Il Calderone di Severus

Sfida N. 9 FF: Se Severus non fosse mai morto

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view post Posted on 10/4/2012, 07:55
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Mi decido a inserirmi in questa "sfida" che a quanto pare non ha termini di scadenza. Sono molto sincera: non sarà all'altezza delle storie che ho letto qui pubblicate, ma una neofita spero che venga giustificata :rolleyes: .
Ida dolcissima e insostituibile, come sempre, mi ha convinto a postare qui un racconto con personaggio originale al quale mi sono affezionata scrivendo.
Chiedo alle amministratrici di aiutarmi con l'inserimento dei Link (ammesso che serva) perchè sono una totale imbranata.
Posterò ogni settimana un capitoletto.
Grazie a chi leggerà.

Link ai capitoli successivi al prologo
UNO
DUE
TRE
QUATTRO
CINQUE
SEI ED EPILOGO





Titolo: A MODO MIO AVREI BISOGNO DI CAREZZE ANCH'IO
Autore/data: Chiara53 –
Beta-reader: Ida59
Tipologia: storia a capitoli
Rating: per tutti
Genere: drammatico, introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Harry Potter, due personaggi originali
Pairing: Severus/personaggio originale
Epoca: Dopo la fine della seconda guerra magica
Avvertimenti: AU
Riassunto: Questo racconto è la storia dell’anima di Severus e della sua faticosa risalita dal precipizio profondo nel quale è caduta.

Ringraziamenti: Grazie come sempre e più di sempre ad Ida che spende tempo ed energie per aiutarmi ad esprimere al meglio le mie sensazioni sulla carta.


Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi ed i personaggi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



A MODO MIO AVREI BISOGNO DI CAREZZE ANCH'IO...
(Piazza Grande di Lucio Dalla)

Il titolo rappresenta un omaggio ad un grande autore scomparso da pochissimo e che io amavo molto.



PROLOGO


Le auto, il traffico, il rumore mi sommergono, mi squassano.
Non ci sono più abituato, per la verità, non ci sono mai stato abituato.
Sono uscito dall’ospedale, ne sono fuori: mi trovo in un angolo squallido e polveroso di Londra, le mani sprofondate nelle tasche; ho scelto di indossare anonimi abiti Babbani.
Sono vivo e questa è l’unica cosa drammaticamente vera.
Decido di perdermi tra queste strade, forse mi sono già perduto, ma non me ne sono accorto; ho smarrito me stesso da tanto di quel tempo che non so più ritrovarmi.
Cammino, ma non so quanta strada posso percorrere prima di sentirmi stanco, non conosco più neanche le possibilità del mio corpo; continuo a domandarmi fin da quando mi sono svegliato in ospedale, per quale sarcastico fato, proprio io, tra tanti che sono ormai sotto terra, ce l’ho ancora e posso usarlo, questo dannato corpo.
La grande città anonima non riconosce nessuno, non si cura di nessuno; i passanti non esistono l’uno per l’altro, sono solo corpi che occupano uno spazio, un fastidio quando capita di voler coesistere in un luogo ristretto.
L’umanità si spintona, si accalca, ma non c’è una briciola di reciprocità, di aiuto, di consapevolezza dell’altro da sé: e a me va bene così.
Mi appoggio ad un muro, in un angolo, in disparte, fuori dalla pazza folla.
Da quanto tempo cammino? Forse non molto, ma dopo due mesi di ospedale mi stanco presto e più di così non ce la faccio, devo fermarmi: le mani nascoste nelle tasche insieme con la bacchetta, mentre la nebbia nasconde il resto di me.
L’insegna colorata di un pub ammicca in fondo alla strada è un luogo per relitti, per coppiette irregolari, per un’umanità stanca: niente di meglio.
Non mi curo degli altri avventori e loro non si curano di me, va tutto bene; il bancone è semivuoto, gli sgabelli liberi; ordino un whiskey e chiedo di avere tutta la bottiglia: posso pagare.
Il primo bicchiere mi brucia nella gola ancora sensibile, ma il secondo e il terzo vanno giù che è un piacere.
Porto via la bottiglia e consegno venti sterline al barista. Non mi chiede perché bevo, né perché sono lì; non gli interesso tranne che per i soldi che gli ho dato in cambio di un liquore di infima qualità, ed è quello che voglio.
Sono stordito, desidero esserlo è il meglio che mi capita da mesi e continuerò così.
Con la bottiglia in mano vado nell’unico posto che mi viene in mente, quella specie di casa a Spinner’s End, se ancora esiste dopo le visite di nemici buoni e cattivi; mi verrebbe quasi da ridere: ho solo nemici, ma anche questo l’ho sempre saputo.
Non ho fretta di rivedere quella catapecchia: evito la smaterializzazione, e poi sono troppo confuso e stanco.
La nebbia si fa più densa e le luci del traffico incessante si aprono un varco tra le spire di quello che sembra fumo spesso e grigio.
Ho la testa ovattata, leggera, i pensieri rallentano. Per non perdere questa sensazione, che pare riempire la voragine che ho dentro, bevo un altro paio di sorsi dalla bottiglia.
Meglio, va molto meglio: forse Tobias non aveva tutti i torti. Chissà perché quando penso a lui non mi viene mai la parola padre, ma non indago.
La ciminiera, il rigagnolo che non merita il nome di fiume e la strada sporca sono qui e in fondo, nel buio, la casa.
La porta è stata scardinata, qualche mio caro amico di una delle due fazioni ha cercato di farmi visita. Non mi ha trovato, ma mi ha lasciato qualche regalo: meritato, secondo lui o loro, forse anche secondo me.
Con la bacchetta riparo la porta e la chiudo alla meglio; non ho voglia di fare conoscenza con qualche balordo di passaggio che si farebbe male, dato che non mi conosce abbastanza.
Raddrizzo una sedia sbilenca e appoggio sul tavolo la bottiglia a metà, ma ancora per poco.
Buon sangue non mente! Nell’ebbrezza mi viene da ridere e rido, rido mentre sento le lacrime che mi bagnano il viso, poi bevo ancora per stordirmi di più, per perdere conoscenza e sensibilità, per non pensare: non ho fortuna, un barlume di lucidità mi perseguita e tutto quanto non ha più tanto senso.
Silenzio… buio… l’ultimo pensiero coerente: sono libero, se non di vivere, almeno di morire o di ubriacarmi; poi rumore di vetri infranti.

Mi sono svegliato disteso sul pavimento, sono caduto e devo aver vomitato: bravo Severus, mi complimento!
La bacchetta mi aiuta e faccio sparire lo sporco e i cocci della bottiglia.
La testa mi fa male da impazzire, ma forse pazzo lo sono già.
Sono uno a cui hanno tagliato i fili che lo reggevano, che lo facevano camminare, parlare, muoversi; i burattinai se ne sono andati e mi hanno buttato nell’immondizia; non servo più, sono rotto, sporco, inutile.
Qui, dentro questa baracca, ho vissuto i periodi peggiori della mia vita, ma non ho altro posto dove stare, l’alternativa è la strada o il marciapiede.
Hai finito di tenere la schiena dritta, Severus: hai finito di fingere.

Edited by Ale85LeoSign - 2/6/2012, 17:06
 
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view post Posted on 10/4/2012, 11:35
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I ♥ Severus


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E brava Chiara che finalmente ti sei decisa!

Edited by Ida59 - 24/7/2015, 22:03
 
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view post Posted on 10/4/2012, 16:27

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Wow... si prospetta una cosa lunga. :stupore:
Me felicissima. ^_^

Grazie Chiara!
 
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view post Posted on 12/4/2012, 19:33




E' - ovviamente- molto bella ma mi sorge un dubbio: sono praticamente sicura di averla già letta da qualche parte... può essere o sto dando i numeri??
 
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view post Posted on 13/4/2012, 10:57
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I ♥ Severus


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Sì, Greta (ottima memoria), l'hai letta su MSStorie perchè la prima parte (molto breve) è già stata pubblicata lì, mentre la continuazione, più lunga, è ancora inedita e la troverai solo qui.

Edited by Ida59 - 24/7/2015, 22:04
 
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view post Posted on 13/4/2012, 14:23
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Pozionista sofisticato

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Di ritorno dal raduno posto il capitoletto di seguito, visto che il prologo era proprio corto corto:
Grazie a chi legge.

UNO

Come ogni giorno torno dal market con la spesa: pane e tre bottiglie di whiskey.
Nel buio incontro tre individui, sono ladruncoli di passaggio.
Toglietevi dalla mia strada; sono un Mangiamorte: sento esplodere una risata cattiva, e mi accorgo che sono io a provocarla.
Credono di farmi paura quei tre, uno ha un coltello: sarebbe veramente ridicolo farmi ritrovare ucciso nel vicolo da un ragazzino, dopo essere sopravvissuto ad un serpente di cinque metri.
- Lasciatemi stare. – Dico con una voce roca che non sembra la mia: non la uso da tanto tempo e mi esce così. - Andatevene, vi fate male. – aggiungo sfoderando un ghigno che dovrebbe preoccuparli.
Ma insistono:
- Avanti, barbone, dacci le tue bottiglie!
Vogliono solo l’whiskey, non pensano che abbia denaro.
Uno spintone da dietro mi fa cadere: le bottiglie si rompono, mentre sono a terra si divertono a prendermi a calci, non sanno che sono un osso duro.
Senza pensarci impugno la bacchetta e mi sale alla bocca, insieme al sangue, una maledizione che conosco anche troppo bene.
- Crucio. – pronuncio con tutto l’odio e la rabbia che conservo gelosamente. – Crucio, Crucio.
Li vedo stupiti torcersi, improvvisamente, per il dolore inatteso e mi godo la scena, non provo nessuna pietà per questa umanità volgare e vigliacca: attaccare tre contro uno, che bastardi!
Cadono a terra storditi, ora ci vorrebbe un Avada, ma mi guadagnerebbe il resto della vita ad Azkaban.
Mi domando cosa sia peggio, se questo limbo confuso dall’alcool in cui vivo o un carcere di massima sicurezza…
Una bottiglia si è salvata, la raccolgo e proseguo, ma credo che quei disgraziati mi abbiano rotto qualcosa, una costola forse, e fa male; mi curerò con una sbronza: rimedio perfetto, professor Piton!

Deve essere giorno, da un po’ credo di stare male.
Non riesco ad alzarmi ed uscire, non mi reggo in piedi: il fianco mi fa un dolore cane.
Il guaio è che ho finito anche l’alcool e non c’è nessuna boccetta o flacone qui vicino che non sia stata fatta a pezzi, il contenuto sparso dovunque.
Mi assopisco, ma mi sveglio sudato, urlo: di nuovo ho sognato lampi verdi, sangue e buio tanto buio…
Bussano, mi sveglio di nuovo, non smettono.
Entrano con la forza.
- Venite, è qui! – Dice una voce conosciuta
Potter, ancora lui.
Ci sono anche i suoi amichetti: vorrei dire qualcosa di disgustosamente sarcastico, ma… di nuovo chiudo gli occhi.

******************************
(Harry)

Finalmente l’abbiamo trovato, è sparito da un mese.
Tre giorni fa una traccia magica ci ha portato in zona.
Al Ministero si sono mossi finalmente e qualcuno aveva l’indirizzo Babbano di Piton.
La casa è in rovina, sporco dovunque, polvere, odore di whiskey e vomito.
Professore come hai potuto? Cosa ti sei fatto? Cosa ti abbiamo fatto per ridurti così?
Noi, i buoni, forse ci siamo comportati peggio dei “cattivi”.
Hermione sta cercando di rendere abitabile una stanza al piano di sopra.
Io e Ron lo abbiamo messo sul letto, Ron continua a dire che nonostante tutto è un bastardo, anche adesso.
Non è uno che cambia facilmente idea, ma mi aiuta e gli diamo una ripulita.
Piton ha la febbre alta e sta delirando, crede di essere alla presenza di Voldemort nel cerchio dei Mangiamorte e cerca la sua maschera d’argento; dalle frasi sconnesse capisco che non la trova e si agita ma, anche nell’incubo, non chiede aiuto.
E’ fatto così, anche nel delirio o nell’inferno peggiore sa che può contare solo su se stesso, è solo, come non ho mai conosciuto nessun altro.
Hermione lo sta curando, porta sempre con sé la borsa che contiene di tutto.
Cerca di far scendere la febbre, gli da qualcosa per il dolore e una pozione per aggiustare le ossa.
Ma questo è il meno.
Piton è malato dentro, l’ho capito quando siamo entrati in questa casa e l’abbiamo trovato sporco e svenuto sul pavimento, tra le pagine strappate dei libri, in mezzo ai resti degli ingredienti e delle ampolle che li contenevano: libri e oggetti conservati con meticolosa cura per anni, distrutti, come lui.
Abbiamo fatto il possibile per il suo corpo, ma l’anima e la mente sono perse, forse per sempre.
Resto a dormire qui stanotte, non posso lasciarlo in queste condizioni; Ron ed Hermione torneranno domani: anche se non lo sai, non sei solo, professore.

******************

Stamattina, abbiamo preparato qualcosa da mangiare e Hermione ha fatto il caffè nero, quello che Piton predilige: glielo porta ora che è sveglio.
- Granger, ti faccio pena? – sentiamo che le chiede con voce rabbiosa. – Il bastardo vi fa pena?
Dannazione, ha sentito le parole di Ron, ieri.
Salgo le scale, ma ho poche speranze di farlo ragionare.
Mi guarda con occhi che mi sembrano ancora più neri, ancora più determinati, con uno scintillio rabbioso in fondo alle iridi di carbone:
- Vattene, andatevene! Non mi serve niente, da nessuno! – Dice.
Poi parla con più pacatezza e forse è peggio:
- Se vi scordate questo indirizzo mi fate un favore. Potter, hai fatto buon uso dei miei ricordi, è ora che li dimentichi… tu non mi devi niente e io ho concluso il mio compito.
Lo guardo con gli occhi di mia madre, ma stavolta non serve.
Restiamo in silenzio per un altro minuto, poi ce ne andiamo:
- Arrivederci professore…
- Addio, Potter, non tornare!
Per ora non si può fare nient’altro; ci chiudiamo la porta alle spalle.



DUE

Edited by chiara53 - 20/4/2012, 10:52
 
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Swindle
view post Posted on 17/4/2012, 20:17




Buondì, dopo mesi e mesi, riapprodo su questi schermi.
Ho deciso di continuare la ff che avevo iniziato a scrivere per questa sfida, e che avevo interrotto semplicemente per mancanza di tempo.
Il tempo manca comunque, ma è di più la voglia di scrivere, e la speranza di riuscirci. xD
Ricomincio, dunque, grazie anche a Chiara e al suo incoraggiamento... spero che a qualcuno freghi qualcosa di questa piccola storiella! =P
Ciance alle bando, ecco la continuazione di...


.:Stardust:.





Capitoli precedenti di Stardust:

Prologo: -il risveglio-
Capitolo Primo -cicatrice-




Capitolo Secondo

-rivale-



“Talvolta amico è parola priva di senso, nemico mai.”
Victor Hugo



« Dicono che sei diventato pazzo, Potter. » disse una voce ironica dietro di lui.
Harry si fermò, strinse al petto i libri che aveva appena preso in biblioteca, sospirò.
« Ne hanno dette di peggio, mi sembra. » rispose, decidendo immediatamente che non avrebbe dedicato al suo interlocutore altre parole.
Erano passate due settimane da quando aveva litigato con Ron.
Non si parlavano più. Era come se non fossero mai stati amici.
E Harry aveva cominciato ad evitare anche Hermione, anche se sapeva che lei stava facendo di tutto per dividersi tra il suo ragazzo e il suo migliore amico.
Riprese a camminare, come a dire che la discussione era già finita.
Ma a quanto pare lui non era d’accordo.
« Dicono che sei diventato pazzo, a furia di cercare di dimostrare che Severus Piton è ancora vivo. » riprese con voce strascicata, mettendo sarcasmo in ogni singola sillaba « Ma la gente dice tante cose. E io sono curioso di saperlo direttamente da te. »
Qualcosa in Harry prese a tremare violentemente, tanto che dovette fermarsi nuovamente.
« È vero? » chiese ancora.
Harry s’impose di calmarsi, di non badargli. Dopotutto era il solito presuntuoso, cosa poteva aspettarsi da lui?
« Prenderò il tuo silenzio come un’ammissione. »
Harry sentì dei passi dietro di lui, sperò che l’altro avesse deciso di andarsene.
« A quanto pare, Potter, il Signore Oscuro ha fatto più danni di quanto pensassi fosse possibile » disse ad un passo da Harry, facendolo sobbalzare per la sorpresa di ritrovarselo così vicino « l’ultima volta che ha cercato di ucciderti. » finì, calcando sulle parole.
Harry si girò di scatto, fissando Draco Malfoy dritto negli occhi.
« A quanto pare, Malfoy, Voldemort ha fatto in te talmente tanti danni che non sei capace di pronunciare il suo nome. Cos’è, da bravo Mangiamorte hai ancora paura di lui?! » sbottò velenoso.
L’espressione di Malfoy si fece livida, ma non replicò.
« E come mai sei da solo, Malfoy? » chiese ancora, mettendo nelle sue parole tutta la cattiveria di cui era capace « Dove sono i tuoi scagnozzi? Oh, già… uno è morto a causa della sua stessa stupidità! »
Malfoy fu più veloce di Harry.
Lo spinse violentemente al muro, facendogli cadere i libri dalle braccia.
« Non insultare la memoria dei miei amici. » quasi gli urlò all’orecchio, la voce tremante.
Harry dovette ammettere a se stesso di avere esagerato. Ma ultimamente non riusciva a frenarsi.
Gli avrebbe chiesto scusa, se non fosse stato Draco Malfoy.
« E io non lo farò con i tuoi. » continuò quest’ultimo.
Harry annuì. Gli sembrava un buon compromesso.
Draco si allontanò di un passo, e Harry scrollò le spalle, ricomponendosi.
« Non sono venuto a cercarti per gli insulti. » affermò il ragazzo.
« Ah no? » chiese Harry, sinceramente sorpreso.
« No. » rispose semplicemente, senza dare segno di essere infastidito « Credi davvero che Piton sia ancora vivo? » chiese.
Harry annuì.
« E sei convinto di ritrovarlo. » non era una domanda.
« Lo spero. » rispose ugualmente.
Una breve risata amara aprì il volto astuto di Draco.
« Fai ancora i capricci, Potter? Hai ancora il complesso da “voglio-salvare-il-mondo”? »
« Mi sembra di averlo già fatto, in realtà. » rispose tra i denti.
Malfoy inclinò la testa e assottigliò lo sguardo, studiandolo.
« Giusto. » replicò « Sei stato l’eroe che tutti volevano che fossi. Il Bambino-che-è-sopravvissuto-due-volte-all’Anatema-che-Uccide. Dov’è l’altra cicatrice, Potter? » lo sbeffeggiò.
« Me ne basta una, grazie. »
« Ti senti in colpa, non è così? » chiese, una luce di serietà negli occhi che Harry non gli aveva mai visto « La notte hai gli incubi e vedi il sangue delle persone che sono morte in guerra e ti chiedi perché. »
Harry deglutì e abbassò gli occhi.
« Lo so il perché. Perché è stata colpa mia. Avrei potuto fare di più, avrei potuto fare in modo che le cose andassero diversamente. »
Da qualche parte nella sua mente, Harry si chiese perché stesse tirando fuori una parte delle ombre che si portava dentro proprio con Malfoy.
Eppure non se ne pentì.
In qualche modo sembrava che Draco lo comprendesse.
« Tutti abbiamo fatto scelte difficili, e tutti abbiamo le nostre colpe. » affermò atono il ragazzo.
Harry lo guardò.
In qualche modo sembrava che Draco condividesse.
« Ho perso troppe persone. » disse il Grifondoro, seguendo il filo dei suoi pensieri « Preferirei non dover perdere anche lui. » ammise, ormai stranamente a proprio agio.
« Credo che Piton penserebbe che tu non possa perdere qualcosa che non ti è mai appartenuto. » replicò Draco, strappando all’altro ragazzo un sorriso.
« Questo è sicuro. E comunque, anche se alla fine mi ha sempre protetto, non l’ha fatto per me, no? »
« Giusto. Ora tutti sanno la vera storia di Severus Piton. Con tutto quello che ha fatto per tenerla nascosta, non credo ti ringrazierebbe per averla sbraitata ai quattro venti. »
Il sorriso di Draco si fece improvvisamente più cattivo.
« E così, Potter, lui amava quella Mezzosangue di tua madre. »
Harry ci mise meno di un secondo a reagire. E questa volta fu il suo turno di afferrare Malfoy per il bavero e spingerlo contro il muro.
« Non insultare mia madre! » gli sibilò all’orecchio con una voce che non sapeva nemmeno di avere « E non insultare nemmeno Piton! » aggiunse, strattonando il ragazzo e tenendolo bloccato al muro.
Draco con si scompose.
« Non stavo insultando nessuno dei due. » disse lentamente « Come puoi notare non ho usato la parola “Sanguesporco(1)” per riferirmi a tua madre, Potter. E non sono così vigliacco né da insultare Piton, né da sottovalutare il potere dell’amore. » finì con una smorfia.
Quelle parole lo fecero rimanere a bocca aperta, completamente sbalordito.
Mai avrebbe creduto che Malfoy potesse pensare, e dire, una cosa del genere.
Rimasero in quella posizione, a studiarsi, per parecchio tempo, fino a quando Draco non cominciò a dar segni di cedimento.
« Hai per caso intenzione di lasciarmi andare, Potter? » sbottò.
Harry si riscosse, rendendosi conto di star ancora tendendo Draco bloccato al muro.
« Sì, certo, scusa. » disse, allontanandosi velocemente.
Malfoy si lisciò lievemente le vesti, con un sorriso serafico sul volto.
« Ma ad ogni modo. » riprese il Serpeverde « Cosa ti fa pensare che voglia essere salvato? »
Harry lo fissò a occhi sbarrati, confuso.
« Cosa vorresti dire? »
« Mi meraviglio di te, Potter. » disse, ripescando la sua ironia « Io conoscevo Piton meglio di te. E non mi stupirebbe se il fatto di sparire fosse tutto un suo piano. Magari, non vuole affatto essere trovato. »
Quell’ipotesi prese Harry letteralmente in contropiede.
Non aveva neanche lontanamente immaginato una simile teoria, ma pensando all’uomo che Piton era… più che probabile.
Per la seconda volta, Harry era senza parole, e Draco non mancò di sottolinearlo.
« Cos’è, Potter, ti ho lasciato a bocca asciutta? Non sai più come ribattere? Il grande Harry Potter che non sa rispondere ad una sfida. » un sorrisetto beffardo era riapparso sul suo volto « Devo segnare questo giorno sul calendario. »
Harry strinse forte i pugni, Draco sapeva sempre come farlo infuriare.
« Senti, Malfoy » cominciò a dire « Tu non hai proprio il diritto di… » ma le parole gli morirono in bocca.
Uno scintillio passò negli occhi di Draco, e Harry capì.
Capì che quella strana situazione, quel loro strano discorso che li stava unendo in quello strano modo, disturbava entrambi nello stesso modo.
Quello di Malfoy era solo un tentativo per rimettere le cose a posto, così come tra loro erano sempre state.
Ma Harry aveva ancora qualcosa da dire, prima che potessero tornare ad odiarsi cordialmente.
« Quindi cosa dovrei fare secondo te? Dovrei smettere di cercarlo? » chiese.
Il viso di Draco si rabbuiò, la sua armatura di sicurezza s’incrinò; evidentemente non si aspettava una domanda simile.
Ma il piccolo lord si riprese in fretta.
« Non sono il tuo consigliere, Potter. » disse sprezzante « Sono venuto qui per conoscere le tue intenzioni, e ora che so tutto non ho più motivo di sopportare questa tua orribile faccia. »
E senza più una parola si girò. Harry lo guardò allontanarsi per il corridoio con quella sua posa altezzosa, e sorrise mestamente.
Non era il solo che stava soffrendo… e anche Draco teneva a Piton, in qualche modo.
Non sapeva proprio cosa avrebbe dovuto fare. Era ancora convinto che Piton fosse vivo, disperso chissà dove, e l’idea che forse avesse bisogno d’aiuto lo spingeva a continuare nella sua ricerca. Aveva il dovere di sdebitarsi.
Ma era pur vero che ciò che gli aveva detto Malfoy non sembrava affatto impossibile.
Se Piton, come Harry credeva, era ancora vivo, chi poteva dire che non fosse sparito dalla circolazione di propria volontà? Dopotutto, anche a Harry, in alcuni momenti, era passata per la testa quell’idea. Nessuno avrebbe potuto biasimarlo per quella scelta, Harry incluso.
E poi c’era quell’altra cosa… certo, Malfoy aveva detto quella frase solo per irritarlo, per sfida, ma se fosse stato vero? Dopo tutti quegli anni passati a evitarlo, poteva essere che Harry avesse sviluppato un certo complesso dell’eroe? Che fosse diventato egoista?
In definitiva: voleva intraprendere quella ricerca per Piton… o per se stesso?
Harry sospirò, riscuotendosi da quei pensieri, e fece per girarsi, quando a terra notò un foglietto arrotolato.
Subito alzò lo sguardo per chiamare Draco, nel caso l’avesse perso lui, ma il Serpeverde doveva aver svoltato un angolo del corridoio e non si vedeva già più.
Il ragazzo si accucciò, abbassandosi sulle ginocchia, e raccolse il bigliettino, srotolandolo.
In una minuscola grafia rattrappita, ma allo stesso tempo elegante, era vergata una frase:

“Io sono il Padrone della Morte”


Harry rimase a guardare il foglietto, raggelato, non tanto per la frase in sé, quanto per la calligrafia che, pur non vedendola da parecchio tempo, aveva subito riconosciuto.
Era quella del Principe Mezzosangue.

***



« Avanti, dinne un altro! » rise Leah, correndo leggera per il sentiero.
Sé si arrestò, tra le braccia un fascio di rami, facendo finta di doverci pensare.
« Mmm. Che ne dici di “attore”? » le chiese, guardando i giochi di luce che il sole produceva sui suoi capelli ramati.
« Attore, eh? Non male… fammi pensare. » si arrestò anche lei, ponendosi un dito su un labbro e cominciando a ragionarci su.
Sé s’incantò a guardarla. Aveva uno sguardo così infantile e genuino da strappargli un risolino soffocato.
Leah, che Sé aveva scoperto essere estremamente sensibile ai suoi cambi d’umore, nonché a leggere le minime espressioni del suo viso, se ne accorse subito e lo guardò imbronciata.
« Cosa c’è da ridere? » sbuffò.
« Niente. » disse lui, tirando lievemente le labbra, massimo segno del suo divertimento « Dai, torniamo alla locanda, oramai si è fatto tardi. E tu continua pure con il tuo gioco. »
Oramai erano passate un paio di settimana da quando Sé si era svegliato e aveva scoperto che neanche la ragazza poteva dargli informazioni sulla sua identità.
Qualche giorno dopo da quell’evento, Leah e Neil l’avevano pregato di farsi vedere da un dottore. Il medico in questione, il dott. MacFergusson, un omone grande e grosso in cui non era difficile intravedere il sangue vichingo dei suoi avi, dopo avergli rivolto gioviale la domanda “come sta il vecchio Neil?” a mo’ di saluto, l’aveva visitato e dunque gli aveva posto delle domande.
« Da quel che mi ha detto Leah » disse leggendo qualcosa nella sua cartellina blu « Lei non ricorda assolutamente nulla della sua vita. »
Sé era rimasto un momento in silenzio, pensando a quanto diretta fosse quella domanda.
« È così. » aveva risposto alla fine, lentamente.
« Perciò, niente nome, nessun età, alcun ricordo, esperienze, amici, familiari? »
“Cos’è, mi prende in giro?” si chiese Sé, inarcando lievemente un sopracciglio “O forse è meno competente di quanto pensassi.”
« Si chiama amnesia, se non vado errato. » rispose ironicamente.
Ma l’uomo non sembrò notare affatto il sarcasmo.
« Esattamente. » disse in tono che a lui doveva parere professionale « Ma ci sono diversi tipi di amnesia. “Anterograda” è il termine utilizzato per riferirsi all’incapacità di memorizzare nuove informazioni, ma non sembra il suo caso, in quanto mi pare di capire che ricorda perfettamente gli avvenimenti che le sono accaduti dopo il suo ritrovamento. “Retrograda” è invece il tipo di amnesia che sembra averla colpita. »
« Ed è possibile che io abbia perduto i ricordi di una vita intera… per sempre? » chiese, ponendo la domanda che più gli stava a cuore.
MacFergusson lo studiò per un momento, schioccando la lingua prima di riprendere a parlare.
« Sì e no. È possibile che non recuperi mai più i suoi ricordi, sì, a meno che, ovviamente, non trovi un modo per farlo. »
« Esiste un modo? » chiese Sé, cominciando a intravedere una luce di speranza.
« Esistono vari modi, direi. Ma tutto dipende dalle cause dell’amnesia stessa. »
Tutte le speranze di Sé parvero sparire in quella frase, e l’uomo si afflosciò impercettibilmente sulla sedia.
« Come posso sapere la causa se non mi ricordo nulla? »
« Questo è ovviamente il problema principale, ma secondo me si può partire da qualcosa di più basilare. »
Sé lo guardò, con aria interrogativa, ma il medico non sembrava avere intenzione di andare avanti. Davvero, che problema aveva?
« Ovvero? » lo spinse allora ad andare avanti, girando gli occhi al cielo.
« Ovvero cominciare ad escludere le cause più comuni. In primis c’è l’invecchiamento, la demenza senile insomma, ma direi che non è assolutamente il suo caso. »
Sé annuì con fare ovvio, sperando che questa volta il dottore non s’interrompesse in momenti inopportuni.
« Poi abbiamo i traumi: può essere avvenuto un trauma cranico che può quindi aver danneggiato il cervello. Durante la mia visita, poco fa, la prima cosa di cui mi sono accertato è che appunto non si vedessero segni di questo tipo di trauma. »
« Ma non ne ha trovati, giusto? »
« Già, e questo complica le cose. Ma in realtà non vuol dire nulla, perché non sappiamo, sempre che abbia avuto un trauma cranico, quanto tempo fa questo sia avvenuto, quindi per quanto ne so i segni fisici potrebbero già essere scomparsi. Potremmo accertarci della cosa con una TAC, ma purtroppo qui non abbiamo questa tecnologia, quindi le consiglierei di prenotare una visita in un ospedale della Contea di Galway. »
Sé annuì, pensieroso, le sottili linee delle sopracciglia che si sfioravano.
« Ma lei non è sicuro che si tratti di trauma cranico. »
« No, come ho detto, non posso esserne sicuro, ma questa è la causa più probabile, considerando la sua amnesia totale. »
« Capisco. Quali sono le altre opzioni? »
« I traumi possono anche essere psicologici. » disse con un’alzata di spalle, ma guardandolo con la coda dell’occhio.
« E questo sarebbe più facile da scoprire? »
« Sì e no. » rispose MacFergusson dopo una lunga pausa. « Facendo una TAC, si potrebbero subito riscontrare eventuali emorragie cerebrali – e per questo le consiglierei di fare al più presto quella visita » disse lanciandogli un’occhiata eloquente « E in questo caso la guarigione sarebbe lunga e difficile, ma possibile. Ma se il trauma è psicologico… » il medico sospirò.
« Se è psicologico? » lo incalzò, irritato.
L’uomo lo guardò sovrappensiero, prima di procedere con la sua lenta spiegazione.
« Il cervello è un organo complesso, signor… » si interruppe, a disagio, continuando a seguito dello sbuffo impaziente di Sè « Certo è sorprendente, ma è estremamente complicato, questo vuol dire che non lo conosciamo interamente, e anche se ciò ci porta a fare continue ricerche e quindi scoperte, probabilmente non lo conosceremmo mai davvero. »
« Dove vuole andare a parare con questo discorso? Pensavo stessimo parlando di trauma psicologico, e non più di quello cranico, cosa c’entra il cervello? »
« Se è veramente un trauma psicologico quello che ha causato la sua amnesia, chi crede che sia responsabile della sua completa perdita di memoria? »
Sé si appoggiò allo schienale, cominciando a comprendere.
« Come dicevo, il cervello è un organo sorprendente e complicato, regolato da un perfetto meccanismo di equilibrio. Se la mente di un essere umano decide di resettare completamente se stessa, di dimenticarsi tutta la propria identità a seguito di un avvenimento che colpisce la propria psiche al punto tale che è impossibile andare avanti avendola vissuta… riesce ad immaginare che tipo di trauma deve essere stato? »
Sé, abbandonato contro lo schienale della poltrona, con gli occhi vacui, rimase senza parole, senza pensieri…
MacFergusson si avvicinò di più a lui, sporgendosi sulla scrivania che li divideva, sovrastandolo con tutta la sua statura, e sussurrandogli:
« E a quel punto, sarebbe capace di fare l’unica cosa possibile per riavere la sua vita? »
Sé alzò lo sguardo sull’uomo, incrociando i suoi occhi opachi.
« Sarebbe disposto a rivivere quel trauma? »
A queste parole qualcosa scattò in lui, si alzò in piedi, le mani strette a pugno, le labbra contratte.
« Chi diavolo è lei per farmi questo terrorismo psicologico? » sibilò, parlando con un tono di voce che non riconosceva a se stesso.
« Io non sono nessuno, signore, se non un umile medico, anzi l’unico di questa città. Si risieda, mi faccia la cortesia. » qualcosa negli occhi dell’uomo era cambiato, ma Sé ebbe la chiara impressione di non essergli piaciuto fin dal primo momento in cui aveva messo piede nel suo studio.
Cercando di calmarsi, si risedette.
« Ora » riprese il dottore con tono cordiale « È evidente che ci siamo fraintesi: il mio lavoro, che è anche la mia missione, è quella di aiutare i miei pazienti. Lei è un mio paziente, e si trova in una situazione delicata, ed è mia intenzione aiutarla come posso. »
Detto questo, riaprì la sua cartelletta blu che, Sé non ricordava quando, aveva nuovamente chiuso e riappoggiato sulla scrivania.
« Il mio era solo un tentativo di essere chiaro con lei, di fargli ben capire la sua situazione, che non va presa alla leggera. »
Sarà stato anche come MacFergusson diceva, ma una cosa era chiara a Sé: quell’uomo non gli piaceva, e non avrebbe più detto una sola parola fino al suo congedo.
« Il nostro prossimo passo » continuò intanto quello, imperterrito « è la visita specialistica con TAC annessa, non si preoccupi di questo, ci penserò io. Quello che voglio che lei faccia » disse scrivendo qualcosa in quella sua cartelletta blu « è che cerchi in ogni modo di ricordare qualcosa. »
Sé sbuffò. “Fosse facile!”
« Non faccia quella faccia. Vede, nonostante l’amnesia, il suo corpo continua a ricordare, ha le stesse competenze che aveva prima di perdere la memoria, e il suo cervello non è stato danneggiato nella capacità di ragionamento. Quindi, tutto quello che deve fare è scoprire quali siano queste sue competenze, questo l’aiuterà a ricordare. Oh, e poi ovviamente deve tenere un diario. »
« Un diario? » balbettò Sé, infrangendo la sua promessa di non aprir più bocca.
« Esattamente. » rispose in tono serafico, rivolgendogli un sorriso.
« E un diario dovrebbe aiutarmi a ricordare, dice lei. » sbottò, per nulla convinto.
« Sì e no. »
Sé alzò gli occhi al cielo.
« È la terza volta che dice questo suo “sì e no”. Non risponde chiaramente alle mie domande, e cerca di farmi terrorismo psicologico. Mi sto irritando. »
Il medico ripresentò quel suo placido sorrisetto, facendo solo salire di più i nervi all’uomo che aveva di fronte.
« Scrivere ciò che fa durante la giornata, le cose che nota, può aiutarla a non perdere pezzi importanti, dettagli che magari le faranno tornare alla mente qualcosa della sua vita passata, e che magari perderebbe, non appuntandoseli. Inoltre, tenendo un diario saremo sicuri di escludere l’amnesia anterograda, che potrebbe sempre presentarsi, visto che non siamo sicuri di cosa abbia scatenato quella retrograda. »
Sé si alzò in piedi, effettivamente aveva senso.
« Molto bene. » affermò, velenoso e sconfitto « Vorrà dire che terrò un diario, come una stupida liceale piena di ormoni in subbuglio. »
MacFergusson gli porse un foglio, che Sé afferrò bruscamente, dando poi le spalle al medico.
« La saluto. » disse sulla soglia.
Uscito, si fermò un attimo a raccogliere i pensieri, sospirando.
Quell’uomo l’aveva irritato oltre ogni limite, non c’era che dire.
Si guardò intorno, cercando Leah, che l’aveva accompagnato, nella saletta d’attesa. La individuò proprio nel momento in cui la ragazza alzava lo sguardo su di lui.
Si guardarono, e all’improvviso Sé si sentì decisamente meglio.
Leah gli venne incontro.
« Allora, come è andata? » chiese.
Sé tirò su lievemente le spalle. Non era sicuro di volerglielo raccontare. Per fortuna che le aveva chiesto di restare ad aspettarlo fuori.
« E quello cos’è? » chiese intanto curiosa la ragazza, alludendo al foglio stropicciato che Sé teneva ancora in mano.
Con stupore l’uomo si accorse di averlo quasi ridotto a brandelli.
« Nulla » disse semplicemente, ficcandoselo in tasca « Piuttosto… ce ne andiamo? Odio questo posto, odora di anestetico. »
Leah ridacchiò.
« E tu non vorresti essere anestetizzato per nessun motivo, vero? »
Sé aveva stirato le labbra.
Da quel momento, si erano impegnati a cercare di capire quali fossero le sue capacità, ricerca che Leah aveva preso come un gioco, che aveva per finalità scoprire quale fosse stato il suo lavoro.
Mentre arrancavano sulla stradina sterrata, con le braccia piene di legna, Leah continuò.
« Ma sì, dai, perché no?! Dopotutto ti ci vedo come attore. Saresti perfetto nella parte del bel tenebroso, sempre pronto a circuire tenere fanciulle con le tue menzogne. O forse potresti fare qualche film di spie! Saresti capace di essere il fedele servo di un qualche cattivo, che però lo tradisce e combatte per i buoni? »
Sé ci pensò su.
« Non lo so, mi sembra tanto un clichè. Non credo esistano davvero persone del genere. »
« Ma va, si tratterebbe di un film, no? E sarebbe davvero emozionante! » finì Leah con aria sognante.
« Sì, come no! » replicò ridacchiando « Soprattutto se alla fine la spia viene scoperta e uccisa! »
« Sarebbe una fine da eroe! » esclamò lei, con sguardo serio.
« A me pare più una fine da fesso. » la prese in giro.
« Ah, voi uomini! » alzò gli occhi al cielo « Non capite proprio nulla. »
Oramai erano in vista della locanda.
« Facciamo a chi arriva prima! » urlò lei con espressione beffarda, mettendosi subito a correre.
« Ehi, così non vale! » le urlò di rimando, partendo però ugualmente all’inseguimento.
Nonostante entrambi fossero pieni di rametti, corsero molto veloci, fin quando Leah, davanti alla locanda, alla fine della discesa, non si arrestò di colpo.
« Ho vinto! » dichiarò.
Sé era subito dietro di lei, e non fece in tempo a fermare la sua pazza corsa… finendole addosso.
Entrambi rotolarono sul prato verde, ridendo e ansimando insieme, i pezzi di legno dimenticati intorno a loro.
Ad un certo punto Leah si fermò e lo fissò negli occhi.
« Sai » disse « Questa è la prima volta che ti sento ridere davvero. È strano… »
A Sé si asciugò tutta la saliva in bocca. I loro visi erano a un palmo l’uno dall’altro, e loro non si trovavano così vicini da quella sera in cui avevano guardato le stelle.
« Io… » cominciò a dire.
Ma non ebbe modo di finire la frase, perché la porta della locanda si spalancò di botto.
Stagliato sulla porta, in contro luce, apparve la figura di Killian.
« Oh, eccovi finalmente. Cominciavamo a chiederci dove… » anche la frase del giovane rimase sospesa nell’aria, quando vide in che posizione fossero Leah e Sé.
La ragazza si alzò di scatto, rossa in viso, avvicinandosi all’entrata della locanda.
Killian si fece da parte, in silenzio, lasciandola passare. Così non fu per Sé.
L’uomo si scrollò gli abiti, alzandosi, e, dopo aver raccolto la legna, si diresse verso la porta.
Killian gli bloccò il passaggio, appoggiando una mano sull’infisso. Sé lo guardò interrogativo, ma l’altro si limitò a squadrarlo, con la fronte aggrottata e i denti serrati.
« Scusa » disse Sé dopo pochi minuti, stufo di quella situazione « Ma dovrei proprio passare. »
« Lei è mia. » sussurrò Killian, talmente a bassa voce che Sé credette di non aver capito bene.
« Prego? » chiese, confuso.
« Hai perfettamente afferrato il concetto. » rispose l’altro, alzando di poco il tono di voce « Leah è mia, e tu, chiunque tu sia, chiunque tu gli faccia credere di essere, non ti devi azzardare a portarmela via. »
Sé rimase basito, incapace di rispondere a tanta assurdità.
« Credo che tu abbia frainteso. » rispose alla fine con calma.
« Non fare il finto tonto con me. Sai benissimo di cosa parlo! Tutto il tuo fare il povero smemorato bisognoso di aiuto… Potrai prendere in giro mia madre, mio padre e anche Leah, ma mettitelo bene in testa: con me non funziona! »
« Sé? » chiese una voce da dentro la locanda.
Entrambi gli uomini si voltarono verso l’interno, l’uno voltando la testa, l’altro protendendosi oltre il carico di legna e il braccio dell’altro.
« Sé, hai raccolto la legna? » chiese Moira, poi vide la posa dei due sulla porta « Che state facendo lì? »
« Niente, Ma’. Un semplice scambio di opinioni. » rispose prontamente Killian.
La donna li studiò per un minuto, storcendo il naso.
« Va bene, allora. Sbrigatevi, però. Ho bisogno che Sé venga ad aiutarmi con la cena, per favore. » disse, poi diede loro le spalle e si diresse verso la cucina.
Sé fece per fare un passo, ma l’altro lo fermò, mettendogli una mano sul petto.
Sé passò lo sguardo dalla mano sul suo petto al viso dell’uomo.
« Dovrei andare. » disse a denti stretti, cercando tuttavia di usare tutta la cortesia possibile per la situazione in cui si trovavano.
Killian lo guardò per un lungo momento, poi abbassò la mano.
« Ma non finisce qui. » sussurrò in modo che solo lui potesse sentirlo, mentre Sé se ne andava.
Arrivò vicino al camino e vi depositò accanto la legna.
“Robe da matti.” pensò fra sé e sé, “Ci mancavano solo le minacce…”
« Allora, Sé, vieni o no? » arrivò la voce autoritaria dalla cucina.
« Sì, Ma’Moira, arrivo subito! »
Sé si girò ancora un attimo verso la sala, cercando Killian, che ora stava amabilmente conversando con un avventore. Scosse la testa e si diresse verso la cucina.
« Oh, eccoti finalmente! » disse Ma’Moira, mentre Sé si sistemava il grembiule, storcendo tuttavia il naso.
« Come posso aiutarti? » chiese gentilmente l’uomo.
« Il solito direi! » gli rispose con un gran sorriso sul volto « La zuppa è già sul fuoco. »
Sospirò. Il giorno in cui Leah era tornata, lasciandolo un attimo da solo in cucina, Sé aveva, senza volerlo realmente, aggiunto una spezia alla brodaglia che cuoceva in quel momento in una pentola. Inutile dire che gli ospiti della locanda avevano ben apprezzato il cambiamento. Leah aveva visto il gesto di Sé, e quanto Ma’Moira si era chiesta come la sua zuppa avesse potuto così misteriosamente migliorare, non aveva avuto un attimo di esitazione nello svelare l’arcano.
Così, adesso, Ma’Moira gli chiedeva ogni sera di ripetere quella magia.
Proprio mentre si accingeva verso la zuppa, gli si avvicinò Leah, cambiata con le vesti da cameriera e con le mani piene di più vassoi di quanto sembrasse poterne sollevare.
« Sarebbe ora che tu chiedessi a Ma’Moira di darti un po’ più di spazio. » gli sussurrò nell’orecchio « Dopotutto si vede che te la cavi fra i pentoloni… magari eri proprio un cuoco. »
Sé non fece in tempo a ribattere, che la donna era già sparita dietro la porta a battente che collegava la cucina con la sala.
Sé sbuffò, mentre aggiungeva la solita erba scura che oramai aggiungeva all’intruglio tutte le sere. Poi però, inevitabilmente, si fermò a riflettere.
Era indubbio che in cucina riuscisse discretamente a destreggiarsi. In un paio di momenti liberi, aveva anche provato a pasticciare un po’ fra pentolame e ingredienti… e doveva ammettere che gli era piaciuto.
Pur controvoglia, aveva preso l’abitudine di annotare pensieri, parole e fatti in un piccolo quaderno che fungeva da diario, proprio come gli aveva consigliato il dottor MacFergusson. La sola idea di star portando avanti qualcosa che quell’omuncolo gli aveva chiesto di fare, lo disgustava, ma doveva ammettere che stava aiutando.
Non che dimenticasse qualcuno degli avvenimenti o dei suoi pensieri, ma, semplicemente gli piaceva scrivere e annotare cose.
La prima entusiasmante scoperta che aveva fatto con quel diario era stata la sua scrittura: una grafia minuscola, e un po’ rattrappita, storta, come se fosse abituato a scrivere in spazi piccoli e angusti, ma al tempo stesso elegante, con le lettere ben equilibrate e decorate con studiati ghirigori, senza però esagerare.
Gli piaceva.
Gli sembrava di intravedere, attraverso quelle lettere scritte di suo pugno, una personalità che pensava di aver perso per sempre. Era la prova che esisteva, da qualche parte.
A parte ciò, sembrava che il diario funzionasse esattamente per la funzione che il medico aveva previsto: sottolineare quei dettagli che magari a lui sarebbero sfuggiti.
Come per la cucina. Non sapeva perché, ma stare a guardare quel fuoco scoppiettare sotto una pentola piena di ingredienti da lui mescolati, lo affascinava. E poi sembrava avere un ottimo olfatto, nonché un gusto raffinato per le componenti delle pietanze.
Magari aveva ragione Leah, e nella sua vita passata era proprio il cuoco il suo mestiere. Aveva senso. Come tutte le cose che uscivano dalla bocca della giovane donna, d’altronde.
Ovviamente Sé non gli aveva detto di star tenendo un diario, ma chissà come sembrava che la ragazza notasse ciò che caratterizzava l’uomo senza alcun ausilio di quello strumento.
Sé scosse la testa, ridestandosi dai suoi pensieri per tornare a focalizzare la sua attenzione sulla zuppa che bolliva placida nella pentola.
Poi prese una decisione.
« Perché no? » disse, con un’alzata di spalle, ad alta voce, ma parlando a se stesso.
Ma’Moira gli fu subito vicino.
« Hai detto qualcosa, caro? »
Ma Sé stava già armeggiando con vari barattolini e bottigliette, aggiungendo spezie, olio e altri condimenti vari.
« Spero che non ti dispiaccia. » disse quando ebbe finito « Ho fatto qualche miglioramento alla zuppa. »
Annusò il nuovo contenuto della pentola e annuì soddisfatto. Ma’Moira sorrise. Leah si frappose fra loro.
« Allora posso servirla? » chiese, afferrando il pentolone con delle presine di panno.
Con un gesto veloce e sistematico, appoggiò la pentola al tavolo della cucina, per poi prelevarne un grande mestolo e riempirci un piatto, per poi dirigersi con quello verso la sala.
« Aspetta! » riuscì appena a dire Sé. Troppo tardi, la giovane era già sparita oltre la porta a battente.
Sé si morsicò lievemente il labbro: e se non fosse piaciuta?
Ma’Moira dovette capire la sua preoccupazione.
« Sono sicura che sarà un successone. E se non lo è, pazienza. Dopotutto è la tua prima creazione, non preoccuparti. »
Guardò l’uomo, che però non sembrava molto convinto dalle sue parole.
« Dai, andiamo a sbirciare, ti va? »
Sé ebbe solo il tempo di annuire, che Ma’Moira l’aveva già trascinato a guardare dall’oblò di vetro della porta che dava sulla sala.
Sulla destra, il fuoco che Neil aveva acceso con la legna che Sé e Leah avevano raccolto nel pomeriggio, scoppiettava allegramente riscaldando l’ambiente.
Sé ci mise due secondi per individuare Leah, proprio quando la ragazza stava servendo il piatto di zuppa a un cliente.
Era un uomo grassoccio con le guancie piene e rosee, la testa quasi pelata e due baffoni rossi a incorniciargli le labbra. Al collo portava un fazzoletto arancione annodato alla bell’è meglio. Sé notò che nonostante la mole, sembrava avere muscoli piuttosto sviluppati nelle braccia. Se non gli fosse piaciuta la pietanza, non ci avrebbe messo due secondi a stritolarlo, esile come lui era. Deglutì a vuoto, dandosi dell’idiota per quel suo stupido timore.
Eppure c’era qualcosa… qualcosa di strano nel vedere l’uomo riempirsi il cucchiaio della zuppa e portarselo alle labbra, qualcosa di strano nell’attendere che funzionasse… anche se Sé non avrebbe saputo dire cosa dovesse funzionare, visto che si trattava di semplice cibo. Si ingurgita, si digerisce e fa sentire sfamati. A questo serve il cibo. Mah.
Avrebbe dovuto appuntarsi questa sensazione nel suo diario, più tardi, magari si trattava di qualche misteriosa reminescenza.
Nel frattempo l’uomo aveva ingerito il cucchiaio di zuppa e ora aveva una strana espressione negli occhi.
Diventò tutto rosso, incredibilmente ancor più di quello che già era. Iniziò a sudare visibilmente, a diventare sempre più scarlatto, fino a dare l’impressione di dover esplodere da un momento all’altro.
« Oh mio Dio! » esclamò sottovoce, quasi in uno squittio Ma’Moira, accanto a lui, coprendosi la bocca con le dita.
Sé rimase in silenzio e tutta la sala da pranzo, improvvisamente, con lui; gli occhi di tutti erano fissi sull’uomo. Leah era la più preoccupata, trovandosi a mezzo metro da quello che sembrava un vulcano in ebollizione.
Poi l’uomo aprì la bocca, emettendo uno strano suono, come uno sfiato d’aria, e cominciò a tornare del suo colore.
Nessuno aveva ancora il coraggio di fiatare.
« Cosa diavolo c’è in questa zuppa? » chiese in un soffio, la testa bassa.
Nessuno rispose.
« Non è la solita zuppa, lo riconosco. Cos’è cambiato nella ricetta? »
« Ehm… » rispose Leah senza sapere come trarsi d’impiccio « È forte? » provò a immaginare, vista la reazione dell’uomo « Non le piace? »
L’uomo alzò finalmente lo sguardo su di lei.
« Se non mi piace? » chiese, quasi sgomento « Mi sta chiedendo se non mi piace? »
Fece una pausa.
« Sì che mi piace! È buonissima! » esclamò con un gran sorriso.
A quel punto brandì nuovamente il cucchiaio, come se fosse una spada, e s’immerse nella zuppa, divorandola, e continuando a diventare sempre più rosso, man mano che il piatto si svuotava. Non sembrava importargliene. A quanto pare gli piaceva davvero.
Solo in quel momento, Sé si concesse di respirare.
Neil gli mollò una pacca sulla spalla, facendolo trasalire. Quando diavolo era arrivato lì?
« Ben fatto. » gli disse invece Ma’Moira annuendo, per poi tornare ai suoi fornelli.
Nel frattempo nella sala stava accadendo il finimondo: tutti stavano ordinando un piatto della nuova zuppa, alzandosi sulle sedie, urlando.
Leah si chiuse velocemente la porta della cucina alle sue spalle, ansimando.
« Non so cosa tu abbia fatto a quella zuppa, ma ne vogliono tutti un piatto. Sembrano impazziti. » disse scuotendo la testa.
Si diresse subito verso il pentolone che lei stessa aveva posato sul tavolo, cominciando a riempire altri piatti.
Poi gemette.
« Che c’è? » le chiese Neil.
« Non basterà mai per tutti. Persino il signor Walsh vuole il bis. »
Sé immaginò che quello fosse il nome dell’omone rubicondo.
Neil si avvicinò a lei, riempiendo anche lui dei piatti di zuppa.
« Bè, Walsh è un uomo in vista in città, evidentemente nessuno vuol perdersi l’occasione di assaggiare qualcosa che è di suo gusto in modo così eclatante. Intanto ti aiuto con questi piatti, Leah. » poi rivolse l’attenzione alla moglie « Voi nel frattempo vedete di prepararne quanta più potete. »
Neil e Leah andarono a servire la zuppa, e Ma’Moira si rivolse a Sé.
« Sembra che stasera tu abbia più lavoro del solito, ragazzo. » disse, toccandogli il braccio « Credo sia meglio che tu ti metta subito al lavoro. »
« Ma non sono sicuro di riuscire a riprodurre esattamente la stessa ricetta! » rispose esasperato.
« Oh, sono sicura che ce la farai. » disse accondiscendente, riprendendo poi le sue faccende.
Sé si tirò su le maniche.
Qualche ora più tardi e molti pentoloni dopo si abbandonò su una sedia, sfinito.
Il signor Walsh era andato avanti ad ordinare zuppa per tutta la serata, e così tutti gli altri clienti della locanda.
« Non è che ci hai messo dentro della droga? » gli chiese scherzando Leah, entrando in cucina.
« Ah-ah, molto divertente. » disse, sebbene la frase gli uscì con meno sarcasmo di quanto avesse voluto. Si passò una mano sulla faccia.
« Guarda che c’è zuppa solo più per un’altra porzione. » l’avvertì, vedendola prendere il mestolo e rimestare nel pentolone.
« Lo so, ma è anche l’unica cosa che ci è rimasta da mangiare, e l’ha ordinata un tipo che è appena entrato. »
« Oh bè, almeno non l’ha chiesta a causa del signor Walsh. » ironizzò, meglio di prima.
Leah ridacchiò.
« Non ti lamentare, è piaciuta a tutti. » disse uscendo.
Sé sbuffò, in quel momento entrò Killian, al settimo cielo.
« Non abbiamo mai fatto così tanti soldi in una serata sola, papà! » esclamò, rivolgendosi a Neil « Tutti volevano altri piatti di zuppa, e siccome ha un sapore forte e piccante hanno innaffiato il tutto con un sacco di birra. »
« Allora i complimenti vanno a te, Sé. » disse guardandolo con un sorriso « Mmm… potremmo usare questa nuova zuppa per lanciare la nuova versione della locanda, con le camere e tutto il resto. »
« È una buona idea. » annuì Ma’Moira « La cosa che però mi preoccupa è che con tutta la birra che hanno bevuto saranno in tanti ad essere ubriachi. »
« Meglio! Così non saranno in grado di tornare a casa sulle proprie gambe e potrebbero fermarsi qui nelle stanze… »
Ma le parole di Killian furono sovrastate da un rumore di piatti infranti e da quello di qualcuno che tossiva, seguito dalle urla di un uomo.
Ma’Moira e Neil si guardarono, e poi tutti corsero verso la sala.
Un uomo, rosso in viso, ansimava e sputacchiava davanti ad un’atterrita Leah. A terra, i resti del piatto e della zuppa. Il gelo era calato tra la clientela.
Aveva dei folti capelli castani e degli occhietti neri, piccoli e insipidi. Portava una casacca verde scuro sopra ad una camicia logora, che doveva aver visto tempi migliori, e dei pantaloni grigiastri.
« Che diavolo di zuppa è mai questa?! » urlò.
Poi imprecò, si tolse il tovagliolo che aveva appuntato al colletto della camicia e si alzò in piedi.
« È uno schifo, chi è la cuoca? »
Sé si fece avanti. Non aveva paura di quell’uomo.
« Sono stato io a preparare quella zuppa. » disse lentamente.
L’uomo lo scrutò con quei suoi occhietti vuoti. Poi sputò per terra, proprio ai piedi di Leah, che trasalì per il gesto.
« Spero che ti licenzino, ragazzino. » disse dando un’ultima occhiata a Sé.
Poi uscì dal locale, in fretta.
Ci furono ancora un paio di minuti di silenzio, poi il signor Walsh si alzò, e Sé si ritrovò il suo viso rubicondo ad un passo dal viso.
« E così sei tu ad aver preparato questa zuppa? » gli chiese. Il suo alito sapeva di birra.
Sé annuì.
« Sì, signore. »
« Bravo, bravo ragazzo. » disse, stringendogli la mano in un gran sorriso.
Poi iniziò ad applaudire, e tutta la sala con lui. Sé ebbe un moto di orgoglio, che non pensava di poter provare.
Dietro le sue spalle, solo Killian non applaudiva.
Un paio di ore dopo, Sé stava portando fuori la spazzatura in un grande sacco nero.
C’era voluto del tempo prima che riuscissero a convincere tutti i clienti a tornare a casa, dato che i più erano ubriachi fradici. E poi avevano dovuto pulire tutto. Era stata una lunga serata, e Sé non vedeva l’ora di andarsene a dormire.
Il cielo era oscurato dalle nuvole, quella sera, così che non si riusciva a vedere nulla nel buio della notte.
Così quando Sé si trovò davanti ai piedi qualcosa di duro e inaspettato, inciampò e cadde.
« Ma che diavolo…? »
Il sacco nero rotolò lontano e Sé cercò di rimettersi in piedi, appoggiandosi a quello stesso intralcio su cui era incespicato.
Cominciò a tastare l’oggetto, non potendo usare la vista per capire cosa fosse.
Era duro e freddo, e sembrava ricoperto di stoffa.
Proprio quando stava per toccare qualcosa di famigliare, qualcuno uscì dalla porta sul retro.
« Ehi, Sé, ti sei perso? » ridacchiò Killian tenendo alta una lanterna.
Si fermò di botto.
Perché quello che vide fu Sé, accucciato per terra, con una mano a coprirsi gli occhi dalla luce improvvisa e l’altra sopra il viso di un uomo morto.
Un uomo che portava una casacca verde e dei pantaloni grigi, e aveva capelli castani, macchiati di sangue.
Sé guardo alternativamente il volto dell’uomo, su cui era dipinta un’espressione di assoluto terrore, e le sue mani, che erano sporche di sangue.
« L’hai ucciso. » esalò Killian, senza fiato.








_____________________________________________________________________
Note: (1) “Sanguesporco” = traduzione letterale dell’inglese “Mudblood”, che differisce da “Mezzosangue”, ovvero “Halfblood”. E' una non tanto sottile differenza che a quanto pare la Salani non ha ritenuto necessaria. <_<











p.s. nel frattempo mi sto anche rimettendo in pari con tutte le altre fic che partecipano alla sfida!
Ah, e un caloroso benvenuto a Chiara! =)


Edited by Ida59 - 24/7/2015, 22:04
 
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view post Posted on 17/4/2012, 21:43
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Ma che bellisima trama! Ho letto tutto d'un fiato questo capitolo che trasforma la storia in un vero giallo.
Mi piace molto il cambio di punto di vista che usi tra Harry e Severus.
Emozionante e commovente lo scambio di idee piuttosto violento con Draco. Sono d'accordo con te: entrambi hanno sofferto ed hanno perduto piu' persone di quanto sia tollerabile; per entrambi Piton è una figura importante che ha segnato la vita di ambedue.
Significativa la frase di Draco buona per Harry e per molti altri; primo tra tutti Severus:
Tutti abbiamo fatto scelte difficili, e tutti abbiamo le nostre colpe.
Sia la prima che la seconda parte nascondono un mistero, spero tu abbia tempo per continuare e che la tua fantasia non vada sprecata...
Non dovrei dirtelo io che sono qui da sei mesi, ma ho notato un miglioramento nella tua prosa...Ida può esserti più utile, il suo apprezzamento varrà senza dubbio di più.
Grazie per aver aggiornato.
 
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Swindle
view post Posted on 20/4/2012, 09:15




Chiara! Grazie mille per il tuo commento, sono contenta che ti piaccia questa svolta "gialla" nella trama, e mi fa piacere anche che tu abbia apprezzato la discussione con Draco. Non è un personaggio che mi piace tantissimo a dir la verità, ma penso che, soprattutto in questa situazione avesse molto da "dire"...
Mi impegnerò per trovare il tempo di continuarla in tempi più umani, prometto =)
Ma davvero noti un miglioramento? In che senso? Cioè, rispetto a cosa/quando?
Grazie ancora, Rika ^.^

@Ida: ho visto che hai aggiornato lo stato della mia ff nel primo post (grazie!), però pensavo: siccome ho postato prologo+2 capitoli, non sarebbe meglio scrivere che la storia é al terzo capitolo?


Edited by Swindle - 20/4/2012, 10:35
 
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view post Posted on 20/4/2012, 09:51
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Dalla settimana prossima comincia la parte del tutto nuova che Ida mi ha suggerito di scrivere. Non posso che dirle grazie per avermi istigato a continuare il racconto. (Ida, puoi aggiornare i capitoli e confermarmi che sto inserendo bene i link per favore?)

DUE

I ragazzi, se ne sono andati. Non li voglio intorno, mi ricordano chi ero… Chi sono adesso, ancora non lo so, e non ho voglia di saperlo.
Il fianco non mi fa più così male, ma la mente snebbiata e lucida è un tormento che non voglio sopportare a lungo: dovrò uscire per rifornirmi di oblio.
Il caffè di Hermione è caldo e buono, non ne ricordavo il sapore amaro e l’aroma gradevole, se chiudo gli occhi vedo la Sala Grande all’ora di colazione, Albus che imburra il pane e chiacchiera: non me lo posso permettere, è insostenibile, dopo aver provato il bene o qualcosa che gli somiglia, sopportarne la perdita; non ho più spalle abbastanza grandi.
Ho deciso che il mio letto sarà il vecchio divano sfondato. Non sopporto di dormire in un letto vero è come se risvegliasse i miei incubi peggiori, mentre la precarietà del divano mi offre un po’ di sollievo di tanto in tanto.
Stanotte sono particolarmente insonne, sento rumori e mormorii; animo il buio di ombre ancora più scure, poi sento dei passi: qualcuno è entrato e bisbiglia.
Estraggo la bacchetta con un riflesso condizionato e la punto verso la fonte dello scalpiccio:
- Lumos. – Pronuncio.
Due paia di occhi spaventati mi guardano; appartengono ad una donna giovane e ad un bambino che avrà sette o otto anni: sono terrorizzati.
Accendo la luce Babbana che ho sempre conservato in questa casa, retaggio di mio padre.
La donna è giovane, piccola di statura, minuta, ha i capelli castani spettinati e sporchi e pare messa male.
Mi guarda e sembra riconoscermi:
- Signor Piton, non si ricorda? Sono la figlia piccola dei vicini, mia madre era amica della sua. Sono Teresa…- Aggiunge, ma non mi sovviene né chi fosse la vicina né tanto meno chi sia lei.
- Cosa ci fai qui, vattene a casa tua, allora! - le dico con rabbia, anch’io ho avuto un attimo di sconcerto sentendoli entrare.
- Non ce l’ho una casa, i miei sono morti e da quando ho perso il lavoro io e mio figlio veniamo a dormire qui. Era da tanto che lei non si faceva vedere. Non faccio niente di male; ci ripariamo, fuori è freddo, piove e Nicholas ha paura.
Mi guarda con gli occhi sbarrati, con apprensione.
Non le rispondo e torno sul divano: che restino pure se si accontentano del pavimento, di spazio ce n’è in abbondanza.
Faccio cenno alla ragazza di chiudere la porta: devo ricordarmi di mettere qualche incantesimo anti-Babbano, quando sono sobrio.
- Possiamo restare? - Chiede piena di speranza, mentre mi guarda fissamente, impaurita.
Teme un rifiuto: non rispondo e lo prende per un sì.
Dal fagotto che tiene in mano tira fuori una coperta che ha visto giorni migliori, la stende sul pavimento e l’arrotola intorno a sé ed al bambino: si addormentano abbracciati.
Cerco di dormire anch’io.
Mi sveglio e c’è odore di caffè e pane tostato.
Quella donna ha preparato una frugale colazione con il poco che ha trovato:
- Signor Piton vuole una tazza di caffè? – mi chiede imbarazzata, e me la porge senza una parola. Comincio a berla. Strofina le mani tra loro e, senza che io le chieda spiegazioni, me le offre:
- Ho usato poco di quello che c’era, ma il bambino aveva fame, ho pensato che non avrei fatto male a nessuno se preparavo un caffè anche per lei.- Abbassa gli occhi vivaci, ma segnati dalla stanchezza: l’ascolto, non so cosa dire.
- Siamo venuti a dormire qui solo quando era molto freddo o se pioveva; dopo che sono venuti quegli uomini strani che hanno scardinato la porta.
Mi guarda titubante e precisa:
- Non sono stata io a fare questo disastro e il disordine…
- Ma neanche hai cercato di sistemarlo! - Soggiungo sarcastico.
Il caffè è buono, forse per questo non l’ho ancora buttata fuori insieme con il figlio.
Il bambino è seduto a tavola e mangia, mentre mi guarda senza una parola. Ha molta fame.
- Devo uscire. – Dico – quando torno non voglio ritrovarvi qui.
Annuisce.
Quando torno se ne sono andati, ma la cucina è leggermente più pulita e il pavimento intorno al divano è lavato.
In un angolo ha ammucchiato ordinatamente le pagine strappate e le costolature dei libri distrutti.
Appoggio sul tavolo la bottiglia di whiskey insieme con pane, uova, latte e burro: non si sa mai mi venisse fame…
A notte fonda sento bussare piano, è lei.
Senza alzarmi, con un gesto della bacchetta apro la porta: mi chiedo come mai non si stupisca di nessuna stranezza.
Non dice una parola e stende la coperta, poi l’arrotola intorno al bambino e lo abbraccia stretto.
Li guardo dormire e invidio tanta serena fiducia in uno sconosciuto che li ospita sul pavimento di una casa devastata.
Nel silenzio e nel buio mi accorgo di piangere lacrime silenziose e calde, non so bene il perché: forse è il respiro calmo della donna. Penso a mia madre, quando mi abbracciava e mi teneva stretto. Poche volte in realtà. Ma è una sensazione che dura pochi attimi e un ricordo troppo sbiadito per consolare.
Il bambino, ora, non smette di tossire e ansima, la madre non riesce a calmarlo, così mi alzo e accendo la luce.
- Fammi visitare il bambino. – Le ordino, ma lei ha paura, e lo stringe più forte a sé.
Cerco di usare un tono meno imperioso, ma sono impaziente.
- Voglio solo vedere cos’ha, non mi fa dormire con quella tosse. – le dico con il tono più pacato che riesco a tirare fuori.
Finalmente acconsente: il bambino scotta per la febbre e respira male.
- Portalo nella camera di sopra. – Ingiungo - In fretta!
Li precedo e li faccio entrare nella stanza che aveva pulito Hermione per me.
- Metti il bambino nel letto, e resta con lui.
Mi guarda con gli occhi impauriti e pieni di lacrime; non sopporto uno sguardo così e me ne vado di sotto a cercare qualcosa di utile.
Dove diavolo sarà finita la mia scorta segreta di pozioni multiuso? Poi ricordo una nicchia nell’armadio in fondo alle scale nascoste da una libreria.
Scendo veloce con la bacchetta accesa, la testa snebbiata, l’adrenalina in circolo: le provette sono intatte e le pozioni integre, ne prendo tre e torno di sopra
Sotto gli occhi stupefatti e terrorizzati della madre, sollevo la testa del bambino e gli faccio inghiottire le prime due pozioni.
Poi cerco di tranquillizzare Teresa e con una gentilezza che non ricordavo di avere, le dico che tornerò tra un’ora, di controllare suo figlio e chiamarmi se peggiora.
Mi sono rammollito, una donna, un bambino malato e mi comporto come Chips.
Mentre chiudo la porta e scendo sento che dice:
- Grazie! L’ha mandata il Cielo.
Faccio finta di non aver sentito perché forse l’inferno è quello che più probabilmente mi ha risputato.


*********************************






(Teresa)


Che uomo strano, a volte mi fa paura. Lo ricordo fin da bambina quando tornava a casa per le vacanze dal collegio in Scozia, sempre vestito di nero, con lunghi capelli e uno sguardo cupo .
Credevo volesse buttarci fuori, invece la prima notte ci ha lasciato dormire e adesso si è preso cura del mio Nicholas.
Stamattina il bambino sta meglio, non tossisce quasi più e ha ripreso colore.
Non mi ha detto nulla, ma come per un tacito accordo, io e Nicholas siamo rimasti nella camera di sopra.
Mi guardo intorno e mi pare che questa casa abbia bisogno di una ripulita, se il signor Piton me lo permette ho deciso di farlo, anche per ringraziarlo dell’aiuto.
Quando mi ha visto con secchio e stracci non ha detto niente, non sembrava infastidito, ma è uscito subito.
Ho pensato di lavare le finestre per fare entrare più luce e le tende.
Ho visto in un angolo dei vestiti sporchi, laverò anche quelli, non mi sembra vero di poter tornare a fare queste cose.
La casa è malmessa, ma ci vorrebbe solo qualche lavoretto e tornerebbe come quando c’era ancora la signora Eileen.
Quando torna mette sul tavolo della cucina latte, frutta, carne, verdure e cioccolato.
Non mi ricordo più da quanto tempo non vedo tanto ben di Dio, mi vengono le lacrime agli occhi:
- Grazie! - Gli dico.
- Non è per te, è per il bambino: dagli frutta e carne; ne ha bisogno se deve rimettersi, così potrete andarvene.
- C’è anche della cioccolata. – osservo. – Tuo figlio ha bisogno di zuccheri, dagliene con moderazione.
Sembra seccato come se avessi detto qualcosa di sbagliato o lo avessi colto in fallo.
Non aspetta la mia risposta, si mette a raccogliere e sistemare i fogli e i libri che qualcuno ha strappato. Sarà un lavoro lungo a giudicare dalla carta che vedo sparsa in giro.
Ci si dedica con pignoleria e precisione, ma chissà perché non l’ha fatto prima?





********************************************************








Sono passati quasi due mesi ed è inverno, tuttavia devo decidermi a mandarli via, meglio che stia solo, inoltre non ho più potuto ubriacarmi in pace da quando sono qui quei due.
Il marmocchio non fa che chiedere tutti i perché del mondo. Io non gli rispondo, quando posso… ma spesso insiste.
E’ un ragazzino tranquillo, inoltre non è una testa di pietra totale, ascolta le mie spiegazioni e legge anche i libri per bambini che ha trovato, non so come, tra i miei, sono quelli che ho conservato perché me li aveva comperati mia madre.
Li legge con interesse.
Guardo dalla finestra quella pazza che si è messa a strappare erbacce in giardino, dice che si ricorda com’era quando ci veniva da bambina; io dovevo essere ad Hogwarts, per questo non mi ricordo di lei né di sua madre.
Ma Teresa, si ricorda bene di Eileen e del suo bel giardino, curato e con le erbe profumate.
Mia madre le coltivava per farne decotti e tisane da vendere: anche lei strappava le erbacce.
Ad un tratto vedo Teresa lanciare un grido ed esco, pensando sempre al peggio, come mia abitudine.
Invece sorride con gli occhi scintillanti: in un angolo ha trovato una pianta di lavanda interrata da mia madre e raddoppia gli sforzi per liberarla completamente dalle infestanti.
Non ci posso credere; fisso la pianta profumata, sopravvissuta a tutte le ingiurie degli uomini e della natura, pianta rude, testarda, che si accontenta di poco, ma profumata e benefica: somiglia alla sua scopritrice che mi guarda infreddolita, con aria soddisfatta.
Nicholas esce incuriosito, mi prende la mano per ottenere la mia attenzione; mi allunga un pezzo di carta:
- E’ per lei. – Mi dice serio
E’ un disegno, sono io, vestito di nero, con i capelli lunghi, un grosso naso, un libro in mano e un sorriso sulle labbra. Ma quando mai questo moccioso mi ha visto sorridere?
Sotto ha scritto “Grazie signor Piton”.
- Mi chiamo Severus, puoi chiamarmi Severus, se vuoi.- Gli dico, e mi accorgo di sorridere.
Davvero.
Sento le lacrime che pizzicano agli angoli degli occhi, forse è come per la pianta sopravvissuta di mia madre, forse anche per me non tutto è perduto, forse con un po’ di amicizia, di affetto disinteressato e strappando le erbacce dal cuore posso aspettarmi di fiorire di nuovo, magari negli occhi di un bambino.

Edited by chiara53 - 20/4/2012, 12:22
 
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view post Posted on 20/4/2012, 13:04
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CITAZIONE (Swindle @ 20/4/2012, 10:15) 
@Ida: ho visto che hai aggiornato lo stato della mia ff nel primo post (grazie!), però pensavo: siccome ho postato prologo+2 capitoli, non sarebbe meglio scrivere che la storia é al terzo capitolo?[/color]

Sì, inizialmente lo avevo pensato anche io, ma poi ho cambiato idea; chi clicca sul lik, si trova sul capitolo due e non sul tre, e questo ingenererebbe confusione, quindi credo sia meglio mantenere il riferimento al numero esatto del capitolo, in un certo qual senso "dimenticando" il prologo.

CITAZIONE (chiara53 @ 20/4/2012, 10:51) 
(Ida, puoi aggiornare i capitoli e confermarmi che sto inserendo bene i link per favore?)

Capitoli aggiornati.
I link sono corretti ma devi inserirli tutti nel primo messaggio della tua storia (cioè questo) perchè è lì che arriva il lettore seguendo il link che c'è nel primo messaggio della discussione (e non deve più inseguire tutti i vari capitoli per arrivare a quello che gli interessa).


Edited by Ida59 - 24/7/2015, 22:05
 
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view post Posted on 20/4/2012, 14:56
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CITAZIONE (Ida59 @ 20/4/2012, 14:04) 
CITAZIONE (chiara53 @ 20/4/2012, 10:51) 
(Ida, puoi aggiornare i capitoli e confermarmi che sto inserendo bene i link per favore?)

Capitoli aggiornati.
I link sono corretti ma devi inserirli tutti nel primo messaggio della tua storia (cioè [URL=?t=34548816&st=480#entry351823727]questo[/URL) perchè è lì che arriva il lettore seguendo il link che c'è nel primo messaggio della discussione (e non deve più inseguire tutti i vari capitoli per arrivare a quello che gli interessa).

Grazie, per la sistemazione, credo di aver capito.
Sei solerte e precisa come sempre. :wub:
 
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view post Posted on 20/4/2012, 16:37

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Uhau che bella continua !.
 
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CITAZIONE (sev89 @ 20/4/2012, 17:37) 
Uhau che bella continua !.

Uhau che bello, allora fin qui ti è piaciuta!
Baci
Chiara
 
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view post Posted on 21/4/2012, 15:12

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