| Swindle |
| | Buondì, dopo mesi e mesi, riapprodo su questi schermi. Ho deciso di continuare la ff che avevo iniziato a scrivere per questa sfida, e che avevo interrotto semplicemente per mancanza di tempo. Il tempo manca comunque, ma è di più la voglia di scrivere, e la speranza di riuscirci. xD Ricomincio, dunque, grazie anche a Chiara e al suo incoraggiamento... spero che a qualcuno freghi qualcosa di questa piccola storiella! =P Ciance alle bando, ecco la continuazione di...
.:Stardust:.
Capitoli precedenti di Stardust: Prologo: -il risveglio- Capitolo Primo -cicatrice-
Capitolo Secondo -rivale-
“Talvolta amico è parola priva di senso, nemico mai.” Victor Hugo
« Dicono che sei diventato pazzo, Potter. » disse una voce ironica dietro di lui. Harry si fermò, strinse al petto i libri che aveva appena preso in biblioteca, sospirò. « Ne hanno dette di peggio, mi sembra. » rispose, decidendo immediatamente che non avrebbe dedicato al suo interlocutore altre parole. Erano passate due settimane da quando aveva litigato con Ron. Non si parlavano più. Era come se non fossero mai stati amici. E Harry aveva cominciato ad evitare anche Hermione, anche se sapeva che lei stava facendo di tutto per dividersi tra il suo ragazzo e il suo migliore amico. Riprese a camminare, come a dire che la discussione era già finita. Ma a quanto pare lui non era d’accordo. « Dicono che sei diventato pazzo, a furia di cercare di dimostrare che Severus Piton è ancora vivo. » riprese con voce strascicata, mettendo sarcasmo in ogni singola sillaba « Ma la gente dice tante cose. E io sono curioso di saperlo direttamente da te. » Qualcosa in Harry prese a tremare violentemente, tanto che dovette fermarsi nuovamente. « È vero? » chiese ancora. Harry s’impose di calmarsi, di non badargli. Dopotutto era il solito presuntuoso, cosa poteva aspettarsi da lui? « Prenderò il tuo silenzio come un’ammissione. » Harry sentì dei passi dietro di lui, sperò che l’altro avesse deciso di andarsene. « A quanto pare, Potter, il Signore Oscuro ha fatto più danni di quanto pensassi fosse possibile » disse ad un passo da Harry, facendolo sobbalzare per la sorpresa di ritrovarselo così vicino « l’ultima volta che ha cercato di ucciderti. » finì, calcando sulle parole. Harry si girò di scatto, fissando Draco Malfoy dritto negli occhi. « A quanto pare, Malfoy, Voldemort ha fatto in te talmente tanti danni che non sei capace di pronunciare il suo nome. Cos’è, da bravo Mangiamorte hai ancora paura di lui?! » sbottò velenoso. L’espressione di Malfoy si fece livida, ma non replicò. « E come mai sei da solo, Malfoy? » chiese ancora, mettendo nelle sue parole tutta la cattiveria di cui era capace « Dove sono i tuoi scagnozzi? Oh, già… uno è morto a causa della sua stessa stupidità! » Malfoy fu più veloce di Harry. Lo spinse violentemente al muro, facendogli cadere i libri dalle braccia. « Non insultare la memoria dei miei amici. » quasi gli urlò all’orecchio, la voce tremante. Harry dovette ammettere a se stesso di avere esagerato. Ma ultimamente non riusciva a frenarsi. Gli avrebbe chiesto scusa, se non fosse stato Draco Malfoy. « E io non lo farò con i tuoi. » continuò quest’ultimo. Harry annuì. Gli sembrava un buon compromesso. Draco si allontanò di un passo, e Harry scrollò le spalle, ricomponendosi. « Non sono venuto a cercarti per gli insulti. » affermò il ragazzo. « Ah no? » chiese Harry, sinceramente sorpreso. « No. » rispose semplicemente, senza dare segno di essere infastidito « Credi davvero che Piton sia ancora vivo? » chiese. Harry annuì. « E sei convinto di ritrovarlo. » non era una domanda. « Lo spero. » rispose ugualmente. Una breve risata amara aprì il volto astuto di Draco. « Fai ancora i capricci, Potter? Hai ancora il complesso da “voglio-salvare-il-mondo”? » « Mi sembra di averlo già fatto, in realtà. » rispose tra i denti. Malfoy inclinò la testa e assottigliò lo sguardo, studiandolo. « Giusto. » replicò « Sei stato l’eroe che tutti volevano che fossi. Il Bambino-che-è-sopravvissuto-due-volte-all’Anatema-che-Uccide. Dov’è l’altra cicatrice, Potter? » lo sbeffeggiò. « Me ne basta una, grazie. » « Ti senti in colpa, non è così? » chiese, una luce di serietà negli occhi che Harry non gli aveva mai visto « La notte hai gli incubi e vedi il sangue delle persone che sono morte in guerra e ti chiedi perché. » Harry deglutì e abbassò gli occhi. « Lo so il perché. Perché è stata colpa mia. Avrei potuto fare di più, avrei potuto fare in modo che le cose andassero diversamente. » Da qualche parte nella sua mente, Harry si chiese perché stesse tirando fuori una parte delle ombre che si portava dentro proprio con Malfoy. Eppure non se ne pentì. In qualche modo sembrava che Draco lo comprendesse. « Tutti abbiamo fatto scelte difficili, e tutti abbiamo le nostre colpe. » affermò atono il ragazzo. Harry lo guardò. In qualche modo sembrava che Draco condividesse. « Ho perso troppe persone. » disse il Grifondoro, seguendo il filo dei suoi pensieri « Preferirei non dover perdere anche lui. » ammise, ormai stranamente a proprio agio. « Credo che Piton penserebbe che tu non possa perdere qualcosa che non ti è mai appartenuto. » replicò Draco, strappando all’altro ragazzo un sorriso. « Questo è sicuro. E comunque, anche se alla fine mi ha sempre protetto, non l’ha fatto per me, no? » « Giusto. Ora tutti sanno la vera storia di Severus Piton. Con tutto quello che ha fatto per tenerla nascosta, non credo ti ringrazierebbe per averla sbraitata ai quattro venti. » Il sorriso di Draco si fece improvvisamente più cattivo. « E così, Potter, lui amava quella Mezzosangue di tua madre. » Harry ci mise meno di un secondo a reagire. E questa volta fu il suo turno di afferrare Malfoy per il bavero e spingerlo contro il muro. « Non insultare mia madre! » gli sibilò all’orecchio con una voce che non sapeva nemmeno di avere « E non insultare nemmeno Piton! » aggiunse, strattonando il ragazzo e tenendolo bloccato al muro. Draco con si scompose. « Non stavo insultando nessuno dei due. » disse lentamente « Come puoi notare non ho usato la parola “Sanguesporco(1)” per riferirmi a tua madre, Potter. E non sono così vigliacco né da insultare Piton, né da sottovalutare il potere dell’amore. » finì con una smorfia. Quelle parole lo fecero rimanere a bocca aperta, completamente sbalordito. Mai avrebbe creduto che Malfoy potesse pensare, e dire, una cosa del genere. Rimasero in quella posizione, a studiarsi, per parecchio tempo, fino a quando Draco non cominciò a dar segni di cedimento. « Hai per caso intenzione di lasciarmi andare, Potter? » sbottò. Harry si riscosse, rendendosi conto di star ancora tendendo Draco bloccato al muro. « Sì, certo, scusa. » disse, allontanandosi velocemente. Malfoy si lisciò lievemente le vesti, con un sorriso serafico sul volto. « Ma ad ogni modo. » riprese il Serpeverde « Cosa ti fa pensare che voglia essere salvato? » Harry lo fissò a occhi sbarrati, confuso. « Cosa vorresti dire? » « Mi meraviglio di te, Potter. » disse, ripescando la sua ironia « Io conoscevo Piton meglio di te. E non mi stupirebbe se il fatto di sparire fosse tutto un suo piano. Magari, non vuole affatto essere trovato. » Quell’ipotesi prese Harry letteralmente in contropiede. Non aveva neanche lontanamente immaginato una simile teoria, ma pensando all’uomo che Piton era… più che probabile. Per la seconda volta, Harry era senza parole, e Draco non mancò di sottolinearlo. « Cos’è, Potter, ti ho lasciato a bocca asciutta? Non sai più come ribattere? Il grande Harry Potter che non sa rispondere ad una sfida. » un sorrisetto beffardo era riapparso sul suo volto « Devo segnare questo giorno sul calendario. » Harry strinse forte i pugni, Draco sapeva sempre come farlo infuriare. « Senti, Malfoy » cominciò a dire « Tu non hai proprio il diritto di… » ma le parole gli morirono in bocca. Uno scintillio passò negli occhi di Draco, e Harry capì. Capì che quella strana situazione, quel loro strano discorso che li stava unendo in quello strano modo, disturbava entrambi nello stesso modo. Quello di Malfoy era solo un tentativo per rimettere le cose a posto, così come tra loro erano sempre state. Ma Harry aveva ancora qualcosa da dire, prima che potessero tornare ad odiarsi cordialmente. « Quindi cosa dovrei fare secondo te? Dovrei smettere di cercarlo? » chiese. Il viso di Draco si rabbuiò, la sua armatura di sicurezza s’incrinò; evidentemente non si aspettava una domanda simile. Ma il piccolo lord si riprese in fretta. « Non sono il tuo consigliere, Potter. » disse sprezzante « Sono venuto qui per conoscere le tue intenzioni, e ora che so tutto non ho più motivo di sopportare questa tua orribile faccia. » E senza più una parola si girò. Harry lo guardò allontanarsi per il corridoio con quella sua posa altezzosa, e sorrise mestamente. Non era il solo che stava soffrendo… e anche Draco teneva a Piton, in qualche modo. Non sapeva proprio cosa avrebbe dovuto fare. Era ancora convinto che Piton fosse vivo, disperso chissà dove, e l’idea che forse avesse bisogno d’aiuto lo spingeva a continuare nella sua ricerca. Aveva il dovere di sdebitarsi. Ma era pur vero che ciò che gli aveva detto Malfoy non sembrava affatto impossibile. Se Piton, come Harry credeva, era ancora vivo, chi poteva dire che non fosse sparito dalla circolazione di propria volontà? Dopotutto, anche a Harry, in alcuni momenti, era passata per la testa quell’idea. Nessuno avrebbe potuto biasimarlo per quella scelta, Harry incluso. E poi c’era quell’altra cosa… certo, Malfoy aveva detto quella frase solo per irritarlo, per sfida, ma se fosse stato vero? Dopo tutti quegli anni passati a evitarlo, poteva essere che Harry avesse sviluppato un certo complesso dell’eroe? Che fosse diventato egoista? In definitiva: voleva intraprendere quella ricerca per Piton… o per se stesso? Harry sospirò, riscuotendosi da quei pensieri, e fece per girarsi, quando a terra notò un foglietto arrotolato. Subito alzò lo sguardo per chiamare Draco, nel caso l’avesse perso lui, ma il Serpeverde doveva aver svoltato un angolo del corridoio e non si vedeva già più. Il ragazzo si accucciò, abbassandosi sulle ginocchia, e raccolse il bigliettino, srotolandolo. In una minuscola grafia rattrappita, ma allo stesso tempo elegante, era vergata una frase:
“Io sono il Padrone della Morte” Harry rimase a guardare il foglietto, raggelato, non tanto per la frase in sé, quanto per la calligrafia che, pur non vedendola da parecchio tempo, aveva subito riconosciuto. Era quella del Principe Mezzosangue.
***
« Avanti, dinne un altro! » rise Leah, correndo leggera per il sentiero. Sé si arrestò, tra le braccia un fascio di rami, facendo finta di doverci pensare. « Mmm. Che ne dici di “attore”? » le chiese, guardando i giochi di luce che il sole produceva sui suoi capelli ramati. « Attore, eh? Non male… fammi pensare. » si arrestò anche lei, ponendosi un dito su un labbro e cominciando a ragionarci su. Sé s’incantò a guardarla. Aveva uno sguardo così infantile e genuino da strappargli un risolino soffocato. Leah, che Sé aveva scoperto essere estremamente sensibile ai suoi cambi d’umore, nonché a leggere le minime espressioni del suo viso, se ne accorse subito e lo guardò imbronciata. « Cosa c’è da ridere? » sbuffò. « Niente. » disse lui, tirando lievemente le labbra, massimo segno del suo divertimento « Dai, torniamo alla locanda, oramai si è fatto tardi. E tu continua pure con il tuo gioco. » Oramai erano passate un paio di settimana da quando Sé si era svegliato e aveva scoperto che neanche la ragazza poteva dargli informazioni sulla sua identità. Qualche giorno dopo da quell’evento, Leah e Neil l’avevano pregato di farsi vedere da un dottore. Il medico in questione, il dott. MacFergusson, un omone grande e grosso in cui non era difficile intravedere il sangue vichingo dei suoi avi, dopo avergli rivolto gioviale la domanda “come sta il vecchio Neil?” a mo’ di saluto, l’aveva visitato e dunque gli aveva posto delle domande. « Da quel che mi ha detto Leah » disse leggendo qualcosa nella sua cartellina blu « Lei non ricorda assolutamente nulla della sua vita. » Sé era rimasto un momento in silenzio, pensando a quanto diretta fosse quella domanda. « È così. » aveva risposto alla fine, lentamente. « Perciò, niente nome, nessun età, alcun ricordo, esperienze, amici, familiari? » “Cos’è, mi prende in giro?” si chiese Sé, inarcando lievemente un sopracciglio “O forse è meno competente di quanto pensassi.” « Si chiama amnesia, se non vado errato. » rispose ironicamente. Ma l’uomo non sembrò notare affatto il sarcasmo. « Esattamente. » disse in tono che a lui doveva parere professionale « Ma ci sono diversi tipi di amnesia. “Anterograda” è il termine utilizzato per riferirsi all’incapacità di memorizzare nuove informazioni, ma non sembra il suo caso, in quanto mi pare di capire che ricorda perfettamente gli avvenimenti che le sono accaduti dopo il suo ritrovamento. “Retrograda” è invece il tipo di amnesia che sembra averla colpita. » « Ed è possibile che io abbia perduto i ricordi di una vita intera… per sempre? » chiese, ponendo la domanda che più gli stava a cuore. MacFergusson lo studiò per un momento, schioccando la lingua prima di riprendere a parlare. « Sì e no. È possibile che non recuperi mai più i suoi ricordi, sì, a meno che, ovviamente, non trovi un modo per farlo. » « Esiste un modo? » chiese Sé, cominciando a intravedere una luce di speranza. « Esistono vari modi, direi. Ma tutto dipende dalle cause dell’amnesia stessa. » Tutte le speranze di Sé parvero sparire in quella frase, e l’uomo si afflosciò impercettibilmente sulla sedia. « Come posso sapere la causa se non mi ricordo nulla? » « Questo è ovviamente il problema principale, ma secondo me si può partire da qualcosa di più basilare. » Sé lo guardò, con aria interrogativa, ma il medico non sembrava avere intenzione di andare avanti. Davvero, che problema aveva? « Ovvero? » lo spinse allora ad andare avanti, girando gli occhi al cielo. « Ovvero cominciare ad escludere le cause più comuni. In primis c’è l’invecchiamento, la demenza senile insomma, ma direi che non è assolutamente il suo caso. » Sé annuì con fare ovvio, sperando che questa volta il dottore non s’interrompesse in momenti inopportuni. « Poi abbiamo i traumi: può essere avvenuto un trauma cranico che può quindi aver danneggiato il cervello. Durante la mia visita, poco fa, la prima cosa di cui mi sono accertato è che appunto non si vedessero segni di questo tipo di trauma. » « Ma non ne ha trovati, giusto? » « Già, e questo complica le cose. Ma in realtà non vuol dire nulla, perché non sappiamo, sempre che abbia avuto un trauma cranico, quanto tempo fa questo sia avvenuto, quindi per quanto ne so i segni fisici potrebbero già essere scomparsi. Potremmo accertarci della cosa con una TAC, ma purtroppo qui non abbiamo questa tecnologia, quindi le consiglierei di prenotare una visita in un ospedale della Contea di Galway. » Sé annuì, pensieroso, le sottili linee delle sopracciglia che si sfioravano. « Ma lei non è sicuro che si tratti di trauma cranico. » « No, come ho detto, non posso esserne sicuro, ma questa è la causa più probabile, considerando la sua amnesia totale. » « Capisco. Quali sono le altre opzioni? » « I traumi possono anche essere psicologici. » disse con un’alzata di spalle, ma guardandolo con la coda dell’occhio. « E questo sarebbe più facile da scoprire? » « Sì e no. » rispose MacFergusson dopo una lunga pausa. « Facendo una TAC, si potrebbero subito riscontrare eventuali emorragie cerebrali – e per questo le consiglierei di fare al più presto quella visita » disse lanciandogli un’occhiata eloquente « E in questo caso la guarigione sarebbe lunga e difficile, ma possibile. Ma se il trauma è psicologico… » il medico sospirò. « Se è psicologico? » lo incalzò, irritato. L’uomo lo guardò sovrappensiero, prima di procedere con la sua lenta spiegazione. « Il cervello è un organo complesso, signor… » si interruppe, a disagio, continuando a seguito dello sbuffo impaziente di Sè « Certo è sorprendente, ma è estremamente complicato, questo vuol dire che non lo conosciamo interamente, e anche se ciò ci porta a fare continue ricerche e quindi scoperte, probabilmente non lo conosceremmo mai davvero. » « Dove vuole andare a parare con questo discorso? Pensavo stessimo parlando di trauma psicologico, e non più di quello cranico, cosa c’entra il cervello? » « Se è veramente un trauma psicologico quello che ha causato la sua amnesia, chi crede che sia responsabile della sua completa perdita di memoria? » Sé si appoggiò allo schienale, cominciando a comprendere. « Come dicevo, il cervello è un organo sorprendente e complicato, regolato da un perfetto meccanismo di equilibrio. Se la mente di un essere umano decide di resettare completamente se stessa, di dimenticarsi tutta la propria identità a seguito di un avvenimento che colpisce la propria psiche al punto tale che è impossibile andare avanti avendola vissuta… riesce ad immaginare che tipo di trauma deve essere stato? » Sé, abbandonato contro lo schienale della poltrona, con gli occhi vacui, rimase senza parole, senza pensieri… MacFergusson si avvicinò di più a lui, sporgendosi sulla scrivania che li divideva, sovrastandolo con tutta la sua statura, e sussurrandogli: « E a quel punto, sarebbe capace di fare l’unica cosa possibile per riavere la sua vita? » Sé alzò lo sguardo sull’uomo, incrociando i suoi occhi opachi. « Sarebbe disposto a rivivere quel trauma? » A queste parole qualcosa scattò in lui, si alzò in piedi, le mani strette a pugno, le labbra contratte. « Chi diavolo è lei per farmi questo terrorismo psicologico? » sibilò, parlando con un tono di voce che non riconosceva a se stesso. « Io non sono nessuno, signore, se non un umile medico, anzi l’unico di questa città. Si risieda, mi faccia la cortesia. » qualcosa negli occhi dell’uomo era cambiato, ma Sé ebbe la chiara impressione di non essergli piaciuto fin dal primo momento in cui aveva messo piede nel suo studio. Cercando di calmarsi, si risedette. « Ora » riprese il dottore con tono cordiale « È evidente che ci siamo fraintesi: il mio lavoro, che è anche la mia missione, è quella di aiutare i miei pazienti. Lei è un mio paziente, e si trova in una situazione delicata, ed è mia intenzione aiutarla come posso. » Detto questo, riaprì la sua cartelletta blu che, Sé non ricordava quando, aveva nuovamente chiuso e riappoggiato sulla scrivania. « Il mio era solo un tentativo di essere chiaro con lei, di fargli ben capire la sua situazione, che non va presa alla leggera. » Sarà stato anche come MacFergusson diceva, ma una cosa era chiara a Sé: quell’uomo non gli piaceva, e non avrebbe più detto una sola parola fino al suo congedo. « Il nostro prossimo passo » continuò intanto quello, imperterrito « è la visita specialistica con TAC annessa, non si preoccupi di questo, ci penserò io. Quello che voglio che lei faccia » disse scrivendo qualcosa in quella sua cartelletta blu « è che cerchi in ogni modo di ricordare qualcosa. » Sé sbuffò. “Fosse facile!” « Non faccia quella faccia. Vede, nonostante l’amnesia, il suo corpo continua a ricordare, ha le stesse competenze che aveva prima di perdere la memoria, e il suo cervello non è stato danneggiato nella capacità di ragionamento. Quindi, tutto quello che deve fare è scoprire quali siano queste sue competenze, questo l’aiuterà a ricordare. Oh, e poi ovviamente deve tenere un diario. » « Un diario? » balbettò Sé, infrangendo la sua promessa di non aprir più bocca. « Esattamente. » rispose in tono serafico, rivolgendogli un sorriso. « E un diario dovrebbe aiutarmi a ricordare, dice lei. » sbottò, per nulla convinto. « Sì e no. » Sé alzò gli occhi al cielo. « È la terza volta che dice questo suo “sì e no”. Non risponde chiaramente alle mie domande, e cerca di farmi terrorismo psicologico. Mi sto irritando. » Il medico ripresentò quel suo placido sorrisetto, facendo solo salire di più i nervi all’uomo che aveva di fronte. « Scrivere ciò che fa durante la giornata, le cose che nota, può aiutarla a non perdere pezzi importanti, dettagli che magari le faranno tornare alla mente qualcosa della sua vita passata, e che magari perderebbe, non appuntandoseli. Inoltre, tenendo un diario saremo sicuri di escludere l’amnesia anterograda, che potrebbe sempre presentarsi, visto che non siamo sicuri di cosa abbia scatenato quella retrograda. » Sé si alzò in piedi, effettivamente aveva senso. « Molto bene. » affermò, velenoso e sconfitto « Vorrà dire che terrò un diario, come una stupida liceale piena di ormoni in subbuglio. » MacFergusson gli porse un foglio, che Sé afferrò bruscamente, dando poi le spalle al medico. « La saluto. » disse sulla soglia. Uscito, si fermò un attimo a raccogliere i pensieri, sospirando. Quell’uomo l’aveva irritato oltre ogni limite, non c’era che dire. Si guardò intorno, cercando Leah, che l’aveva accompagnato, nella saletta d’attesa. La individuò proprio nel momento in cui la ragazza alzava lo sguardo su di lui. Si guardarono, e all’improvviso Sé si sentì decisamente meglio. Leah gli venne incontro. « Allora, come è andata? » chiese. Sé tirò su lievemente le spalle. Non era sicuro di volerglielo raccontare. Per fortuna che le aveva chiesto di restare ad aspettarlo fuori. « E quello cos’è? » chiese intanto curiosa la ragazza, alludendo al foglio stropicciato che Sé teneva ancora in mano. Con stupore l’uomo si accorse di averlo quasi ridotto a brandelli. « Nulla » disse semplicemente, ficcandoselo in tasca « Piuttosto… ce ne andiamo? Odio questo posto, odora di anestetico. » Leah ridacchiò. « E tu non vorresti essere anestetizzato per nessun motivo, vero? » Sé aveva stirato le labbra. Da quel momento, si erano impegnati a cercare di capire quali fossero le sue capacità, ricerca che Leah aveva preso come un gioco, che aveva per finalità scoprire quale fosse stato il suo lavoro. Mentre arrancavano sulla stradina sterrata, con le braccia piene di legna, Leah continuò. « Ma sì, dai, perché no?! Dopotutto ti ci vedo come attore. Saresti perfetto nella parte del bel tenebroso, sempre pronto a circuire tenere fanciulle con le tue menzogne. O forse potresti fare qualche film di spie! Saresti capace di essere il fedele servo di un qualche cattivo, che però lo tradisce e combatte per i buoni? » Sé ci pensò su. « Non lo so, mi sembra tanto un clichè. Non credo esistano davvero persone del genere. » « Ma va, si tratterebbe di un film, no? E sarebbe davvero emozionante! » finì Leah con aria sognante. « Sì, come no! » replicò ridacchiando « Soprattutto se alla fine la spia viene scoperta e uccisa! » « Sarebbe una fine da eroe! » esclamò lei, con sguardo serio. « A me pare più una fine da fesso. » la prese in giro. « Ah, voi uomini! » alzò gli occhi al cielo « Non capite proprio nulla. » Oramai erano in vista della locanda. « Facciamo a chi arriva prima! » urlò lei con espressione beffarda, mettendosi subito a correre. « Ehi, così non vale! » le urlò di rimando, partendo però ugualmente all’inseguimento. Nonostante entrambi fossero pieni di rametti, corsero molto veloci, fin quando Leah, davanti alla locanda, alla fine della discesa, non si arrestò di colpo. « Ho vinto! » dichiarò. Sé era subito dietro di lei, e non fece in tempo a fermare la sua pazza corsa… finendole addosso. Entrambi rotolarono sul prato verde, ridendo e ansimando insieme, i pezzi di legno dimenticati intorno a loro. Ad un certo punto Leah si fermò e lo fissò negli occhi. « Sai » disse « Questa è la prima volta che ti sento ridere davvero. È strano… » A Sé si asciugò tutta la saliva in bocca. I loro visi erano a un palmo l’uno dall’altro, e loro non si trovavano così vicini da quella sera in cui avevano guardato le stelle. « Io… » cominciò a dire. Ma non ebbe modo di finire la frase, perché la porta della locanda si spalancò di botto. Stagliato sulla porta, in contro luce, apparve la figura di Killian. « Oh, eccovi finalmente. Cominciavamo a chiederci dove… » anche la frase del giovane rimase sospesa nell’aria, quando vide in che posizione fossero Leah e Sé. La ragazza si alzò di scatto, rossa in viso, avvicinandosi all’entrata della locanda. Killian si fece da parte, in silenzio, lasciandola passare. Così non fu per Sé. L’uomo si scrollò gli abiti, alzandosi, e, dopo aver raccolto la legna, si diresse verso la porta. Killian gli bloccò il passaggio, appoggiando una mano sull’infisso. Sé lo guardò interrogativo, ma l’altro si limitò a squadrarlo, con la fronte aggrottata e i denti serrati. « Scusa » disse Sé dopo pochi minuti, stufo di quella situazione « Ma dovrei proprio passare. » « Lei è mia. » sussurrò Killian, talmente a bassa voce che Sé credette di non aver capito bene. « Prego? » chiese, confuso. « Hai perfettamente afferrato il concetto. » rispose l’altro, alzando di poco il tono di voce « Leah è mia, e tu, chiunque tu sia, chiunque tu gli faccia credere di essere, non ti devi azzardare a portarmela via. » Sé rimase basito, incapace di rispondere a tanta assurdità. « Credo che tu abbia frainteso. » rispose alla fine con calma. « Non fare il finto tonto con me. Sai benissimo di cosa parlo! Tutto il tuo fare il povero smemorato bisognoso di aiuto… Potrai prendere in giro mia madre, mio padre e anche Leah, ma mettitelo bene in testa: con me non funziona! » « Sé? » chiese una voce da dentro la locanda. Entrambi gli uomini si voltarono verso l’interno, l’uno voltando la testa, l’altro protendendosi oltre il carico di legna e il braccio dell’altro. « Sé, hai raccolto la legna? » chiese Moira, poi vide la posa dei due sulla porta « Che state facendo lì? » « Niente, Ma’. Un semplice scambio di opinioni. » rispose prontamente Killian. La donna li studiò per un minuto, storcendo il naso. « Va bene, allora. Sbrigatevi, però. Ho bisogno che Sé venga ad aiutarmi con la cena, per favore. » disse, poi diede loro le spalle e si diresse verso la cucina. Sé fece per fare un passo, ma l’altro lo fermò, mettendogli una mano sul petto. Sé passò lo sguardo dalla mano sul suo petto al viso dell’uomo. « Dovrei andare. » disse a denti stretti, cercando tuttavia di usare tutta la cortesia possibile per la situazione in cui si trovavano. Killian lo guardò per un lungo momento, poi abbassò la mano. « Ma non finisce qui. » sussurrò in modo che solo lui potesse sentirlo, mentre Sé se ne andava. Arrivò vicino al camino e vi depositò accanto la legna. “Robe da matti.” pensò fra sé e sé, “Ci mancavano solo le minacce…” « Allora, Sé, vieni o no? » arrivò la voce autoritaria dalla cucina. « Sì, Ma’Moira, arrivo subito! » Sé si girò ancora un attimo verso la sala, cercando Killian, che ora stava amabilmente conversando con un avventore. Scosse la testa e si diresse verso la cucina. « Oh, eccoti finalmente! » disse Ma’Moira, mentre Sé si sistemava il grembiule, storcendo tuttavia il naso. « Come posso aiutarti? » chiese gentilmente l’uomo. « Il solito direi! » gli rispose con un gran sorriso sul volto « La zuppa è già sul fuoco. » Sospirò. Il giorno in cui Leah era tornata, lasciandolo un attimo da solo in cucina, Sé aveva, senza volerlo realmente, aggiunto una spezia alla brodaglia che cuoceva in quel momento in una pentola. Inutile dire che gli ospiti della locanda avevano ben apprezzato il cambiamento. Leah aveva visto il gesto di Sé, e quanto Ma’Moira si era chiesta come la sua zuppa avesse potuto così misteriosamente migliorare, non aveva avuto un attimo di esitazione nello svelare l’arcano. Così, adesso, Ma’Moira gli chiedeva ogni sera di ripetere quella magia. Proprio mentre si accingeva verso la zuppa, gli si avvicinò Leah, cambiata con le vesti da cameriera e con le mani piene di più vassoi di quanto sembrasse poterne sollevare. « Sarebbe ora che tu chiedessi a Ma’Moira di darti un po’ più di spazio. » gli sussurrò nell’orecchio « Dopotutto si vede che te la cavi fra i pentoloni… magari eri proprio un cuoco. » Sé non fece in tempo a ribattere, che la donna era già sparita dietro la porta a battente che collegava la cucina con la sala. Sé sbuffò, mentre aggiungeva la solita erba scura che oramai aggiungeva all’intruglio tutte le sere. Poi però, inevitabilmente, si fermò a riflettere. Era indubbio che in cucina riuscisse discretamente a destreggiarsi. In un paio di momenti liberi, aveva anche provato a pasticciare un po’ fra pentolame e ingredienti… e doveva ammettere che gli era piaciuto. Pur controvoglia, aveva preso l’abitudine di annotare pensieri, parole e fatti in un piccolo quaderno che fungeva da diario, proprio come gli aveva consigliato il dottor MacFergusson. La sola idea di star portando avanti qualcosa che quell’omuncolo gli aveva chiesto di fare, lo disgustava, ma doveva ammettere che stava aiutando. Non che dimenticasse qualcuno degli avvenimenti o dei suoi pensieri, ma, semplicemente gli piaceva scrivere e annotare cose. La prima entusiasmante scoperta che aveva fatto con quel diario era stata la sua scrittura: una grafia minuscola, e un po’ rattrappita, storta, come se fosse abituato a scrivere in spazi piccoli e angusti, ma al tempo stesso elegante, con le lettere ben equilibrate e decorate con studiati ghirigori, senza però esagerare. Gli piaceva. Gli sembrava di intravedere, attraverso quelle lettere scritte di suo pugno, una personalità che pensava di aver perso per sempre. Era la prova che esisteva, da qualche parte. A parte ciò, sembrava che il diario funzionasse esattamente per la funzione che il medico aveva previsto: sottolineare quei dettagli che magari a lui sarebbero sfuggiti. Come per la cucina. Non sapeva perché, ma stare a guardare quel fuoco scoppiettare sotto una pentola piena di ingredienti da lui mescolati, lo affascinava. E poi sembrava avere un ottimo olfatto, nonché un gusto raffinato per le componenti delle pietanze. Magari aveva ragione Leah, e nella sua vita passata era proprio il cuoco il suo mestiere. Aveva senso. Come tutte le cose che uscivano dalla bocca della giovane donna, d’altronde. Ovviamente Sé non gli aveva detto di star tenendo un diario, ma chissà come sembrava che la ragazza notasse ciò che caratterizzava l’uomo senza alcun ausilio di quello strumento. Sé scosse la testa, ridestandosi dai suoi pensieri per tornare a focalizzare la sua attenzione sulla zuppa che bolliva placida nella pentola. Poi prese una decisione. « Perché no? » disse, con un’alzata di spalle, ad alta voce, ma parlando a se stesso. Ma’Moira gli fu subito vicino. « Hai detto qualcosa, caro? » Ma Sé stava già armeggiando con vari barattolini e bottigliette, aggiungendo spezie, olio e altri condimenti vari. « Spero che non ti dispiaccia. » disse quando ebbe finito « Ho fatto qualche miglioramento alla zuppa. » Annusò il nuovo contenuto della pentola e annuì soddisfatto. Ma’Moira sorrise. Leah si frappose fra loro. « Allora posso servirla? » chiese, afferrando il pentolone con delle presine di panno. Con un gesto veloce e sistematico, appoggiò la pentola al tavolo della cucina, per poi prelevarne un grande mestolo e riempirci un piatto, per poi dirigersi con quello verso la sala. « Aspetta! » riuscì appena a dire Sé. Troppo tardi, la giovane era già sparita oltre la porta a battente. Sé si morsicò lievemente il labbro: e se non fosse piaciuta? Ma’Moira dovette capire la sua preoccupazione. « Sono sicura che sarà un successone. E se non lo è, pazienza. Dopotutto è la tua prima creazione, non preoccuparti. » Guardò l’uomo, che però non sembrava molto convinto dalle sue parole. « Dai, andiamo a sbirciare, ti va? » Sé ebbe solo il tempo di annuire, che Ma’Moira l’aveva già trascinato a guardare dall’oblò di vetro della porta che dava sulla sala. Sulla destra, il fuoco che Neil aveva acceso con la legna che Sé e Leah avevano raccolto nel pomeriggio, scoppiettava allegramente riscaldando l’ambiente. Sé ci mise due secondi per individuare Leah, proprio quando la ragazza stava servendo il piatto di zuppa a un cliente. Era un uomo grassoccio con le guancie piene e rosee, la testa quasi pelata e due baffoni rossi a incorniciargli le labbra. Al collo portava un fazzoletto arancione annodato alla bell’è meglio. Sé notò che nonostante la mole, sembrava avere muscoli piuttosto sviluppati nelle braccia. Se non gli fosse piaciuta la pietanza, non ci avrebbe messo due secondi a stritolarlo, esile come lui era. Deglutì a vuoto, dandosi dell’idiota per quel suo stupido timore. Eppure c’era qualcosa… qualcosa di strano nel vedere l’uomo riempirsi il cucchiaio della zuppa e portarselo alle labbra, qualcosa di strano nell’attendere che funzionasse… anche se Sé non avrebbe saputo dire cosa dovesse funzionare, visto che si trattava di semplice cibo. Si ingurgita, si digerisce e fa sentire sfamati. A questo serve il cibo. Mah. Avrebbe dovuto appuntarsi questa sensazione nel suo diario, più tardi, magari si trattava di qualche misteriosa reminescenza. Nel frattempo l’uomo aveva ingerito il cucchiaio di zuppa e ora aveva una strana espressione negli occhi. Diventò tutto rosso, incredibilmente ancor più di quello che già era. Iniziò a sudare visibilmente, a diventare sempre più scarlatto, fino a dare l’impressione di dover esplodere da un momento all’altro. « Oh mio Dio! » esclamò sottovoce, quasi in uno squittio Ma’Moira, accanto a lui, coprendosi la bocca con le dita. Sé rimase in silenzio e tutta la sala da pranzo, improvvisamente, con lui; gli occhi di tutti erano fissi sull’uomo. Leah era la più preoccupata, trovandosi a mezzo metro da quello che sembrava un vulcano in ebollizione. Poi l’uomo aprì la bocca, emettendo uno strano suono, come uno sfiato d’aria, e cominciò a tornare del suo colore. Nessuno aveva ancora il coraggio di fiatare. « Cosa diavolo c’è in questa zuppa? » chiese in un soffio, la testa bassa. Nessuno rispose. « Non è la solita zuppa, lo riconosco. Cos’è cambiato nella ricetta? » « Ehm… » rispose Leah senza sapere come trarsi d’impiccio « È forte? » provò a immaginare, vista la reazione dell’uomo « Non le piace? » L’uomo alzò finalmente lo sguardo su di lei. « Se non mi piace? » chiese, quasi sgomento « Mi sta chiedendo se non mi piace? » Fece una pausa. « Sì che mi piace! È buonissima! » esclamò con un gran sorriso. A quel punto brandì nuovamente il cucchiaio, come se fosse una spada, e s’immerse nella zuppa, divorandola, e continuando a diventare sempre più rosso, man mano che il piatto si svuotava. Non sembrava importargliene. A quanto pare gli piaceva davvero. Solo in quel momento, Sé si concesse di respirare. Neil gli mollò una pacca sulla spalla, facendolo trasalire. Quando diavolo era arrivato lì? « Ben fatto. » gli disse invece Ma’Moira annuendo, per poi tornare ai suoi fornelli. Nel frattempo nella sala stava accadendo il finimondo: tutti stavano ordinando un piatto della nuova zuppa, alzandosi sulle sedie, urlando. Leah si chiuse velocemente la porta della cucina alle sue spalle, ansimando. « Non so cosa tu abbia fatto a quella zuppa, ma ne vogliono tutti un piatto. Sembrano impazziti. » disse scuotendo la testa. Si diresse subito verso il pentolone che lei stessa aveva posato sul tavolo, cominciando a riempire altri piatti. Poi gemette. « Che c’è? » le chiese Neil. « Non basterà mai per tutti. Persino il signor Walsh vuole il bis. » Sé immaginò che quello fosse il nome dell’omone rubicondo. Neil si avvicinò a lei, riempiendo anche lui dei piatti di zuppa. « Bè, Walsh è un uomo in vista in città, evidentemente nessuno vuol perdersi l’occasione di assaggiare qualcosa che è di suo gusto in modo così eclatante. Intanto ti aiuto con questi piatti, Leah. » poi rivolse l’attenzione alla moglie « Voi nel frattempo vedete di prepararne quanta più potete. » Neil e Leah andarono a servire la zuppa, e Ma’Moira si rivolse a Sé. « Sembra che stasera tu abbia più lavoro del solito, ragazzo. » disse, toccandogli il braccio « Credo sia meglio che tu ti metta subito al lavoro. » « Ma non sono sicuro di riuscire a riprodurre esattamente la stessa ricetta! » rispose esasperato. « Oh, sono sicura che ce la farai. » disse accondiscendente, riprendendo poi le sue faccende. Sé si tirò su le maniche. Qualche ora più tardi e molti pentoloni dopo si abbandonò su una sedia, sfinito. Il signor Walsh era andato avanti ad ordinare zuppa per tutta la serata, e così tutti gli altri clienti della locanda. « Non è che ci hai messo dentro della droga? » gli chiese scherzando Leah, entrando in cucina. « Ah-ah, molto divertente. » disse, sebbene la frase gli uscì con meno sarcasmo di quanto avesse voluto. Si passò una mano sulla faccia. « Guarda che c’è zuppa solo più per un’altra porzione. » l’avvertì, vedendola prendere il mestolo e rimestare nel pentolone. « Lo so, ma è anche l’unica cosa che ci è rimasta da mangiare, e l’ha ordinata un tipo che è appena entrato. » « Oh bè, almeno non l’ha chiesta a causa del signor Walsh. » ironizzò, meglio di prima. Leah ridacchiò. « Non ti lamentare, è piaciuta a tutti. » disse uscendo. Sé sbuffò, in quel momento entrò Killian, al settimo cielo. « Non abbiamo mai fatto così tanti soldi in una serata sola, papà! » esclamò, rivolgendosi a Neil « Tutti volevano altri piatti di zuppa, e siccome ha un sapore forte e piccante hanno innaffiato il tutto con un sacco di birra. » « Allora i complimenti vanno a te, Sé. » disse guardandolo con un sorriso « Mmm… potremmo usare questa nuova zuppa per lanciare la nuova versione della locanda, con le camere e tutto il resto. » « È una buona idea. » annuì Ma’Moira « La cosa che però mi preoccupa è che con tutta la birra che hanno bevuto saranno in tanti ad essere ubriachi. » « Meglio! Così non saranno in grado di tornare a casa sulle proprie gambe e potrebbero fermarsi qui nelle stanze… » Ma le parole di Killian furono sovrastate da un rumore di piatti infranti e da quello di qualcuno che tossiva, seguito dalle urla di un uomo. Ma’Moira e Neil si guardarono, e poi tutti corsero verso la sala. Un uomo, rosso in viso, ansimava e sputacchiava davanti ad un’atterrita Leah. A terra, i resti del piatto e della zuppa. Il gelo era calato tra la clientela. Aveva dei folti capelli castani e degli occhietti neri, piccoli e insipidi. Portava una casacca verde scuro sopra ad una camicia logora, che doveva aver visto tempi migliori, e dei pantaloni grigiastri. « Che diavolo di zuppa è mai questa?! » urlò. Poi imprecò, si tolse il tovagliolo che aveva appuntato al colletto della camicia e si alzò in piedi. « È uno schifo, chi è la cuoca? » Sé si fece avanti. Non aveva paura di quell’uomo. « Sono stato io a preparare quella zuppa. » disse lentamente. L’uomo lo scrutò con quei suoi occhietti vuoti. Poi sputò per terra, proprio ai piedi di Leah, che trasalì per il gesto. « Spero che ti licenzino, ragazzino. » disse dando un’ultima occhiata a Sé. Poi uscì dal locale, in fretta. Ci furono ancora un paio di minuti di silenzio, poi il signor Walsh si alzò, e Sé si ritrovò il suo viso rubicondo ad un passo dal viso. « E così sei tu ad aver preparato questa zuppa? » gli chiese. Il suo alito sapeva di birra. Sé annuì. « Sì, signore. » « Bravo, bravo ragazzo. » disse, stringendogli la mano in un gran sorriso. Poi iniziò ad applaudire, e tutta la sala con lui. Sé ebbe un moto di orgoglio, che non pensava di poter provare. Dietro le sue spalle, solo Killian non applaudiva. Un paio di ore dopo, Sé stava portando fuori la spazzatura in un grande sacco nero. C’era voluto del tempo prima che riuscissero a convincere tutti i clienti a tornare a casa, dato che i più erano ubriachi fradici. E poi avevano dovuto pulire tutto. Era stata una lunga serata, e Sé non vedeva l’ora di andarsene a dormire. Il cielo era oscurato dalle nuvole, quella sera, così che non si riusciva a vedere nulla nel buio della notte. Così quando Sé si trovò davanti ai piedi qualcosa di duro e inaspettato, inciampò e cadde. « Ma che diavolo…? » Il sacco nero rotolò lontano e Sé cercò di rimettersi in piedi, appoggiandosi a quello stesso intralcio su cui era incespicato. Cominciò a tastare l’oggetto, non potendo usare la vista per capire cosa fosse. Era duro e freddo, e sembrava ricoperto di stoffa. Proprio quando stava per toccare qualcosa di famigliare, qualcuno uscì dalla porta sul retro. « Ehi, Sé, ti sei perso? » ridacchiò Killian tenendo alta una lanterna. Si fermò di botto. Perché quello che vide fu Sé, accucciato per terra, con una mano a coprirsi gli occhi dalla luce improvvisa e l’altra sopra il viso di un uomo morto. Un uomo che portava una casacca verde e dei pantaloni grigi, e aveva capelli castani, macchiati di sangue. Sé guardo alternativamente il volto dell’uomo, su cui era dipinta un’espressione di assoluto terrore, e le sue mani, che erano sporche di sangue. « L’hai ucciso. » esalò Killian, senza fiato.
_____________________________________________________________________ Note: (1) “Sanguesporco” = traduzione letterale dell’inglese “Mudblood”, che differisce da “Mezzosangue”, ovvero “Halfblood”. E' una non tanto sottile differenza che a quanto pare la Salani non ha ritenuto necessaria. p.s. nel frattempo mi sto anche rimettendo in pari con tutte le altre fic che partecipano alla sfida! Ah, e un caloroso benvenuto a Chiara! =)Edited by Ida59 - 24/7/2015, 22:04
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