Imparerò ad amarti - capitolo 3ATTENZIONE: il capitolo presenta una scena VM. Il capitolo intero é già stato postato nella sezione apposita. QUI
Se, invece, non potete o non volete leggere quella determinata scena di seguito, come previsto dal regolamento, posto il capitolo "depurato" con, al posto della scena VM, un piccolo veloce riassunto. Capitolo 3: Dolore
Ron strofinò forte la salvietta cercando di asciugarsi i capelli come meglio poteva. Il corpo ancora bagnato gocciolava sul pavimento del piccolo bagno del dormitorio.
Ricordava tutte le litigate mattutine che aveva fatto con i suoi compagni di stanza per il possesso del bagno. A volte gli era capitato di saltare la colazione perché Seamus l’aveva occupato per un tempo che lui aveva sempre definito oscenamente lungo.
Osservò vagamente il suo riflesso nello specchio appannato; si vedeva vecchio, iniziava a somigliare in modo preoccupante a suo padre. Ravvivò i capelli umidi con la mano e avvolse la spugna attorno ai fianchi. Aveva passato tutto il giorno con Bill e suo padre a sistemare le crepe più profonde ancora presenti nel castello dopo l’ultima battaglia.
C’erano posti che non avevano mai visitato e altri che Bill non aveva mai sentito nominare. Lui li aveva portati in ogni anfratto che conosceva, orgoglioso della sua conoscenza approfondita della scuola e di ogni passaggio segreto. Ma, nonostante i suoi sforzi, molte delle riparazioni richiedevano magia fuori dal suo livello, rendendo il suo compito, alla fine, ancora più noioso e ripetitivo. Senza contare che non aveva ancora imparato a destreggiare al meglio la bacchetta con la mano sinistra.
Avrebbe dovuto esercitarsi meglio, allenarsi ogni momento libero, ma sapeva che molte delle magie richieste per una guerra erano e sarebbero state per sempre al di fuori delle capacità.
Si sentiva stanco e sfiduciato. A volte solo un essere inutile.
Era la classica maledizione del sesto figlio maschio. Spesso si era sentito solo la ruota di scorta della famiglia, specialmente quando sua madre gli riciclava gli oggetti e gli abiti dei suoi fratelli.
Ora le cose non erano differenti. Era la ruota di scorta di Harry. Il giocattolo di Hermione. Un peso per l’Ordine. Incapace anche solo di riparare una crepa senza l’aiuto di qualche altro mago.
In più l’atmosfera a Hogwarts non era rassicurante.
Il peso della guerra iniziava ad essere troppo ed Harry non faceva progressi; se ne stava da solo, chiuso in un ermetico mutismo. Perfino Ginny faticava a parlargli.
La speranza del bambino sopravvissuto iniziava a svanire giorno dopo giorno.
Abbassò lo sguardo sulla mano mutilata: il prezzo che aveva pagato per aiutare i suoi amici. Quegli amici che lo usavano probabilmente senza rimorsi e di cui però non riusciva fare a meno.
La magia oscura che gli aveva mozzato le dita aveva anche impedito ad ogni pozione o incantesimo di farle ricrescere. George scherzava quando parlava della sua mano e del suo orecchio. Poi, quando credeva che nessuno lo vedesse, osservava malinconico la foto di Fred.
Senza lacrime.
Senza dire una sola parola.
La fissava e basta, con lo sguardo perso in mille ricordi lontani ma non abbastanza sbiaditi da non farlo soffrire.
Poi indossava di nuovo la sua maschera e tutto tornava come prima.
Ognuno di loro portava una maschera.
Osservò di nuovo la mano e si domandò quando la sua vita sarebbe tornata normale. Quando avrebbe iniziato ad abituarsi a quella situazione. Incapace anche di mangiare senza sembrare un bambino.
Sospirò e afferrò l’asciugamano per non farlo cadere a terra mentre usciva dal bagno.
Era solo in dormitorio.
Gli altri erano troppo occupati per pensare a Ronald Weasley senza tre dita. Chiuse la porta con un piede e sussultò quando intravide un’ombra seduta sulla sponda del letto. Osservò l’altra persona per qualche istante poi sposò lo sguardo altrove.
- Cosa ci fai qui?
- Volevo vederti.
- Perché?
- Mi sei mancato.
Si mosse velocemente verso il baule già aperto e vi rovistò alla ricerca della biancheria pulita. Lasciando cadere la frase nel silenzio della stanza.
- Hai tutte le ragioni per essere adirato con me. – continuò l’altra – Non ti ho trattato bene.
- Non sono il tuo giocattolo. – rispose dandole le spalle, dicendole quella frase che da troppo tempo si teneva dentro.
- Lo so.
Con rabbia buttò i vestiti sul pavimento e si voltò.
- Tu non sai proprio nulla, Hermione. – urlò – Questa è una cosa che non puoi sapere!
La strega si morse un labbro osservando la punta degli stivaletti scuri.
- E’ vero…- mormorò con un filo di voce – io non posso sapere quello che provi. Io volevo scusarmi…- continuò imbarazzata – solo scusarmi. – si alzò dirigendosi alla porta del dormitorio – Sono certa che troverai la donna in grado di apprezzarti come meriti.
La mano sana di Ron le afferrò un braccio. Le dita, rese callose dai lunghi allenamenti sul manico di scopa, scivolarono fino al polso, stringendoglielo. Ma la stretta non era dolorosa; Hermione vi sentì solo la disperazione di un cuore spezzato.
Proprio come il suo.
- Non mi interessa di nessun altra, Hermione. – le disse parlando lentamente come se cercasse le parole giuste – Io voglio te. Ho sempre e solo voluto te dalla prima volta che ti ho vista su quel treno. E’ così difficile da capire? E’ così difficile accettare i miei sentimenti?
Ecco le parole giuste. Le parole perfette. Quelle che ogni donna vorrebbe sentirsi dire.
Peccato che arrivassero dalla persona sbagliata.
La strega sorrise e si voltò verso il suo amico.
Perché nel suo cuore era solo questo: un caro amico.
E lei un mostro.
- Vorrei che fosse così semplice, Ron. Non sai quanto lo vorrei.
Con uno slancio il mago l’afferrò in vita, unendo le loro labbra con un lungo bacio appassionato.
Hermione rispose con foga, aggrappandosi alla schiena nuda di Ron come se fosse l’unico modo per sopravvivere.
Un bacio frenetico, appassionato.
Da qui parte la scena VM.
Hermione capisce quello che sta per accadere e vorrebbe fermarsi ma stare con Ron, in quel preciso momento, le fa dimenticare Severus e l'incontro- scrontro aveuto con lui poco prima.
Si lascia andare ben sapendo che dopo starà peggio.
***
Harry Potter fissava la linea tremolante dell’orizzonte dalla finestra di una delle aule.
Nascosto al resto del mondo. Come uno scarafaggio che si nasconde dalla luce.
Ginny era al suo fianco, silenziosa. Cupa. Preoccupata.
Nonostante i suoi sforzi di apparire tranquillo, lei si preoccupava ugualmente.
Cercava di mostrarsi forte. Di non far vedere il panico che lo colpiva ogni volta che ripensava a quello che era successo quella notte lontana.
Cercava di non lasciarsi sopraffare dal dolore dei morti che incombevano sulla sua anima, che lo trafiggevano come mille spilli roventi.
Fingeva di lottare. Di resistere.
Non era mai stato un bravo attore, lo sapeva. E lo vedeva chiaramente sui volti di tutte le persone che lo circondavano.
La verità era che voleva lasciarsi andare alla deriva. Lasciare che il suo corpo venisse trascinato nella spirale di morte che si era creata attorno a lui.
Voleva morire.
Sapeva che questo era l’unico modo che aveva per pareggiare i conti. Non verso Voldemort, ma verso tutte le persone che avevano incontrato la morte per aiutarlo.
Troppe persone che avevano perso la vita in suo nome. Accecati da una speranza; depositando la loro fiducia su un ragazzo da poco maggiorenne.
Li aveva visti tutti quella notte, quando era andato incontro alla sua fine.
Aveva lottato per i suoi genitori. Per Sirius. Per Silente. Per tutte le persone che lo circondavano. E per tutti i volti opalescenti che non aveva riconosciuto quella notte, poco prima che Lord Voldemort lo uccidesse.
Ginny gli strinse la mano come se sentisse in lui il desiderio di lasciarsi andare, di smettere di vivere.
Lei era uno dei pochi motivi che lo inchiodavano alla vita. Che gli impedivano di partire da solo per cercare Voldemort.
La ragazza gli si avvicinò di più, accostando le labbra al suo orecchio.
- Dove sei Harry? – gli domandò con un filo di voce – Perché sei distante anche da me?
Il ragazzo si voltò a fissarla, gli occhi verdi brillavano aiutati dalla luce del tramonto imminente.
- Mi dispiace. – le rispose – Sono stanco.
Ginny l’abbracciò forte, cercando di trasmettergli tutta la sua forza, il suo disperato bisogno di lui. Harry appoggiò la fronte alla sua spalla e ispirò il profumo fruttato dei suoi capelli.
- Ti amo, Harry. – gli disse dolcemente accarezzandogli i capelli ribelli come farebbe una madre con la propria creatura – Non scordarlo mai.
Il ragazzo scosse il capo tra le sue braccia e la strinse più forte.
Avrebbe voluto restare in quella stanza per sempre. Lontano da tutto, da tutti. Senza problemi, senza guerre e morti che gli toccavano la coscienza ogni giorno.
Avrebbe tanto voluto che tutto finisse in quell’istante.
Ginny lo strinse forte, ricacciando indietro le lacrime che premevano dietro le palpebre serrate. Vederlo soffrire in quel mondo era atroce. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter condividere con lui il dolore che lo affliggeva, ma Harry non la lasciava entrare nel suo mondo. Non le permetteva di aiutarlo. Se ne stava solo con la sua disperazione.
Lo strinse ancora e sentì che l’abbraccio era ricambiato.
Sapeva che lui l’amava ma, a volte, i loro mondi non combaciavano e tutto sembrava privo di significato.
Si era posta delle domande senza mai trovare le risposte.
- Non scordarlo…- ripeté a bassa voce, cullandolo proprio come un neonato – non scordarlo mai.
Sentì qualcosa di bagnato toccarle la spalla, una goccia calda che scese lungo la scapola intrufolandosi poi sotto l’ascella.
Un’altra.
Un’altra ancora.
La schiena di lui ebbe un leggero singulto.
Harry stava piangendo.
Il suo cuore si strinse nel petto.
Piangeva in silenzio. Tra le sue braccia.
Ginny strinse di più le palpebre, ma le lacrime trovarono ugualmente una via d’uscita.
***
Severus camminava spedito per le stradine di Godric’s Hollow.
I pochi passanti che incrociava non lo ritenevano abbastanza interessante da poterlo anche solo fissare per un attimo. Continuavano con la loro vita senza accorgersi dello strano personaggio che, ogni pomeriggio, percorreva la via che conduceva al piccolo cimitero.
Ma quel giorno non svoltò per la solita strada.
Quel pomeriggio decise di fare un altro percorso.
Una crepa nella sua routine perfetta.
Proseguì per la stradina tortuosa. Il manto stradale era disconnesso in più punti rendendo ogni pozzanghera una possibile trappola ricoperta di ghiaccio. Era facile scivolare e rompersi qualche osso.
Per un attimo desiderò metterci un piede sopra e sfidare la sorte.
Una piccola scivolata. Un crak. Poi il nulla.
Non aveva mai creduto in nessun tipo di Dio. Per lui non c’erano cori d’angeli, luci in fondo al tunnel, aureole o templi ricolmi di ricchezze. Per lui c’era solo un infinito niente.
Pace e la completa assenza di dolore.
E lui non meritava niente di tutto ciò.
Alzò il bavero del mantello, riparando il volto dal vento freddo, tagliente come la lama di un pugnale.
Il suo pugnale argentato di Mangiamorte.
Proseguì, ignorando i pensieri nefasti che gli si accalcavano in testa.
Mano a mano che si avvicinava la sua meta prendeva forma dietro la recinzione arrugginita.
La casa dapprima sembrava normale; una semplice villetta a due piani. Solo l’intonacatura esteriore era rovinata dal tempo e dall’incuria.
Non appena gli incantesimi di protezione riconobbero l’aura magica l’atmosfera cambiò radicalmente.
L’intonaco della facciata cadeva a pezzi rivelando i mattoni sottostanti.
Alcune persiane, un tempo di un blu acceso, pendevano da un solo cardine mostrando le finestre sporche di terra e polvere. Occhi ciechi che fissavano i Babbani e i maghi con risentimento per quello che era successo all’interno delle sue mura.
Severus si avvicinò al cancello e osservò in silenzio.
Il prato era coperto da un fitto manto di neve fresca e candida. Alcune macerie erano state coperte solo in parte e facevano capolino quasi scherzose in quel mare di bianco accecante. In quel paesaggio desolato che trasmetteva solo il dolore portato dalla morte. L’edera aveva avvolto la casa, come se avesse voluto curare le sue ferite. O come se volesse proteggerla dal male del mondo.
Gli occhi scuri saettarono verso il primo piano. Lì dove il suo cuore era morto assieme alla donna che amava.
Non posso più fingere. Tu hai scelto la tua strada, io la mia. Osservò i muri rimasti di quella che era stata, per pochissimo tempo, la cameretta di Harry Potter.
Non uccida lei… la prego, Padrone. Uccida il bambino ma non lei! Socchiuse gli occhi cercando di migliorare la sua visuale. Riusciva a vedere stralci della tappezzeria sbiadita. Non era sicuro me gli sembrava che ritraesse boccini d’oro e scope volanti.
Tu mi preghi, Severus? Il lettino era ancora lì. Era certo che se qualcuno l’avesse toccato si sarebbe trasformato in polvere sottile.
Tu mi disgusti.Le mani, coperte da guanti neri di pelle, afferrarono le sbarre del cancello. Alcune schegge di ruggine entrarono nella stoffa ma non gli ferirono le mani.
Sai come e perché è morta. Appoggiò la fronte ad una delle sbarre di ferro. Era fredda. Come il suo cuore, la sua anima; tutto il suo mondo.
Fa’ che non sia stato vano. - Mi dispiace. – mormorò piano, l’alito si condensò davanti al volto, le parole si persero nel vento – Perdonami.
Strinse di più le sbarre. Sentì la ruggine sgretolarsi sotto le dita.
Perduta… morta… Chiuse gli occhi soffocando un urlo.
Aiutami a proteggere il figlio di Lily. - Non posso… - gemette – … solo…
Non posso vivere senza di te. Sbarrò gli occhi, colpito da quel ricordo quasi improvviso. Le iridi nere erano lucide per via dalle lacrime che non avrebbe mai più versato.
Io voglio la tua luce.Sollevò la fronte incontrando ancora il profilo della casa semidistrutta.
Severus… - No… c’è solo lei… Lily. – e quel nome uscì dalle sue labbra come se fosse una condanna, un pesante fardello di cui non voleva liberarsi.
Abbassò lo sguardo. Il cartello era apparso non appena aveva sfiorato la grata. Le lettere d’oro brillavano nonostante non ci fosse molta luce.
Si tolse uno dei guanti con un movimento quasi frenetico. Sfiorò con due dita il nome dell’altra metà del suo cuore.
Solo un nome, una foto e ricordi dolorosi.
Tutto quello che gli rimaneva di lei.