

Anche qui una nota da Beta, visto che anche tu abusi un po' troppo di lui/lei, spesso del tutto superflui, nonchè qualche forma un po' pesante e di derivazione vagamente dialettale.[/color]

Grazie :D
Mi impegnerò per evitare tutti i lui/lei e le forme dialettali :) Grazie per i consigli,
 
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view post Posted on 28/6/2010, 21:33
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Titolo: Winterreise (Viaggio d’inverno)
Autore: Alaide
Bera-reader: /
Tipologia: Long-fiction
Rating: Per tutti
Genere: Introspettivo, Drammatico
Personaggi: Severus Piton, Harry Potter, Hermione Granger, Ygraine Ainsworth (Personaggio Originale)
Pairing: Severus/Ygraine
Epoca: (solo per le fic di HP) – post settimo libro
Avvertimenti: nessuno
Riassunto: Era stato certo di essere arrivato alla fine e si era preparato a non esistere più – o ad esistere in un altro luogo, ammesso che questo esistesse –, ad esalare il suo ultimo respiro, a veder giungere a compimento il suo viaggio solitario.
Invece la vita - la sua buona sorte avrebbe potuto dire qualche sprovveduto – aveva avuto un’idea diversa.
Ed ora viveva.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. La trama di questa storia é invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Nota: La storia trae spunto da un ciclo di Lieder (si tratta di un genere musicale diffuso nelle nazioni di lingua tedesca soprattutto nel XIX secolo, dove una poesia o un ciclo di poesie come in questo caso, sono musicate da un compositore. Si tratta di composizione generalmente previste per pianoforte e voce) di Franz Schubert su testo di Wilhelm Müller, intitolato Winterreise (1827), composto da 24 poesie. Ogni capitolo porterà il titolo della poesia in questione ed una citazione – integrale o frammentaria (nel qual caso sarà indicato in nota quali versi ho preso in considerazione) della poesia. Il testo sarà fornito in tedesco con traduzione ad opera della sottoscritta, quindi si spera per lo meno comprensibile.
L’idea di legare Winterreise ad una storia che vedesse come protagonista Severus mi è venuta alla mente ascoltando dal vivo il suddetto ciclo di Lieder l’anno scorso, ma l’idea è stata messe in un angolino, fino a che non è comparsa questa sfida che, per me, ha un valore doppio perché è la prima volta che scrivo di Severus.
Un’ultima annotazione, poi taccio. Nel corso del racconto vi saranno diversi riferimenti operistici, dovuti alla professione di uno dei personaggi originali che è cantante d’opera. Ho tentato di inserire soltanto riferimenti che potessero aver interesse per la trama stessa. In alcuni casi darò un piccolo accenno di trama nelle note a piè pagina.

senonfossemaimortomini



Indice:

Capitolo I. Gute Nacht (Buonanotte)
Capitolo II. Die Wetterfahne (La banderuola)
Capitolo III. Gefrorene Tränen (Lacrime di ghiaccio)
Capitolo IV. Erstarrung (Congelamento)
Capitolo V. Der Lindenbaum (Il Tiglio)
Capitolo VI. Wasserflut (Flutti d'acqua)
Capitolo VII. Aus dem flusse (Sul fiume)
Capitolo VIII. Rückblick (Sguardo indietro)
Capitolo IX. Irrlicht (Fuoco Fatuo)
Capitolo X. Rast (Sosta)
Capitolo XI. Frühlingstraum (Sogno di primavera)
Capitolo XII. Einsamkeit (Solitudine)
Capitolo XIII - parte I. Die Post (La posta)
Capitolo XIII - parte II. Die Post (La posta)
Capitolo XIV. Die greise Kopf (La testa bianca)
Capitolo XV. Die Krähe (La cornacchia)
Capitolo XVI. Die Leszte Hoffnung (Ultima speranza)
Capitolo XVII. Im Dorfe (in paese)
Capitolo XVIII. Der stürmische Morgen (La mattina tempestosa)
Capitolo XIX. - parte I. Täuschung (Illusione)
Capitolo XIX. - parte II. Täuschung (Illusione)
Capitolo XX. - parte I. Der Wegweiser (Il segnale stradale)
Capitolo XX. - parte II. Der Wegweiser (Il segnale stradale)
Capitolo XX - parte III. Der Wegweiser (Il segnale stradale)
Capitolo XX - parte IV. Der Wegweiser (il segnale stradale)
Capitolo XXI - parte I. Das Wirtshaus (La locanda)
Capitolo XXI - parte II. Das Wirsthaus (La locanda)
Capitolo XXI - parte III. Das Wirsthaus (La locanda)
Capitolo XXII - parte I. Mut (Coraggio)
Capitolo XXII - parte II. Mut (Coraggio)
Capitolo XXII - parte II. Mut (Coraggio)
Capitolo XXIII. - Parte I. Die Nebensonnen (Gli altri soli)
Capitolo XXIII - parte II. Die Nebesonnen (Gli altri soli)
Capitolo XXIV. Der Leiermann (Il suonatore d'organetti)
Epilogo.




Winterreise. Viaggio d’Inverno


Capitolo I

Gute Nacht



Ich kann zu meiner Reisen
nicht wählen mit der Zeit,
muss selbst den Weg mir weisen
in dieser Dunkelheit.
(Io non posso del mio viaggio
scegliere il tempo,
devo io stesso trovarmi un sentiero
in questa oscurità.)[1]


Gran Bretagna, 27 novembre 2001



Pioveva.
La pioggia tintinnava incessantemente, trasportata dal vento impetuoso e gelido che proveniva dalla Manica. La gente si affrettava, ricurva per le intemperie, a raggiungere il luogo di lavoro o la propria abitazione.
Soltanto una figura rimaneva immobile di fronte alla scalinata che portava alla facciata classicheggiante della Tate Britain, lasciando che l’acqua ed il vento la colpissero, inzuppando il cappotto, mentre le gocce colavano dal solido ombrello scuro. La mano sottile e delicata che reggeva il manico dell’ombrello era anch’essa bagnata e la giovane si disse che avrebbe fatto meglio a muoversi se non voleva prendersi una brutta infreddatura.
Scosse leggermente il capo, prima di camminare rapidamente. Raggiunto finalmente il riparo offerto dall’ingresso del museo, chiuse l’ombrello e rimase per qualche istante ad osservare lo spiazzo battuto dalla pioggia e dal vento, dicendosi che forse era un’immagine del genere che Rossini aveva avuto in mente quando aveva composto lo spettacolare temporale della Cenerentola[2].
Lasciò cadere qualche sterlina nella cassa per le donazioni, poi, dopo aver lasciato cappotto e ombrello al guardaroba, si diresse con passo deciso alle sale dove erano custoditi i dipinti Preraffaelliti.
Prese ad osservarli uno ad uno, in cerca di ispirazione e di comprensione. Forse era un’idea sciocca, ma le sembrava che avrebbe potuto trovare una lettura sensata di Elsa von Brabant [3] tra i volti, alle volte inquietanti, delle donne dipinte da Gabriel Dante Rossetti, John Everett Millais e Edward Burne-Jones.
La giovane donna scosse leggermente il capo, mentre fissava la tela di Rossetti e la figura femminile dai capelli rossicci che teneva tra le mani un melograno, però in Proserpina non c’era quel candore che caratterizzava l’eroina wagneriana.
Ma Elsa era veramente candida e pura? Oppure era ben più contorta di quanto apparisse? Una donna che per debolezza – perché lei non riusciva a chiamarla semplice curiosità – sacrificava il proprio amore, non era forse ben differente da una fanciulla innocente, vittima delle infide parole di Ortrud? O almeno quella era la sua opinione, per quanto l’idea di un soprano al suo debutto nel ruolo potesse valere.
Si spostò dal quadro, muovendosi per la sala deserta, se non per la presenza di un uomo seduto di fronte ai dipinti appesi sulla parete opposta della sala.
La giovane donna gli lanciò un’occhiata distratta, per poi continuare ad osservare i dipinti. Mentre il tempo scorreva lento, notò quanto fosse faticoso trovare il volto di una giovane donna che rappresentasse qualcuno che prova la massima fiducia in un uomo apparsole in sogno e che poi non riesce a fidarsi di lui, una volta che questi è arrivato e l’ha salvata. Un comportamento irrazionale e contrario alla logica comune, si disse il soprano, ma la logica comune, naturalmente, non prevedeva che un cavaliere giungesse su una navicella guidata da un cigno, né che il suddetto cigno si rivelasse essere un bambino trasformato in animale da una donna dotata di poteri magici e dedita al male. Ma in fondo il comune buonsenso non prevedeva nemmeno che la magia esistesse.
D’altronde l’opera era ben poco logica e la giovane dovette dar ragione a Tristan che le aveva ripetuto diverse volte che lei, così speculativa e razionale, non era per nulla tagliata per essere una folle sul palcoscenico.
Il soprano scosse il capo, quasi con rabbia, sforzandosi di osservare con attenzione il volto misterioso della Lady of Shalott [4], ma la sua mente non poteva far altro che soffermarsi sul pensiero di quello che era accaduto esattamente un anno prima.
Tutti i suoi sforzi per mantenersi impegnata, per pensare al suo prossimo debutto nel ruolo di Elsa, per concentrare la propria mente su qualcos’altro si stavano rivelando vani. Forse sarebbe dovuta restare a casa ed osservare il volto silenzioso e triste di sua madre, udire lo sfogliare frenetico del padre, sentire i discorsi futili della cognata e le parole che sarebbero uscite dalle labbra di Gawain.
O, peggio, vedere gli sguardi interrogativi di Rebecca, che avrebbe domandato perché lo zio se n’era andato per sempre l’anno precedente.
La giovane donna lanciò una rapida occhiata alla pioggia che picchiettava con insistenza contro una delle finestre che davano luce alla sala. Tristan avrebbe detto che non era un caso se quel giorno pioveva, ma egli era dotato di una fantasia di gran lunga più sviluppata della sua. E di una maggiore sensibilità. Probabilmente, si disse, dopo un attimo di riflessione, per quanto potesse sembrarle strano un pensiero del genere, il fratello era più lucido di quanto non avesse mai pensato. In fondo aveva sempre visto in lui un’anima poetica, nata forse nel secolo sbagliato, la cui forte sensibilità aveva finito per sommergerla.
Ma pensando al suo gesto finale, si era spesso interrogata sulla questione. Quanta lucidità ci voleva per fare quello che Tristan aveva fatto? Non aveva forse scientemente scelto la propria strada, come tutti gli altri esseri umani? Una scelta logica o illogica? Lei non poteva di certo stabilirlo, ma pur sempre una scelta meditata in solitudine. Era convinta infatti che ogni decisione, non importava quante circostanze esteriori vi fossero, era qualcosa che veniva meditato in solitudine, unicamente dalla propria mente – dal proprio cuore avrebbe detto Tristan –, nel momento in cui ci si muoveva lungo il cammino intellegibile della propria vita.
Da solo Tristan aveva scelto la sua strada, si disse, mentre si sedeva, forse per meglio osservare uno dei quadri che le stavano davanti, senza essere disturbata dalle luci, forse per ritrovare la calma necessaria per ritornare a concentrarsi su Elsa von Brabant.
Fu in quel momento che si accorse che l’uomo che aveva notato distrattamente, mentre ancora meditava sulla protagonista femminile di Lohengrin, non si era mosso. Non riusciva a calcolare quanto tempo fosse trascorso da quando l’aveva intravisto, ma era sicuramente un tempo lungo per qualcuno intento a visitare un museo. Lei aveva speso diversi minuti davanti ad ogni dipinto nel tentativo di trovare una somiglianze, anche solo gestuale, tra quelle donne ed Elsa, ma quell’uomo non si era spostato di lì. Forse era semplicemente un qualche esperto di Storia dell’Arte che stava per scrivere un libro rivelatore sui Preraffaelliti, ma in tal caso non sarebbe stato più logico vederlo prendere appunti e non semplicemente rimanere immobile a fissare uno dei quadri di fronte a sé? Ma forse non voleva dire assolutamente nulla. in fondo non v’era nessuna legge che stabiliva che una persona intenta a fare una ricerca dovesse per forza di cose scrivere forsennatamente.
Distolse rapidamente lo sguardo, dandosi della sciocca. Qualsiasi fosse la ragione che portava quell’uomo ad essere lì, non era di certo affar suo. Eppure v’era qualcosa che la incuriosiva, forse semplicemente perché v’era qualcosa di insolito.
Oppure era perché aveva un che della figura del Wanderer [5].
Pensiero assurdo, si disse. Il Wanderer, perso nel mare di nebbia, volto verso l’infinito indefinibile e il Wanderer di Schubert, rivolto verso il proprio cammino, dove trova e cerca la morte, durante un viaggio nell’inverno dell’anima, erano figure della fantasia romantica e di certo lontane da qualsiasi forma di realismo.
La giovane donna trasse un lieve sospiro, prima di analizzare i quadri che le stavano di fronte, cercando di tornare a focalizzarsi su Elsa von Brabant. Era mai possibile che quella figura che reggeva un giglio avesse qualcosa a che fare con la giovane duchessa di Brabante? V’era in quell’atteggiamento dimesso, in quel volto malinconico chino verso il suolo, qualcosa del personaggio wagneriano, nel momento in cui, poco dopo aver ritrovato il fratello, muore d’amore? Sicuramente nell’immaginario comune Elsa era innocente e pura, ed il giglio era simbolo di purezza, ma, ad un’analisi più approfondita, il personaggio risultava veramente così innocente?
Dei passi improvvisi interruppero le meditazioni della giovane donna, facendole alzare di colpo. Si aspettava di vedere la sagoma dell’uomo, seduto poco distante da lei, allontanarsi dalla sala, invece egli era ancora lì. Fu per quello che non si accorse che qualcun altro era entrato e che si stava avvicinando a lei.
«Fortunatamente ti ho trovata, Ygraine. – disse una voce nota alla giovane donna che si alzò dal divanetto, trovandosi a guardare il volto bonario della sua pianista – Quando non ti ho vista arrivare per provare, mi sono preoccupata. Tuo fratello mi ha detto che ti avrei trovata qui.»
«Ti prego di perdonarmi, Jane. – rispose Ygraine, mentre si accorgeva che l’ansia di trovarsi qualcosa da fare quel giorno, le aveva fatto dimenticare che aveva già di che tenere la mente occupata – Credo di aver sbagliato a segnare l’ora nella mia agenda. Fortunatamente mancano ancora alcuni giorni al concerto.»
L’altra donna annuì, accettando le parole del giovane soprano, che, nel seguire la pianista all’esterno della sala, passò davanti all’ultimo quadro che aveva osservato, leggendone titolo e autore, ripromettendosi di informarsi maggiormente su quell’opera di Dante Gabriel Rossetti.
Il rumore prodotto dalle scarpe di Jane, la precedette all’esterno di quella lunga sala, colma di quadri enigmatici. Si voltò un istante, quando fu sulla soglia, e notò che l’uomo non si era mosso. In quel momento le parve che stesse osservando proprio il volto chino verso il basso dell’effigiata dell’ultimo dipinto che aveva preso in considerazione, ma con ogni probabilità era solo una sua impressione, si disse prima di uscire, lasciando che la solitudine rientrasse nella sala.
Soltanto il rumore della pioggia pareva riempire lo spazio ampio e semideserto. Il ticchettio delle gocce, portate dal vento furioso di quella giornata di fine novembre, si faceva sempre più insistente e la luce che penetrava dall’esterno sempre più scarsa e cupa.
Cupa come un viaggio solitario, come quella strada oscura che era la vita. In fondo, si disse l’uomo, che diversità c’era tra le tenebre e la vita – la sua vita, si corresse –, una vita che gli apparteneva ancora per un caso fortuito di cui avrebbe fatto volentieri a meno? Le motivazioni della sua sopravvivenza rimanevano un mistero. Non era tanto il perché fosse ancora in vita – per quello vi erano delle chiare risposte negli archivi del San Mungo –, quanto piuttosto per quale motivo la morte non l’avesse preso con sé nel momento in cui poteva farlo. Era una domanda che vorticava nella sua mente, sovrapponendosi ed intrecciandosi con ricordi e rimorsi impossibili da rimuovere anche solo per un istante dalla sua mente.
Una domanda alla quale non riusciva a trovare risposta, perché forse non ve n’era una.
Eppure questo non gli impediva di riflettere sulla questione. D’altronde sarebbe stato da sciocchi non farlo, anche se, alla fine, si tornava sempre al punto di partenza, a quella ricerca di una motivazione che era impossibile trovare. Forse avrebbe dovuto accontentarsi di sapere che era sopravvissuto, quando era stato certo di morire, quando aveva visto la fine, la meta ultima della vita di ogni uomo – una meta che era certo di raggiungere una volta finito il suo scopo – avvicinarsi inesorabilmente.
Invece non era stato quello il momento in cui il suo cammino aveva avuto fine, per quanto lui avesse potuto desiderarlo o darlo per scontato. O pensare che fosse veramente giunto. Percepirlo. Quasi sfiorarlo.
Sfiorarlo, appunto.
Non aveva ancora raggiunto il porto e non poteva pronosticare quando questo sarebbe successo.
In definitiva non stava a lui scegliere il tempo per il viaggio, o meglio, per la sua fine. Ma non si intraprendeva forse un viaggio sapendo che questo arriverà al termine? Non si viveva forse sapendo che si andrà incontro alla morte? E così come non si poteva scegliere l’inizio del viaggio, non era dato al viaggiatore di sceglierne la fine.
O per lo meno non era dato a lui sceglierne il tempo.
V’era chi lo faceva, questo era un dato di fatto, ma il suicidio era una strada che non aveva mai preso in considerazione. Nemmeno nei momenti più disperati aveva pensato di rivoltare un’arma o un veleno contro se stesso. Morire poteva forse poter dire trovare la pace, per quanto v’erano momenti in cui ne dubitava con tutto se stesso. Le sue colpe erano troppo gravose perché la morte potesse pacificarlo. Eppure la morte poteva veramente voler dire la fine di tutto. Del soffrire, del rimorso.
Di tutto.
Qualcuno avrebbe potuto vedere in questo un’ottima ragione per porre fine alla propria vita.
Eppure non aveva mai preso in considerazione la possibilità di suicidarsi.
Semplicemente era impensabile, si disse, mentre osservava con maggiore attenzione quella tela che lo rinviava a ricordi persi nel tempo, voler fuggire volutamente dalle proprie colpe. Perché, in fondo, quello poteva significare, per lui, il suicidio.
Ed era qualcosa che non poteva e voleva fare.
Qualcosa di inimmaginabile.
O forse, per una qualche motivazione, a lui stesso intellegibile, non voleva ancora morire, per quanto non vedesse davanti a sé nessuna ragione per poter vivere.
L’unica cosa di cui era assolutamente certo, si disse, mentre i suoi occhi si perdevano ad osservare il volto dell’effigiata, era che tre anni prima era stato sicuro che l’ultima cosa che avrebbe potuto vedere in vita sua, sarebbero stati gli occhi di Lily. Aveva creduto che l’ultimo suo gesto sarebbe stato contemplare il verde dello sguardo di Lily. Ed anche, in quel momento, portando i propri occhi neri sugli occhi della donna del quadro Babbano che stava di fronte a lui, incontrò il verde egli occhi di Lily, per quanto, ancora una volta, proprio com’era avvenuto nella Stamberga Strillante, quello sguardo non appartenesse realmente a lei.
Con gli occhi ancora incatenati a quelli malinconici e dolci del quadro, vedeva il cammino che gli rimaneva da percorrere, confondersi imperscrutabile nel verde stesso di quegli occhi.
O nella cupezza del cielo tempestoso di quel giorno di fine novembre.


Pioveva.
L’acqua sembrava non voler smettere di cadere su tutta l’Inghilterra. Bagnava ogni essere vivente che, in quella cupa notte di fine novembre, si avventurava all’esterno della sua abitazione; bagnava ogni casa di Mago o di Babbano. Ed il vento sibilava furibondo, facendo gemere gli alberi e sbattere qualche finestra la sciata, per chissà quale motivo, aperta.
La pioggia ticchettava impetuosa sulla cabina del telefono che dava ingresso al Ministero della Magia, su Diagon Alley, deserto e ricostruito rapidamente dopo la fine della guerra, su Westmister, sul Tamigi e sulla Torre di Londra. Le fini gocce cadevano anche contro le finestre buie e silenziose di una casa georgiana di Bedford Square, tenendo desta Ygraine Ainsworth.
Forse non era nemmeno la pioggia battente ad impedirle di dormire, né ben che meno il pensiero del recital che avrebbe affrontato il sei dicembre, né il prossimo debutto in Lohengrin, anche se le sarebbe piaciuto crederlo.
Forse le sarebbe bastato pensare alla musica, cantare una qualche aria – magari non una delle più drammatiche del suo repertorio –, ma di certo i vicini non avrebbero gradito e men che meno suo fratello che la ospitava per tutto il tempo delle prove e delle rappresentazioni.
In quel giorno le sembrava di star perdendo di vista la sua abituale ragionevolezza, ma forse era qualcosa di naturale. Anzi, sua madre le avrebbe detto che era comunque assolutamente ragionevole, quanto a suo padre… semplicemente non se ne sarebbe accorto, immerso com’era nei suoi studi. A volte le pareva strano che un uomo a tal punto sensibile nell’affrontare i problemi emotivi di qualche oscuro cavaliere arturiano, fosse così assolutamente incapace di accorgersi degli esseri reali che lo circondavano. Forse solo quel giorno si era allontanato dai suoi microfilm e dalle sue analisi di manoscritti di autori anonimi o sconosciuti ai più.
Ma quella non era una giornata come tutte le altre, o meglio, lo era stata fino all’anno precedente, quando, in una notte illuminata dalle stelle e da un quasi impercettibile falce di luna [6], Tristan aveva rivolto contro di sé un coltello trovato in cucina. Forse era stato proprio a quell’ora che il fratello aveva deciso, nella solitudine del suo piccolo appartamento, di uccidersi. O meglio, si corresse Ygraine, rigirandosi nel letto, di compire l’atto decisivo di una scelta che doveva aver già preso da tempo.
V’era stato in effetti nel comportamento di Tristan qualcosa che avrebbe potuto far pensare che stesse dando il suo addio alla vita. Col senno di poi, a Ygraine era apparso chiaro.
Qualcosa di inutile.
Lo stato di prostrazione psicologica in cui versava Tristan era qualcosa di cui era necessario accorgersi subito, non quando i fatti si erano già prodotti.
Quei pensieri che la stavano conducendo verso strade che non voleva affrontare, furono interrotti dall’aprirsi furtivo della porta della sua stanza e dai successivi passetti che sfiorarono il pavimento.
«Rebecca, dovresti essere a letto da diverso tempo, ormai. Domani devi andare a scuola.» mormorò Ygraine, mettendosi seduta, mentre la nipote, la cui figurina era appena visibile grazie alla luce dei lampioni che penetrava tra i tendaggi, si avvicinava a lei.
«La pioggia ed il vento mi impediscono di dormire, zia, – biascicò la bambina, mettendosi a sedere sul materasso – e papà e mamma dormono.»
«E cosa ti lasciava pensare che io fossi sveglia?» domandò Ygraine, mentre la pioggia sembrava aumentare di intensità.
«Oh… zia, anche se dormivi, non mi avresti detto niente. Invece papà si sarebbe arrabbiato.» mormorò Rebecca, sgusciando sotto le coperte.
«Gawain vuole che ti comporti come una bambina grande.» affermò la giovane donna, dicendosi che era insito nel fratello irritarsi per qualcosa che sconvolgeva anche minimamente il suo quieto vivere e le sue abitudini.
Ricordava che una volta sua madre aveva detto che Gawain non sarebbe mai stato un artista ed Ygraine aveva dato ragione alla donna, anche se la mamma non aveva mai pensato che lei potesse calcare il palcoscenico.
«Ma io sono grande. – protestò la bambina – Ho otto anni.»
«Hai ragione, Rebecca, sei grande. – bisbigliò Ygraine, scompigliando i capelli castani della nipote – Ma la prossima volta puoi pensare a qualche storia divertente. Magari ti addormenti, ma se non riesci puoi sempre venire qui.»
«Però tu non sei sempre qui, zia. – disse la bambina, scuotendo il capo contrariata – E a me piacerebbe tanto venire a sentirti cantare sempre e non vedo l’ora che sia il giorno del tuo concerto. Nonna mi ha comprato un biglietto. E poi c’è quell’opera, quella che hai già cantato, quando io ero tanto piccola… e quella nuova… Lonhengrin, o qualcosa del genere… ha una bella storia, zia?»
«Io la trovo bella, Rebecca. Forse ti piacerà. Lohengrin è un cavaliere...»
«Allora ci saranno dei duelli? – domandò la bambina, interessata – E anche una bella principessa che si innamora di lui?»
«Ti dovrai accontentare di una duchessa – rispose Ygraine, cercando di dare un tono leggero alle sue parole – e ci sarà anche un duello, nel primo atto.»
«Ma finisce bene o male, zia?» la incalzò Rebecca, impedendole di aggiungere qualcosa d’altro.
«Male.» disse soltanto la giovane donna.
«Oh, tutte le opere che hai cantato finiscono che qualcuno muore. – commentò la bambina – Ed in questa cosa succede?»
«La storia è complessa, Rebecca. – disse Ygraine, sorridendo al commento della nipote – Ti prometto che domani te la racconterò.»
«E mi farai sentire anche un pezzo?» domandò la piccola, trattenendo a stento uno sbadiglio.
«Certamente, Rebecca. Ma ora dormi.»
La bambina annuì, augurando, bofonchiando, la buona notte alla zia.
«Buona notte, Rebecca.» rispose di rimando la giovane donna.
Dopo qualche minuto il respiro regolare della bambina addormentata fu udibile tra il ticchettio della pioggia. Ygraine, dal canto suo, rimase sveglia, chiedendosi se quella notte avrebbe mai avuto fine e, mentre la domanda le si presentava alla mente, le parve di udire risuonare le note di un organetto. Corse alla finestra, ma la piazza illuminata dalle luci elettriche era vuota. Eppure la musica risuonava ancora nell’aria. Ed ad un certo punto intravide un vecchio suonatore di organetto, trascinarsi per strada. Immagine bizzarra, si disse, in una sera come quella. Un pover’uomo, aggiunse, tornando a coricarsi, cullata dalla tiritera malinconica del vecchio, bagnato dalla pioggia, le cui gocce cadevano su tutta Londra, su tutta l’Inghilterra, bagnando abitazioni, giardini, alberi e piazze. Cadeva violentemente tra i sibili del vento su ogni casolare, su ogni villaggio e su ogni quartiere.
E pioveva sul grigiume di Spinner’s End, che nemmeno l’acqua poteva lavare. Tutto pareva dormire, mentre ogni goccia picchiettava contro finestre, tetti e strade. Nessuno si avventurava all’esterno, ma v’era chi vegliava. Una madre sfinita da una giornata di lavoro che tentava di quietare il figlio piangente. Un senzatetto nascosto dietro una catapecchia semiabbandonata.
Un uomo solitario con un libro aperto davanti.
Un libro le cui pagine venivano sfogliate lentamente, mentre i minuti passavano inesorabili e lenti, senza che gli occhi neri del lettore sembrassero dare segno di affaticamento, nemmeno quando la notte aveva ormai superato la sua metà.
Il sonno sarebbe presto o tardi arrivato, com’era naturale che fosse, si disse Severus Piton, ma non sarebbe mai stata una buona notte.
Ma da quando le sue notti erano buone?
Domanda retorica e tutt’altro che intelligente.
All’esterno la pioggia continuava a ticchettare persistente e aritmica, portata dal vento, un suono che aggiungeva un corollario ad una notte come tante altre, una notte che sembrava l’esatta ripetizione di tutta una lunga serie di notti che aveva vissuto da che si era ritrovato vivo.
V’era qualcosa di tremendamente ironico nel fatto che, in quel momento, in cui si trovava ad essere impensabilmente libero da ogni vincolo, si sentiva quanto mai vincolato. Ed era proprio nelle ore notturne che il vincolo invisibile dei ricordi e del passato sembrava afferrarlo con maggior forza, impedendogli quasi di concentrarsi su quanto stava leggendo.
Mentre le gocce di pioggia vorticavano scendendo dal cielo, imperturbabili, bagnando tutto senza distinzioni, l’uomo si rendeva pienamente conto che il suo passato l’avrebbe afferrato con sempre maggior forza ogni giorno che passava, perché, in quei giorni, che un altro avrebbe potuto definire di libertà, aveva un tempo pressoché illimitato per riflettere, per rivivere ogni momento.
Forse era per quello che la morte l’aveva rifuggito, rigettato.
Poteva essere che il sinistro mietitore [7] fosse dotato di un macabro senso dell’umorismo ed amasse giocare con la vita delle persone, evitando di prendere con sé chi pareva desiderarlo.
O chi era certo di essere arrivato alla fine.
Ed egli aveva avuto in effetti l’idea di aver riconosciuto la meta, nella Stamberga Strillante. Era sembrato così chiaro. La morte era apparsa così vicina che avrebbe potuto toccarla e vederla, qualsiasi fosse la sua immagine.
Era stato certo di essere arrivato alla fine e si era preparato a non esistere più – o ad esistere in un altro luogo, ammesso che questo esistesse –, ad esalare il suo ultimo respiro, a veder giungere a compimento il suo viaggio solitario.
Invece la vita - la sua buona sorta avrebbe potuto dire qualche sprovveduto – aveva avuto un’idea diversa.
Ed ora viveva.
Respirava come ogni altro essere vivente, vedeva i giorni trascorrere lentamente, uno dopo l’altro come accadeva ad ogni uomo, osservava il cammino davanti a sé srotolarsi ora dopo ora e la meta finale avvicinarsi.
E si voltava indietro – più di quanto non guardasse avanti, ammise – alla parte del viaggio già percorsa – lunga o corta, non poteva saperlo – colma di scelte e decisioni, di responsabilità enormi che gli gravavano sulle spalle. Un tratto di strada che era sempre nella sua mente, pensiero indelebile nella veglia come nel sonno.
Ed era presente anche in quel momento in cui il vento scuoteva ogni cosa e tutto si bagnava di un’acqua che in una qualche leggenda avrebbe potuto avere un effetto purificatore, ma v’erano macchie che nemmeno l’acqua più pura poteva cancellare.
Severus si alzò, lasciando il libro aperto, e si avvicinò alla finestra su cui l’acqua, cadendo, segnava dei sentieri sul vetro.
L’inverno stava arrivando.
Eppure questo non voleva dire nulla, se non a livello naturale.
In fondo era da tempo che la sua vita era in inverno, che viaggiava nell’inverno profondo costituito dalla sua vita e dalle sue scelte. E quell’inverno, colmo di rami rinsecchiti e spezzati come le sue colpe, si protraeva da ben prima che Nagini lo mordesse, ben prima che le sue mani si macchiassero del sangue di Silente, da ben prima che Lily morisse, forse da ben prima che il Marchio Nero fosse impresso sul suo avambraccio sinistro.
Ed era in quell’inverno dell’anima che, perduto lo scopo che, fino al momento in cui aveva creduto di morire, lo aveva in un certo senso guidato, avrebbe dovuto trovare una strada, un cammino solitario, ma pur sempre un cammino, di cui però non riusciva ad intravedere la linea davanti a sé.
Eppure un strada alla fine avrebbe scelto.
Anche se non gli era dato conoscerne il momento, se non quando avrebbe compiuto una scelta che l’avrebbe fatto svoltare per un sentiero accidentato.
Rimase ancora per qualche istante immobile accanto alla finestra, ombra scura, nella cupezza di quella tempestosa notte di novembre, poi si staccò dai vetri sferzati dall’acqua che cadeva dal cielo.
Mentre tornava al suo libro in attesa che il sonno lo cogliesse, la pioggia si affievolì leggermente ed un breve ed effimero raggio di luna si fece strada tra le nubi. Illuminò per qualche istante il suo percorso, per essere inghiottito poco dopo dalle nuvole nere che lottavano tra loro nel cielo oscuro.



[1] Wilhelm Müller, Gute Nacht (buona notte), seconda strofa versi 1-4.

[2] Nell’opera di Gioacchino Rossini, La Cenerentola, è presente una scena di temporale affidata all’orchestra che imita il rumore della pioggia ed il soffiare del vento.

[3] Protagonista femminile di Lohengrin di Richard Wagner. Duchessa di Brabante, dopo la morte del padre, è accusata di fratricidio, essendo il fratello, Gottfried, scomparso in circostanze misteriose. L’imperatore Heinrich (si tratta di Enrico l’Uccellatore) si trova nel Brabante per invitarne gli abitanti ad appoggiarlo nella sua campagna contro gli ungari. Il conte Friedrich von Telramund, tutore di Elsa e Gottfried, spinto dalla moglie Ortrud, accusa Elsa di fratricidio e di complottare per salire al soglio insieme ad un misterioso amante. La fanciulla chiamata a difendersi, evoca un sogno nel quale un cavaliere sarebbe giunto a difenderla dall’ingiusta accusa e domanda all’imperatore di invocare il giudizio di Dio, ovvero di indire un duello. Colui che ne uscirà vincitore sarà colui che avrà effettivamente difeso la verità. Friedrich stesso si offre per difendere la propria opinione, quindi l’accusa nei confronti di Elsa, mentre l’araldo di Heinrich, chiama un difensore per la fanciulla. Nessuno dei presenti si offre ed ormai ogni speranza è svanita per la giovane duchessa, quando, al terzo richiamo, un cavaliere si avvicina, su una barca condotta da un cigno (la scena si svolge nelle vicinanze della Schelda), e si dice pronto a difendere Elsa. Il cavaliere promette ad Elsa, che ha riconosciuto in lui l’uomo apparsole in sogno, il suo amore e di farla sua sposa, a patto che lei non gli chieda mai chi sia e da dove venga, perché in tal caso sarà costretto a lasciarla. La giovane promette. Poco dopo ha inizio il duello ed il misterioso cavaliere ne esce vincitore e risparmia la vita a Telramund.
La notte successiva al duello, Friedrich e Ortrud siedono insieme. L’uomo si scaglia contro la moglie, accusandola di essere lei ad averlo spinto ad accusare l’innocente Elsa e ad essere, quindi, adesso ricoperto di onta. Ortrud ribatte che il cavaliere ha vinto soltanto grazie alla sua magia e che, se il suo nome verrà rivelato, allora il potere che gli ha permesso di vincere, grazie all’inganno, sarà distrutto. Friedrich rimane soggiogato dalle parole della moglie, la quale gli promette di instillare il dubbio nella mente di Elsa. Ed è proprio la ragazza che esce poco dopo, credendo al finto pentimento che Ortrud le mostra, anche se, di fronte alle abili parole della donna, la giovane sembra difendere la purezza e assolutezza del suo amore, mostrando disinteresse per l’identità del futuro sposo. Il giorno dopo, mentre Elsa è guidata in processione alla cattedrale per sposarsi, Friedrich e Ortrud continuano ad insinuare in lei il dubbio, insistendo sull’importanza del nome e sulla finta purezza di intenti del cavaliere. Quando il cavaliere compare, insieme ad Heinrich, Elsa si rifugia tra le sue braccia e l’uomo è preoccupato per il suo spavento.
Dopo che il corteo nuziale ha accompagnato Elsa ed il suo sposo nella camera nuziale, i due novelli sposi rimangono soli. Elsa, divorata ormai dal dubbio, pressa il cavaliere perché le riveli qualcosa di sé, senza porre però ancora la domanda proibita. L’uomo le risponde con una mezza verità, dicendole: «Il tuo amore dev'essere la ricompensa di ciò che rinunciai per te. L'unica cosa che valga il mio sacrificio la vedo nel tuo amore. Non provengo dall'oscurità ma dalla luce e dallo splendore!». Queste parole rendono ancora più confusa Elsa e la spingono sempre di più verso la domanda fatale, nonostante il cavaliere cerchi in tutti i modi di dimostrarle che la conoscenza del nome non è fondamentale, che egli, appena l’ha vista, pur senza conoscerne le origini, ha avuto fiducia in lei, comprendendone l’innocenza, senza porre domande. Ma alla fine Elsa non riesce più a tacere e chiede al marito chi sia e da dove venga. Appena pronunciata la domanda, Friedrich von Telramund fa irruzione nella stanza per uccidere il cavaliere, ma egli è più rapido ed uccide il conte.
All’alba tutto il popolo di Brabante è riunito nei pressi della Schelda ed il cavaliere rivela alla fine il suo nome e la sua origine. Egli è Lohengrin, figlio di Parsifal, cavaliere del Graal, venuto in aiuto ad Elsa perché è suo potere difendere l’innocente ovunque questi si trovi. Domandandogli il proprio nome, Elsa lo obbliga a ritornare a Monsalvato, dove è custodito il Graal, perché tale è il destino che lo attende (Lohengrin è richiamato dal Graal stesso a Monsalvato). Il cigno ricompare a prendere Lohengrin ed allora il cavaliere rivela, come ultimo atto, che l’animale altri non è che Gottfried, trasformato in cigno da Ortrud. Magicamente il cigno ritorna il bambino che il cavaliere del Graal affida ad Elsa, donandole il suo anello, il suo corno e la sua spada perché li possa passare a Gottfried quando sarà l’ora. Il bambino sarebbe dovuto rimanere per un anno presso i cavalieri del Graal in modo da recuperare pienamente le proprie forze ed accrescere la propria saggezza, ma è ormai impossibile. Con un ultimo disperato addio a Elsa, Lohengrin abbandona il Brabante. La giovane, sconvolta, invoca lo sposo per poi cadere a terra, morta.

[4] Tela di John William Waterhouse. Tutti i dipinti citati in precedenza e che saranno citati successivamente fanno effettivamente parte delle collezioni della Tate Britain, come ho verificato sul sito della medesima. L’unica libertà letteraria che mi sono presa, riguarda la loro effettiva esposizione in sala, in quanto l’esposizione viene effettuata a rotazione, quindi non posso sapere quali quadri si trovavano effettivamente esposti nella galleria nel novembre del 2001. La descrizione del museo è il più fedele possibile alla realtà, anche se può benissimo essere che i miei ricordi mi ingannino, soprattutto sulla presenza delle finestre in quella data sala. Se questo dovesse risultare errato, si tratterebbe allora di una nuova licenza poetica.

[5] Il termine Wanderer è stato volutamente mantenuto in tedesco, perché è parola in parte intraducibile in italiano. Letteralmente Wanderer significava Viaggiatore, ma la parola Wanderer, usata nel romanticismo e tardo-romanticismo tedesco, assume i connotati di un Viaggio compiuto nell’anima, piuttosto che di un viaggio reale. Vi è inoltre nel Wanderer romantico, una sorta di impossibilità alla quiete, al non viaggiare. Il Wanderer è quasi un essere destinato ad affrontare il Viaggio. È inoltre un Wanderer il protagonista del ciclo di Lieder che ha dato ispirazione al racconto.

[6] Le fasi lunari per l’anno 2000 sono dedotte dal calendario perpetuo. Allo stesso modo sono stati rivelati giorni della settimana e fasi lunari dell’anno 2001.

[7] La morte nella tradizione inglese è rappresentata simbolicamente tramite figure maschili. Per questo ho deciso di lasciare, in questa occasione, al maschile la personificazione del Grim Reaper, senza traslarlo al femminile come avviene in italiano dove si riferisce alla morte come alla mietitrice.


Edited by Alaide - 8/11/2022, 08:26
 
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