E con questo dovrei essere in pari, a parte i commenti alle varie storie.
Fa lo stessoCapitolo 2 - Sopravvivere al vuoto-----------------------------------------------------------------------
Debole come un’ombra Snape si incamminò lungo i passaggi che dalla cupa stanza nella Stamberga Strillante portavano all’esterno, in vista di Hogsmeade. Poi gli bastò seguire i segni di distruzione e le macerie che indicavano la direzione per Hogwarts, dove ormai la Battaglia Finale contro Voldemort, lui lo sapeva bene, si era già esaurita.
“Davvero un bel… percorso panoramico…” biascicò sollevando a fatica i primi passi, mentre constatava di non provare quella soddisfazione mordace che solitamente accompagnava le sue crude battute piene di astio.
Per un attimo la realtà ritrovata gli sembrò senza sale.
Il suo umore era strano, pensò, così privo del familiare e rassicurante peso della coscienza immonda, gravata dalle atrocità commesse.
Tutto riparato, tutto perdonato…
Snape respirava libero, innocente e pulito, e per la prima volta riusciva a guardare al passato senza avvertire staffilate crudeli di rimorso. Poteva alzare gli occhi al cielo senza provare la tentazione di mettersi a strisciare come un verme, sapendo di essere ritornato indietro quale creatura degna, inscritta dalla parte giusta nell’ordine delle cose.
Con l’anima di luce che brillava.
Il sentiero in salita era duro per lui, che aveva perso almeno la metà del sangue, poi recuperato impuro, fatto rientrare nelle vene a furia di sette diversi Assanentur. Si mise a sedere sotto a un albero forzando sulle giunture a malapena ricomposte.
Cosa diavolo avrebbe fatto, adesso? Dove andare? Una certa ansia bruciante cominciò a insinuarsi nella coscienza fragile, rimarginata da poco.
Pensandoci bene, ora era fornito di ancora meno ragioni per stare al mondo… Nessuno scopo di redenzione, nessun progetto di salvezza, nessuna Causa, nessuna Missione.
In passato il pensiero della Morte che avrebbe messo fine a tutto aveva costituito una sorta di conforto, per lui, significando una qualche ragione per tirare avanti. Ma nel momento attuale, debole e pieno di consapevolezze ultraterrene, sapeva ormai che non c’erano motivi sostenibili, per agognare la sua fine materiale.
Aveva l’anima salva, sì, era destinato all’Empireo, addirittura.
Ma persino questo riusciva soltanto a peggiorare le cose. Perché là avrebbe dovuto contemplare per sempre la verità incrollabile che Lily non sarebbe mai stata sua.
Snape maledisse a voce alta la sua vita e chi l’aveva creata, poi chiese perdono al Cielo, pervaso di nuovo pudore.
Ma come un pesce che si dibatte in agonia nel vuoto dell’aria, senza respiro, non ci sarebbe stata consolazione per lui, né gioia possibile, in nessuna posizione tra cielo e terra.
Si alzò a fatica, non sopportava più di scoprire sempre nuove maniere di ritrovarsi fuori posto. Senza nessuno scopo si sentiva vuoto e indispettito, impedito a morire com’era agonizzava dentro a una trappola, incongrua, patetica figura di prigioniero tra la vita e la morte.
Era diretto a Hogwarts, così continuò per di là. “Un posto vale l’altro… fa lo stesso…” si disse cupo. Tanto, nessun luogo poteva veramente accoglierlo.
Aveva un disperato bisogno di ripulirsi dalle incrostazioni di sangue, però, e di un cambio d’abiti. Nella Stanza del Preside almeno si conservavano le sue cose, se non erano andate distrutte durante la battaglia.
…
Debole. Demotivato.
Con l’anima eterna scoraggiata Snape si affacciò nell’androne semidistrutto di Hogwarts, dove solo una piccola folla si era trattenuta allo scadere delle dodici ore dopo la battaglia.
Sparuti gruppetti di superstiti si davano da fare con le bacchette per rimettere in piedi qua e là qualche angolo del castello. Nei giorni seguenti, la prodiga efficacia degli Elfi Domestici avrebbe riportato ogni cosa al suo splendore.
L’Ombra strisciò all’interno, ringraziando gli inferi di incrociare il proprio sguardo solamente con soggetti sconosciuti. Si spostò in fretta dalla Sala Grande, defilandosi non vista in una stanza laterale.
Nella luce fioca Snape inciampò senza grazia sulle propaggini di qualcosa che offriva poca resistenza: le gambe irrigidite di un cadavere.
Illuminò la stanza con l’esigua Magia che gli era sopravvissuta, e capì di trovarsi nel luogo dove erano stati portati i caduti.
Quello su cui aveva inciampato, lui lo conosceva bene.
“Hmmm… ma quale… spreco…” mormorò fra i denti con leggero disappunto. “Sarò costretto a buttare la scorta di Pozione Antilupo… che serbavo solo per te…”
Remus Lupin nella morte sembrava appena più sgualcito del solito, con qualche graffio aggiunto a solcargli il viso rassegnato.
Non era una sorpresa per Snape trovarlo fra le vittime, poiché, con la coscienza ultraterrena della propria morte, aveva già visto anche questo.
Analizzò il cadavere con invidia.
Non si trattava della consueta acidità e del disincanto. Invidiava quei morti, li invidiava tutti.
Vita e morte facevano lo stesso ormai, per lui, quel confine non era certo importante. Importante invece era avere un porto sicuro da una parte o dall’altra, con un senso e un destino da compiere, un progetto supremo che culminasse nella serenità del per sempre.
Snape invece era bollato dal mai, in entrambi i mondi. Costretto ad invidiare persino quei morti che nella vita non avrebbero sorriso mai più, ma che sapeva ormai felici e uniti in cielo, perché li aveva visti salire impazienti quando era uno Spirito.
Bah.
Il cadavere di Tonks non si trovava più nella stanza, probabilmente la famiglia l’aveva già portato via per celebrare il funerale, una qualche commovente cerimonia.
“E tu… Remus?” insinuò Snape a voce bassa. “Nessuno ti viene a ritirare?”
Il sorrisetto sarcastico che sottolineava la frecciata sembrò quasi fare presa sul cadavere, che parve leggermente indispettito come ai vecchi tempi del loro rapporto, nel quale, senza confessarselo apertamente, sentivano di avere in comune la loro diversità, la loro emarginazione.
Forse sorrisero amaro, complici.
Almeno da quella parte della vita erano ancora due patetici reietti, erano ancora uguali.
…
Snape dormì con anormale sonno di piombo nel letto a baldacchino della Stanza della Torre, adiacente all’Ufficio del Preside.
Altra spiazzante novità! Motivi?
La stanchezza praticamente mortale.
La coscienza ripulita e la mancanza di minacce.
Una vuota apatia che confinava con la depressione.
Aveva accuratamente evitato il ritratto di Silente, ed era decisissimo a continuare così.
Probabilmente sarebbe solo riuscito a prenderlo a insulti per come il vecchio l’aveva usato, e poi per averlo salvato, il solo ad indicargli, tempo addietro, la vivifica opportunità di espiazione, il percorso del riscatto che gli avrebbe infine liberato l’anima.
Unico a credere in lui, nella sua potenza di strumento pilotabile.
Per la verità, Snape era terribilmente tentato di coprire con un pesante panno nero quella tela magica, sontuosamente incorniciata, così come si fa con le gabbie degli uccelli fastidiosi per indurli a credere che sia notte ed impedirgli di fare chiasso.
“Tu lo sapevi, Albus… che sarebbe finita così?” suonava la domanda inespressa, la cui risposta avrebbe comportato una fondamentale differenza.
“Fa lo stesso…”, si rispose da solo Snape, lui che era stato da entrambe le parti dell’Universo. Qualsiasi cosa potesse uscire da quella bocca dipinta, Snape non era pronto a sentirla, e se riuscì a trattenersi dal mettere il panno nero a Silente fu solo per un residuo senso di rispetto verso la sua carica, se non per la persona.
Rivestito e ricomposto, quasi elegante per i suoi canoni, Snape, con le sue membra dissociate, se ne stava seduto sul bordo del letto; scrutava all’esterno, nel nulla del mondo promesso dal panorama di una familiare finestrella.
Aveva preparato alcuni bauli con le sue quattro cose, come se dovesse andarsene per sempre, senza risolversi a partire; si sentiva provvisorio ed estraneo a tutto come un viaggiatore che non avesse un’idea della meta.
Le cose stavano proprio così, inutile darsi quel tono da turista!
Nel bel mezzo delle sue commiserazioni sentì che qualcuno era entrato nell’ufficio, e fin troppo in fretta venne raggiunto e stanato.
“… Severus?”
Snape fece un sorrisetto vinto, schifato.
“Naturalmente… non potevi essere che tu… Minerva…”
Si alzò in piedi lentamente, stancamente, per un senso involontario di rispetto, rimasto vivo, malgrado tutto, persino al fondo del contegno remoto e glaciale.
Lei era una che non mollava facilmente, e gli sarebbe toccato combatterla con armi spuntate.
“Severus? Allora è vero, sei vivo? Il Ritratto di Lady Barbara Bournemouth non sbagliava, dunque.” La McGranitt sembrava esitante, sulle spine, così lontana dalla sua solita compostezza, che cercava disperatamente di simulare.
“Già… Hogwarts…” mormorò Snape amareggiato. “Il luogo costruito unicamente per mettere… la parola fine al concetto stesso di privacy, dove nessun pezzo d’arredo è capace della minima discrezione…”
“Discrezione?” Sbottò la McGranitt. “Con tutto quel che è successo, col fatto che ti credevamo un traditore, poi un salvatore, e infine morto, tu ritorni come niente fosse nelle tue camere, e mi parli di privacy e discrezione?”
“Queste non saranno le mie camere… ancora per molto, Minerva…”, rispose indifferente il Mago, distogliendo lo sguardo per tentare di levarsi quella tenace avversaria di torno: doveva tagliarla fuori prima che lei potesse entrare nelle sue difese e farle a pezzi, annullando quel poco che rimaneva in piedi della sua vacillante dignità.
No, inutile.
Lo sguardo di Minerva era incendiato d’ira.
Gli si avvicinò a muso duro finché la tesa sporgente dell’ingombrante cappello da strega si piegò quasi del tutto contro di lui, premendo fra le sopracciglia corrucciate, pungendolo col feltro ruvido all’altezza della sua fronte inerme.
Sorprendente. La McGranitt furiosa, roba da non crederci. Snape doveva aver bruciato ogni record di insolenza.
Ma si trovò costretto ad arretrare fino a quando lei lo inchiodò nel vano della finestra, mettendolo letteralmente all’angolo.
Nel tono, non nei gesti, la McGranitt finalmente si ricompose.
“Harry Potter ci ha chiarito il tuo ruolo. Voldemort è stato sconfitto, e molto lo dobbiamo a te!”
Si fece se possibile ancora più vicina.
“Abbiamo vinto, Severus. Siamo liberi! Sarebbe il caso che tu ti mostrassi partecipe, in quest’ora di vittoria.”
Snape inarcò disdegnoso un sopracciglio, il che significava “sarete liberi voi, forse…”
“… E certo ti devo delle scuse, per avere dubitato di te. Finalmente sappiamo chi sei, puoi smettere la tua finzione, se ne hai una.”
Gli puntò un indice imperativo all’altezza degli occhi, appena sotto alla falda del cappello.
“Ma se credi che ti consentirò di oltraggiare te stesso con tutto il tuo odio, e con tutto il disprezzo che sai infliggerti da solo, e se soltanto pensi di poter continuare a farti del male ancora, ebbene, ti sbagli! Non te lo permetterò. Non in questo giorno!”
Ancora scossa dall’ira Minerva aveva gli occhi arrossati e umidi, colmi di affetto represso da vent’anni, e di ammirazione e sgomento per lui, l’uomo impossibile che era sempre stato.
“Non…” riuscì solo ad articolare Snape, vacillando. Gli era rimasto a malapena il guscio vuoto dell’obiezione, senza argomenti, ratio a zero.
Respiro irregolare, da animale braccato; e alla fine della caccia, costretto alle catene.
(Non insistere, ti prego. Non ce la faccio, ho passato il limite. Anch‘io ne ho uno, e al di là di esso mi trasformo fino al punto che potresti persino distruggermi con una parola.)
Ormai irrefrenabile come l’inondazione di una diga crollata, la McGranitt dal canto suo continuò, con voce ormai spezzata dall’emozione: “potrai anche aver trovato il modo di non rendere agli umani sentimenti l‘importanza che meritano, Severus Snape, ma io ti conosco. Ti voglio bene. Non ti lascerò nel tuo buco. Non ti lascio solo contro il nemico peggiore, che, come credo sappiamo bene entrambi, sei solamente tu.”
Respiri sempre più spezzati, andati in pezzi, come le sue catene.
Le parole non avevano ucciso. Avrebbe saputo consegnarsi ad esse, per il proprio bene?
Quasi insieme.
Forse insieme.
Nell’abbraccio abbandonato e commosso si sciolsero l’amaro e il fiele.
E Snape, com’era destino, finalmente capitolò. Si ritrovò senza pelle, senza controllo, iniziò a tremargli persino la mandibola. Da qualsiasi angolazione lo si prendesse, si sarebbe potuto vedere chiaramente il suo essere totalmente perduto, disperato.
Ma ancora cercava di non piangere a dirotto e ci riuscì, con parole quelle sì, prive di qualsiasi sorveglianza.
“Non… difendermi… oltre… Minerva… Tu non sai…”
“Shhhh” tentò di calmarlo lei. “Non posso pensare che esista veramente una vittoria, proprio quando tutto è salvo, tranne te…”
Snape si mise a ridacchiare fra le sue braccia.
La salvezza, proprio la salvezza, oh, sì, era il problema.
Quale… ironico… paradosso.
Ma l’ultima supplica sussurrata in un rantolo, mezzo soffocata di sfida, fu sincera.
“Guidami… fuori… allora… se sai come fare…”
Si staccarono brevemente, e lei lo squadrò da vicino come se lo riconoscesse per la prima volta. Lo afferrò per le spalle, ancora studiandolo, leggendolo più a fondo.
Una muta domanda.
Tu soffri peggio di prima, Severus. Perché?
…
Incredibile, la McGranitt.
In mezzo allo sfacelo di Hogwarts era riuscita a fare portare su il caffè. Sapeva per certo che alla mattina Snape prendeva solo quello. Ricordava bene tutte le sue abitudini.
Si erano ricomposti entrambi, ognuno a modo suo, il patto era tacito. Finita la colazione sarebbero venuti i discorsi, i propositi, le soluzioni.
Snape non poteva credere di essersi consegnato a lei, come un tempo aveva fatto con Silente (senza contare l’imbarazzo).
Valeva la pena di tornare dai morti solo per umiliarsi così? Un unico momento di debolezza aveva spazzato via tutta la sua indipendenza, tutta la dignità. Il dolore gli aveva fatto oltrepassare la decenza.
Adesso si trovava ostaggio di quella donna implacabile, aspra di natura e così simile per temperamento a un domatore di draghi; e a quanto pareva, si stava anche mostrando capace di riesumare da chissà quale sepolcro interiore una sorta di irriducibile istinto materno, serbato negli anni soltanto per lui.
Chissà cosa gli avrebbe rinfacciato, cosa l’avrebbe obbligato a fare…
Marcia indietro, Severus.
Magari non era poi troppo tardi.
“Minerva…”, attaccò dunque per primo, tossicchiando nell’ultimo sorso di caffè. “C’è tanto da fare, qui. Non perdere tempo… con me. A differenza delle…”, (fece un gesto vago, come indicando intorno con la mano) “… macerie, non posso essere… recuperato…”
“Oh, sciocchezze Severus!” replicò lei, secca come una sferzata. “Non ti tirerai indietro. Puoi essere ricostruito come qualsiasi uomo. O come un qualsiasi muro crollato di Hogwarts, se preferisci. Del resto, ne fai parte.”
“Ne farei… parte? Credevo di essere qualcosa di più di un contrafforte o di un capitello… O perlomeno… sono leggermente più complesso, ti darei maggiori problemi, sappilo. E… meno soddisfazioni, probabilmente…”
“Severus?”
“Hm?”
“Devi assolutamente restare al mio fianco, qui ad Hogwarts. Non ho difficoltà ad ammettere di aver bisogno di te, in questa situazione, ma tu hai altrettanto bisogno di me, se non di più! Altrimenti mi vuoi spiegare perché ti saresti messo a tremare come un anatroccolo smarrito, come è successo prima? Significa qualcosa, dopotutto!”
Anatroccolo… niente meno…
Ecco cosa! Glielo avrebbe rinfacciato in eterno, dannazione!
Severus sospirò di fastidio infinito, rinforzando la replica col suo disfattismo velenoso.
“Non hai pensato… Minerva… che fosse solo… un calo di zuccheri? Nemmeno lo ricordo quando ho cenato… per l‘ultima volta…”
“Ma che tipo esasperante!” pensò già stufa la McGranitt.
Anche lei si trovava vincolata da quella nuova intimità, e non era certo preparata. Ma come diamine faceva Silente a contrastare tutta quella carica negativa? Severus era un osso duro, e lei doveva esserlo di più!
“So riconoscere un calo di zuccheri, quando ne vedo uno! Non puoi certo restare da solo, e andartene chissà dove. Sei messo male, Severus, e dovresti affrontare la cosa, lasciarti aiutare, come del resto mi hai chiesto tu stesso addirittura implorandomi, oserei dire.”
Snape non reagì al “messo male”, né al resto.
Se lo meritava.
Era fuggito dal Paradiso, nientemeno. La definizione calzava, non poteva negarlo.
E poi non ritrovava energie, non poteva lottare più a lungo contro di lei, così palesemente depresso.
“Sai, Minerva, hai… ragione”, rispose al margine del silenzio, con tono sottile.
“Ma a questo punto dovresti sapere… che ieri in realtà sono morto, e che la Grazia del Cielo mi ha… accolto. L’ho trovata repellente e inadeguata al punto tale da preferire la vita. Persino questa vita… la mia…”
La McGranitt sbiancò a quelle parole. Tutto questo andava mostruosamente oltre, troppo al di là dell’umana esperienza, persino per lei, per la sua saggezza di personalità incrollabile.
Si aggiustò gli occhiali balbettando qualche monosillabo, in estremo disagio, ma la fede caparbia da Grifondoro le suggerì subito, ancora una volta, che le regole dell’Universo erano le stesse addirittura per Severus, e che qualcosa si sarebbe pur potuto tentare.
“Ora, Minerva…”, proseguì Snape con tono mortale, “sarai capace di indicarmi una valida alternativa al Regno dei Cieli? Perché questo anatroccolo aspetta… le tue parole illuminanti!”
Snape rivelava uno sguardo fulgido e terribile, come se fosse tornato invitto dal Giorno del Giudizio con la perfezione morale di un Angelo Vendicatore, che proponesse un disegno di dannazione.
Ecco, l’aveva detto.
Si accasciò sulla sedia, definitivamente svuotato, di nuovo rassegnato.
“Forse non saprai dar risposta ad ogni cosa, Minerva, tuttavia… resterò. In fondo, per non avere alcun futuro… un luogo vale l’altro, fa lo stesso…”
Disarmante.
Inaccettabile.
Terribilmente inappropriato.
Minerva McGranitt sapeva reagire solo così, perché comunque la fortuna stava proprio nel fatto che sapesse reagire.
Almeno il primo paletto era fissato, pensò, Severus sarebbe rimasto ad Hogwarts. Recuperò la forza e la presenza per sorridere di quel suo modo arcigno senza che si notasse troppo, come era solita fare quando metteva a segno un punto importante.
Cosa poteva rispondere, però, in una situazione assurda come quella? Una legge universale del buon senso, adatta allo scopo, lei naturalmente la conosceva; e con fatica, e non senza un certo sgomento, trovò la strada per tornare in trincea.
“I piccoli problemi servono per coprire i grandi problemi, Severus. E per risolverli, inoltre, aggiungerei. Questa scuola può darti ancora molto, ma tutto ciò che ti serve è riottenere il più in fretta possibile il tuo posto nel mondo, occuparti di qualcosa che ti tenga impegnato.”
Snape non disse niente. Aveva abbassato la testa e si era messo a fissare ostinato le proprie scarpe, con quel suo nuovo sguardo limpido e pudico, senza più doppiezze eppure oscuramente sconsolato.
Comunicava sensazioni spiazzanti, e dava vertigine, vederlo seduto lì, come appoggiato distrattamente sulla sedia, quasi fosse un oggetto fatale preso in prestito da un altro mondo.
La McGranitt non aveva i mezzi per capire lo strano caso di un uomo riscattato dai più terribili delitti, che viveva in una realtà vuota solo per rifuggire la morte e il proprio squallido Paradiso.
Nessuna volontà né tensione nervina lo animavano più. Faceva piuttosto pensare a un sacco vuoto, e appariva perdutamente avvilito. Ma come poteva essere Severus, quello?
Toccava a lei.
Aveva raccolto il gatto nel temporale.
L’avrebbe salvato anche se graffiava.
“Bene, Severus”, si risolse infine a dire la McGranitt. “Stabilito che rimarrai qui, resta da vedere che cosa potresti fare.”
Eco assente di una reazione indifferente, lo sguardo di lui trasognato nell’incubo.
“Sei sempre il Preside, se non vado errata.”
A quelle parole Snape incrociò le braccia contrariato, e una smorfia sardonica si riaffacciò finalmente all‘esterno.
“Naturalmente…”, rispose piccato. “Davvero una bella carriera. Un Preside-fantoccio posto in carica da Voldemort… col merito di avere ucciso il proprio predecessore…”
Poi ritornò cupo, pensieroso.
“Quel posto spetta a te, Minerva”, continuò. “Da anni, come… doveva… essere…”
“Chi può mai dire cosa doveva essere?”, mormorò lei, leggermente sconcertata. Ma in meno di un secondo prese possesso con cupido orgoglio della sua nuova carica, eretta e impettita come una pavoncella avicola nella stagione degli accoppiamenti.
“Tornerai ad insegnare, allora”, proseguì. “Non posso affermare che gli allievi abbiano davvero sentito la tua mancanza, ma di certo non mi domanderò ragione del perché! Ringraziando il cielo, è proprio questo, ciò che ti ci vuole.”
“Lasciando da parte il Cielo… la mia salvezza consisterebbe… in quei mocciosi ignoranti… secondo te?”
Snape se possibile appariva ancor più apatico e indifferente.
“Piccoli problemi, Severus, faresti bene a ricordartelo. Loro te li assicureranno in dosi sufficienti, anzi, massicce, ne sono convinta.”
“Ovvio…” articolò Snape, precipitando in una sensazione familiare, come di budella che si annodavano.
La McGranitt passò quindi a snocciolare, da noioso Preside fatto e finito, le più urgenti difficoltà della Scuola, a partire dal problema delle cattedre scoperte.
“Charity Burbage, mi rammarica dirlo, ha fatto la fine che sappiamo”, intonò decisa, sempre più invasata, “e perciò Babbanologia è vacante. Ma anche Trasfigurazione, a questo punto: se devo occuparmi della Direzione di Hogwarts, non potrò certo dare alla materia l‘attenzione che merita.”
Snape annuiva sospettoso, ma tutto sommato conveniva con lei, del tutto indifferente al proprio destino. Era precipitato troppo in basso per il momento, e non avrebbe saputo volere, né tanto meno dire.
“Poi c’è sempre Pozioni, a cui pensare.”
La McGranitt era lanciata a briglia sciolta.
“Con il cessato pericolo anche Lumacorno partirà da Hogwarts. E’ convinto di tornare alla sua sciocca vita da gaudente. Ieri sera l’ho sentito vantarsi per come sarebbe andato ospite nella villa del Presidente di non so quale importante squadra di Quidditch…”
“Patetico…” fu il commento che si vide passare negli occhi cerchiati di Snape, anche se ormai lui non diceva più niente.
“… E poiché non giudicherei appropriato riconfermare Amycus Carrow come Professore di Difesa Contro le Arti Oscure, oserei dire che quella cattedra potresti infine prenderla tu.”
Nessuna risposta. Il nulla si sarebbe mostrato certo più entusiasta. Più presente, comunque, per così dire.
“Severus?”
“Hm?”
“Che ne dici?”
“Ma sì, va bene… fa lo stesso…”
“Come sarebbe fa lo stesso, cosa c’è?”
“Che vuoi che… importi…”
“Oh, Severus, per amor del Cielo!”
Pessimo argomento da tirare fuori con Snape, l’unico a sapere per certo come non ci fosse nessun amore, nel Cielo.
Sprofondò ancora una volta dentro di sé, nella contemplazione delle proprie scarpe.
“Difesa… Contro… le Arti… Oscure…”, scandì alla fine di una lunga riflessione, in uno strano modo ritmato, col tono sommesso e monocorde di una pendola.
“Non c’è più niente contro cui difendersi, Minerva. Vorresti forse farmi sentire… ancora più inutile? Ancora più… ridicolo?”
Già si immaginava nell’aula ombrosa, come la tardiva caricatura di ciò che un tempo aveva desiderato di conquistare.
“Ma ci saranno sempre i Marciotti, i Folletti, i Mollicci…” provò a insistere lei.
“I Mollicci, puah!”
Per un attimo sembrò che Snape avesse sputato per davvero.
“Farò Pozioni piuttosto!”
“Pozioni? Sei sicuro? Mi sembra di ricordare che non la sopportavi. Certo una materia così poco in vista non penso che…”
“Pozioni… andrà… benissimo…”
Quel sibilo non ammetteva repliche.
Minerva McGranitt poteva dirsi soddisfatta della sua strategia.
Sì, naturalmente, Pozioni sarebbe andata benissimo per riempire il vuoto di Snape con migliaia di seccature e preoccupazioni quotidiane.
Aveva pensato a quella materia fin da subito, proponendone un’altra con virtuosismo di calcolo, insistendo per Difesa: contava sullo spirito da Bastian Contrario di Snape, sul bisogno che avrebbe avuto di contraddirla, di darle contro.
“In fondo, fa davvero lo stesso” pensò.
Ma gli insegnanti di Pozioni erano più rari e ricercati, e meglio pagati di quel che avrebbe accettato Snape, col suo sdegnoso e già prevedibile “fa lo stesso”.
Si congratulò fra sé, aveva fatto proprio bene a provarci; la sua carriera di Preside era cominciata sotto i migliori auspici.
Va al: Capitolo 3 - Sopravvivere alle acque chiareEdited by Helèna Velena - 18/10/2010, 14:43